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di Daniele Rovai

Il 28 maggio scorso, il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi ha dichiarato che l’Italia “avrà il suo nucleare”. Saranno decisioni “assennate” e “suffragate da organismi democratici” ma se sarà necessario contrastare le “scontate proteste dei locali”, i siti prescelti saranno controllati anche dai militari. Insomma: il governo parla di scelta democratica voluta dalla maggioranza degli italiani, ma poi avverte che userà la forza se quegli stessi Italiani non vorranno ospitare quelle centrali a casa loro. Da quando in qua una scelta democratica viene fatta non con il confronto e il dialogo ma con l’arroganza e la prepotenza di chi in quel momento comanda? L’uscita del presidente del Consiglio ribadisce la volontà della maggioranza di realizzare un nucleare governativo, militarizzato, usando un’informazione non obbiettiva. Governativo perché le scelte non saranno democratiche ed il governo avrà comunque l’ultima parola. Sarà il costruttore a scegliere il sito ideale tra quelli messi a disposizione presentando un progetto che sarà discusso all’interno di una Conferenza dei servizi allargata a tutte le parti interessate. Se però non si raggiungerà l’accordo, il governo potrà comunque sostituirsi agli enti locali nelle decisioni da prendere (art. 25, comma 2, lettera d) e dichiarare i siti aree di interesse strategico nazionale soggette a particolari forme di vigilanza (art. 25, comma 2, lettera a). A quel punto nessuno potrà opporsi all’autorizzazione unica che, dice la legge, sostituirà “ogni provvedimento amministrativo, autorizzazione, concessione, licenza, nulla osta, atto di assenso e atto amministrativo, comunque denominati”, costituendo “titolo a costruire ed esercitare le infrastrutture in conformità del progetto approvato”(art. 25, comma 2, lettera h).

Militarizzato perché sarà permesso anche all’esercito di costruirsi, o di far costruire ad un privato, una o più centrali atomiche nei “siti militari, le infrastrutture e i beni del demanio militare o a qualunque titolo in uso o in dotazione alle Forze armate” (art.39, comma 1). Un informazione non obbiettiva, perché dell'argomento si parlerà solo dopo che la legge sarà licenziata prevedendo certamente “una opportuna campagna di informazione alla popolazione italiana sull’energia nucleare”, ma “con il particolare riferimento alla sua sicurezza e alla sua economicità.” (art. 25, comma 2, letttera q).

Diciamola tutta: l’Italia è un paese nucleare da sempre e in questi decenni, senza bisogno di aspettare la nuova legge, c’era la possibilità di costruire impianti di II generazione. Nessun referendum ha chiuso quell’avventura e nessuno di quei vecchi siti è stato mai smantellato. Tutto è come trent’anni fa e, per esempio, se un governo in questi decenni avesse voluto riaccendere Caorso, lo avrebbe potuto fare seguendo la normativa scritta nel decreto legislativo 230 del 15 marzo 1995. Questo documento non solo definisce gli ambiti per la gestione delle sorgenti radioattive usate nella medicina nucleare ma norma, anche, le modalità per la costruzione, l’esercizio e lo smantellamento delle centrali nucleari (Cap. VI, da art. 36 a art. 58). Ed è tuttora valido.

In pratica, non essendoci alcuna legge parlamentare che vieti la costruzione di centrali atomiche sul nostro territorio – al contrario con la legge n. 133 del 6 agosto 2008 si è permesso all’Enel di fare nucleare all’estero disconoscendo un quesito posto dal referendum del 1987 che lo aveva proibito – le regole nucleari da rispettare sono quelle europee. In pratica nei nostri vecchi siti atomici sono vigenti ancora le prescrizioni nucleari degli anni ’70 e, come ha candidamente dichiarato il presidente di EDF - il colosso elettrico francese partner dell'Enel in questa rinascita nucleare italiana - la soluzione migliore “sarebbe mettere le nuove centrali a fianco di quelle vecchie, per le quali i siti erano già stati scelti con cura molti anni fa". Una tesi sposata da Giancarlo Aquilanti di Enel per il quale “sarebbe logico ripartire dai siti che ospitavano centrali nel periodo in cui l’Italia sfruttava l’energia nucleare”.

