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di Alessandro Iacuelli

La maggioranza di destra ha approvato il disegno di legge sullo Sviluppo che pone le basi per il rilancio del nucleare in Italia. Con 154 sì, un voto contrario e un astenuto, l'aula del Senato ha approvato, in via definitiva, il disegno di legge che contiene disposizioni per lo sviluppo. Il ddl, licenziato da Palazzo Chigi circa un anno fa e passato per quattro letture parlamentari, è legge grazie al voto a favore di Pdl, Lega e Udc. Pd e Idv non hanno partecipato al voto. Il provvedimento prevede nuovi fondi per l'editoria, l'introduzione della class action (ma senza retroattività, quindi nessuna azione legale di massa per Parmalat e Cirio), alcune misure per il mercato del gas, altre per le liberalizzazioni delle ferrovie, oltre a diverse novità in tema di assicurazioni e prezzo della benzina, lotta alla contraffazione del Made in Italy. Ma la norma senza dubbio più discussa e soprattutto controversa è quella che prevede il ritorno al nucleare, con la delega al governo per la localizzazione dei siti per le nuove centrali. Il Governo avrà ora sei mesi di tempo dall'approvazione della legge per emanare uno o più decreti legislativi con la disciplina della localizzazione nel territorio nazionale di impianti nucleari, di fabbricazione del combustibile nucleare, dei sistemi di stoccaggio e deposito dei rifiuti radioattivi e del materiale nucleare. I decreti attuativi definiranno anche le misure compensative da corrispondere alle popolazioni interessate dalla costruzione degli impianti nucleari, ma anche agli enti locali e alle imprese del territorio. "Molti comuni italiani hanno già manifestato la loro disponibilità", ha affermato il ministro per lo Sviluppo economico Claudio Scajola, senza però rivelare quali: "La posa della prima pietra della prima centrale avverrà entro la fine della legislatura", ha promesso.

L'aspetto controverso sta nel fatto che è data al governo la delega sul nucleare: dovrà essere cioè il Consiglio dei Ministri a scegliere quali impianti adottare e dove. E a costituire l’Agenzia per la sicurezza del nucleare. Già si sa che il governo vorrebbe ottenere dal nucleare il 25% del fabbisogno energetico. Nel ddl non si parla di investimenti, ma per produrre tale quantità di energia, servirebbero almeno 8 impianti nucleari che costerebbero almeno 30 miliardi di euro. Non si capisce bene da dove verrebbero presi. L'opposizione, dichiaratasi contraria, ha preferito però abbandonare l'aula piuttosto che votare con un no, e sono molte le bocche cucite nelle fila dei parlamentari. A parlare è invece la presidente della Regione Piemonte, Mercedes Bresso, che dichiara: "Ci sono forti dubbi sulla reale copertura economica dell'enorme spesa che si dovrebbe programmare", e aggiunge che "se ai costi di produzione si aggiungono quelli per lo smantellamento, che equivalgono almeno a quelli di costruzione, e quelli per i controlli che vanno garantiti per alcuni secoli, si vede subito che la convenienza non c'è proprio".

Nella predisposizione dei decreti il Governo dovrà attenersi, tra le altre, all'indicazione di “elevati" e non più “adeguati” livelli di sicurezza dei siti. L'autorizzazione unica rilasciata dalle amministrazioni interessate sostituirà tutti gli atti necessari, fatta eccezione per le procedure VIA (Valutazione d'impatto ambientale) e VAS (Valutazione ambientale strategica) "cui si deve obbligatoriamente ottemperare". Il Cipe, con una delibera da assumere entro sei mesi, definirà la tipologia degli impianti e, con un'altra delibera, favorirà la costituzione di consorzi per la costruzione e l'esercizio degli impianti. Nasce inoltre l'Agenzia per la sicurezza nucleare, che svolgerà funzioni di autorità nazionale per la regolamentazione tecnica, il controllo e l'autorizzazione ai fini della sicurezza, la gestione e la sistemazione dei rifiuti radioattivi e dei materiali nucleari, la protezione dalle radiazioni, nonché le funzioni e i compiti di vigilanza sulla costruzione, l'esercizio e la salvaguardia degli impianti e dei materiali nucleari.

Il ritorno al nucleare viene ovviamente salutato favorevolmente dall'amministratore delegato di Enel, Fulvio Conti: "Il ritorno del nucleare in Italia è un'opportunità strategica per ricostruire la filiera scientifica, tecnologica e industriale indispensabile per stabilizzare i costi di generazione di energia elettrica, ridurre la dipendenza dalle importazioni di materie prime e combattere contro il cambiamento climatico". Poiché l'Italia non dispone di proprie riserve climatiche e neanche della filiera tecnologica, non si comprende cosa intende Conti per riduzione delle importazioni delle materie prime, alle quali si aggiungerà anche un'importazione di competenze tecniche.

