di Elena Ferrara

Da 68mila a 19mila chilometri quadrati. Volume e superficie sono diminuiti di circa il 75%. E`il tragico risultato del processo di prosciugamento dell'Aral (il nome viene dal kirghiso "Aral Denghiz" che vuol dire mare delle isole) il lago asiatico, bacino salato di origine oceanica. Situato alla frontiera tra l’Usbekistan (nel territorio della repubblica autonoma del Karakalpkstan) e il Kasachstan è da sempre considerato come uno dei quattro mari interni dell’ex territorio sovietico, con il Mar Nero, il Mare di Azov e il Mar Caspio. Ma a partire dal 1960 dall’Aral scompaiono i pesci, le rive si fanno sempre più aride, si assiste ad una desertificazione delle rive e dell’intera zona, il livello delle acque cala a vista d’occhio. E tutto il sistema ecologico della zona vive le conseguenze di un vero e proprio disastro ambientale. Ne parla nel suo libro il premio Nobel per la pace Al Gore e se ne occupano scienziati di ogni parte del mondo. Ma tutti sanno che della tragedia non è colpevole la natura. Le cause del disastro sono tutte da addebitare all’uomo che dai primi anni ‘50 avviò un piano di coltura intensiva secondo quelli che all’epoca erano i piani di sviluppo dell’intera Unione Sovietica. Avvenne infatti che i territori che circondano il lago vennero destinati alla coltivazione di cotone. E per irrigare i campi si pensò bene di deviare i due affluenti principali, l'Amu Daria ed il Sud Daria. Come conseguenza di queste scelte “economiche” il livello delle acque del lago si abbassò di tre metri in pochi anni. E così l’Aral si è avviato verso una morte strisciante con tutte le conseguenze di carattere ambientale.

I pianificatori dell’epoca sovietica ritenevano che il lago, una volta ridotto ad una grande palude acquitrinosa sarebbe stato facilmente utilizzabile per la coltivazione del riso. E così per far posto alle piantagioni, i consorzi agricoli fecero ricorso all'uso di diserbanti e pesticidi che inquinarono in profondità il terreno circostante. Nel corso di quattro decenni la linea della costa è arretrata in alcuni punti anche di 150km lasciando al posto del lago un deserto di sabbia salata invece del previsto acquitrino. Pesanti e catastrofiche, quindi, le responsabilità dell’uomo colpevole di aver provocato una catastrofica desertificazione. E gravi le conseguenze economiche. L'industria legata alla pesca entrò, infatti, in crisi in pochi anni con gli ultimi pescatori che lasciarono il lago nel 1982 e con gli stabilimenti per la lavorazione del pesce che vennero chiusi alla fine degli anni '80.

Ma ora all’orizzonte si annuncia un piano che dovrebbe far resuscitare questo mare che è stato, per secoli e secoli, tanta parte della realtà asiatica. Si muove il Kasachstan che investe 86 milioni di dollari in un’opera che dovrebbe portare al risanamento dell’Aral. E già si notano i primi risultati perchè il “lago” sta rinascendo proprio sul versante kasacho: 95 chilometri di quelle che erano diventate aride distese di sabbie acide sono stati ricoperti dalle acque, riportando la vita su coste per decenni desolate. La superficie del lago è aumentata del 2,5%, e la quantità di pescato è passata dalle 50 tonnellate del 2004 alle 2mila del 2007. Il merito di aver invertito un processo che sembrava inarrestabile è del governo kasacho che, con l’aiuto della Banca mondiale, ha investito milioni di dollari nella costruzione di una diga in grado di convogliare al meglio in quel bacino le acque del fiume Syr Daria. E come conseguenza di questa opera ciclopica già una decina di chilometri di muraglia evidenziano i primi risultati.

La parte nord del mare interno centrasiatico ha già aumentato la sua superficie da 2.550 a 3.300 chilometri quadrati e la sua profondità - il punto più inquietante, perché la forte evaporazione aveva provocato un circolo vizioso - è salita da 30 a 42 metri. La distanza delle acque dal porto di Aralsk (che ancora nel 1960 si affacciava sul mare) è passata dai 120 chilometri del 2001 agli attuali 25 chilometri. “È un miracolo - ha commentato uno dei portavoce del progetto - perché fra il 1956 e il 1989 l’intero mare, dal nord al sud, aveva perso il 40% di estensione”. La rinascita di questo grande bacino salato - uno dei quattro mari interni dell’ex Urss, con il Mar Nero, il Mare di Azov e il Mar Caspio - ha riportato in vita flora e fauna costiere e marine. Sono tornati uccelli e rettili, e se negli anni scorsi un solo tipo di pesce era sopravvissuto alla crescente salinità, oggi se ne contano almeno 15. Torna così la pesca, ora in grado di sostentare 100 famiglie.

Il progetto di salvataggio dell’Aral entra ora in una seconda fase: rendere fertili quelle aride zone degli antichi fondali rese impenetrabili dall'intricatissima vegetazione. Aree tutte dove il dissesto idrogeologico, la deforestazione selvaggia e l'avanzata dei deserti hanno lasciato tracce indelebili. Dei numerosi esempi sul terreno, il più originale deriva dalle fallimentari esperienze dei fantasiosi progetti sovietici di risistemazione ecologica - per esempio quello dei "cinque mari", che consisteva nell'unire tramite canali e fiumi le coste di tutta l'Unione - e dei loro tremendi danni che non verranno riassorbiti rapidamente, come nel caso del Volga deturpato o, appunto, del lago Aral. Qui l’opera di risanamento è anche affidata ad alcune risorse naturali, come quel grande arbusto, il Saxaul, tipico dei deserti centrasiatici. Alto dai 3 ai 10 metri, ha una corteccia che funge da “spugna” e da filtro, ed è in grado di sfruttare qualunque fonte di umidità.

Ed ora se il processo di salvataggio dell’Aral andrà avanti dovrebbero tornare a rifiorire località come il porto di Aralsk (dove le aziende dell’industria ittica erano state tenute in vita grazie ad una decisione del Cremlino di trasportarvi il pesce pescato nel Baltico) o come l’isola di Vozrozdenje (dove si trovava una base militare destinata ad esperimenti chimico-batteriologici). E’ ancora presto per cantare vittoria. Ma l’Aral è uscito da quello stato di coma che sembrava irreversibile.

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