La nuova legge che il governo si farà approvare tra breve dal Parlamento in realtà non serve a far ripartire l’avventura nucleare. Per quello bastano e avanzano le norme radioprotezionistiche europee recepite nel 1995 con il decreto legoslativo 230, centrali nucleari comprese. Quello che serve é invece la necessità di velocizzare e rendere più snello - qualcuno potrebbe dire più moderno - un iter legislativo burocratico che trova la sua giusta definizione nella ricerca della concertazione, ma che per un governo “del fare” rappresenta solo un impedimento. Lacci e lacciuoli che la nuova legge spazzerà via

E infatti nel disegno legge la parte radioprotezionistica è appena accennata - e si rifà a quella esistente in Europa (art. 29, comma 4) e rappresentata dal D.lo 230 - mentre sono ben definite quelle norme che trasformano scelte democratiche in decisioni coercitive. Esempio lampante, la nascita di una Agenzia di Sicurezza Nucleare che solo nominalmente garantirà un controllo “terzo” sull’attività. Sarà infatti formata da solo 100 tecnici prelevati dell’Apat Nucleare (oggi Ispra) e dell’Enea - cioè gli attuali enti di controllo radiopotezionistico (età media 50 anni) - con assegnati fondi risibili per l’attività che sarà chiamata a fare - si tratta di 500 milioni di euro per il 2009 e di 1.500 milioni per il 2010 ed il 2011 (art. 29, comma 18).

Dopo si vedrà. Neanche fondi ex novo, ma soldi che saranno stornati dalle risorse dell’Apat Nucleare (ora Ispra Nucleare) e dell’Enea. In pratica soldi che saltano da un ente ad un altro che porteranno, insieme al trasferimento dei tecnici, all’indebolimento delle nostre strutture di controllo radioprotezionistiche.

Originariamente l’Agenzia non era nemmeno prevista. E’ stato il PD che ha presentato l’emendamento per crearla. L’idea era quella di contrastare l’esagerata delega che il governo si era procurato promuovendo la nascita di un ente autonomo di controllo. Invece l’Agenzia risponderà solo al governo che ne determinerà gli indirizzi (art 29, comma 15) ed informerà annualmente il Parlamento “sulla sicurezza nucleare” (art. 29, comma 8).

Una conclusione che ha visto il PD astenersi al momento del voto alla Camera con il responsabile per l’ambiente, Ermete Realacci, arrampicarsi sugli specchi spiegando come il voto di astensione sia stata motivato dal fatto che “un grande paese industrializzato come l'Italia deve avere una Agenzia nucleare degna di questo nome” (e detto da un esponente ambientalista non è poco!) ma che questa volontà “non deve essere certo spacciata per un consenso al tipo di scelta nucleare che il governo vuole fare”.

Non potendo bocciare una loro proposta ecco il “ni” che fotografa benissimo le voglie nucleari di un partito che solo a parole si dice antinucleare. Valga l’affermazione trionfale di Matteo Colaninno, che in occasione del voto di astensione, ha dichiarato al Sole 24 Ore del 9 ottobre 2008 come il suo partito sia “risultato essenziale per l'istituzione dell'agenzia, originariamente non prevista dal governo senza la quale nessuna discussione seria sull'uso dell'energia nucleare sarebbe credibile”.

Il Ddl 1195 sarà discusso alla Camera per il terzo ed ultimo passaggio subito dopo le elezioni europee. C’é la volontà di fare presto, come ha ricordato Scajola alla recente assemblea degli industriali, per permettere ai privati, entro la fine dell’anno, di presentare le domande di costruzione. Come aveva detto lui stesso l’anno prima a quella stessa assemblea, la prima pietra sarà posta entro la fine della legislatura. E per adesso i tempi sono ampiamente rispettati.