"Inutile e dannoso", "ritorno alla preistoria", "follia ambientale ed economica", sono queste le reazioni al via libera definitivo all'energia nucleare. "C'é poco da essere entusiasti: è una legge inopportuna", ha detto Ignazio Marino, candidato alla segreteria del Pd. Per Marino, la situazione è grave, anche perché "una legge, in particolare su questa materia, dovrebbe essere basata su dati scientifici. Abbiamo un premio Nobel come Carlo Rubbia che ha ripetuto più volte che oggi non esiste un metodo sicuro per lo stoccaggio delle scorie radioattive e che anzi c'è un rischio concreto per la salute". E’ vero: un metodo sicuro per lo stoccaggio non è mai esistito, e difficilmente esisterà mai sul nostro pianeta.

Sono proprio le organizzazioni scientifiche, quelle che stanno esprimendo dissenso e perplessità: Secondo Stefano Ciafani, responsabile scientifico di Legambiente, "questo governo è tornato alla preistoria energetica per spendere soldi in grandiose e fragili cattedrali per la produzione di energia nucleare di terza generazione. Proprio quella tecnologia che Barack Obama si è rifiutato di finanziare perché inquinante e insicura, e che la cancelliera Angela Merkel ha dichiarato di non volere. Un altro importante aspetto è proprio il sacrificio che gli investimenti sul nucleare, decisamente antieconomico e fuori mercato, richiederanno allo sviluppo di eolico e solare. Ad evidenziarlo è Giuseppe Onufrio, direttore di Greenpeace, che ricorda come "Costruire le nuove centrali porterà l'Italia ad avere una disponibilità eccessiva di energia, il che porterà inevitabilmente a un allentamento della spinta sulla produzione da fonti rinnovabili e sul consumo efficiente".

Se andiamo a vedere quale è l'andamento mondiale nel settore dell'energia, ci si accorge che il ritorno al nucleare è semplicemente una vera e propria follia, sia dal punto di vista ambientale che economico. Con il nucleare non solo non si affronta il problema della sicurezza energetica, ma si rischia di far crescere esponenzialmente le bollette dei cittadini. Ogni impianto costerà almeno 4 miliardi di euro che, di sicuro, ricadranno sulle spalle della collettività: scegliere oggi il nucleare vuol dire far regredire il nostro Paese, tagliandolo fuori dall'innovazione tecnologica e dalla ricerca sulle energie rinnovabili e sull'efficienza energetica, elementi su cui i paesi più avanzati stanno investendo con forza e che saranno i veri settori strategici nell'economia mondiale. Significa anche aumentare le dipendente dall'estero, visto che solo all'estero ci sono le capacità di costruzione delle centrali, di lavorazione del combustibile e di riprocessamento delle scorie.

Paradossalmente, rispetto a 22 anni fa, quando il nucleare fu espulso dal Paese con un referendum popolare, oggi la preoccupazione delle associazioni che promossero quella campagna sembrano essere economiche, prima ancora che di tipo ecologico. Puntare come vuole fare l'Italia con il ddl sviluppo sul nucleare obsoleto, dopo aver abbandonato da anni la ricerca e la produzione industriale legata a questo settore, prima ancora che un problema di sicurezza è un colossale spreco di risorse.

Il governo invece plaude a se stesso per aver raggiunto un obiettivo strategico: tornare al medioevo energetico, e soprattutto spendere soldi. Soldi pubblici da dare ai privati. Questo proprio nel giorno in cui il G8 all'Aquila ha affrontato il nodo cruciale delle politiche climatiche ed energetiche del Pianeta, dalle quali emerge la necessità di puntare con decisione ed urgenza sulle nuove tecnologie pulite. Una strada finalmente tracciata tra i Paesi più influenti del mondo, una strada dalla quale l'Italia di Berlusconi sceglie di tagliarsi fuori da sola. Mentre tutti i Paesi industrializzati vanno verso l’innovazione e le fonti rinnovabili, per Berlusconi e Scajola i problemi energetici dell'Italia si risolvono ricominciando a produrre energia nucleare tra 20 anni.

In questo provvedimento c'è in pratica tutto il paradosso del governo della destra: l'approvazione di qualcosa che oggettivamente è vecchio e decrepito, ma viene presentato come la grande novità destinata a "modernizzare" il Paese. L'unica novità, per i decenni a venire, oltre lo spreco di soldi, sarà la quantità di radionuclidi presenti nell'organismo degli italiani, che però saranno impegnati a pagare bollette stratosferiche, ed a veder produrre quantità enormi di energia, ben oltre il fabbisogno reale del Paese, che serve di solito a tenere accesi come alberi di natale, giorno e notte, centri commerciali sempre più grandi, o a compensare la scarsa efficienza energetica di abitazioni, industrie, ferrovie e linee elettriche. Una scelta assolutamente anacronistica, un passo indietro, verso una tecnologia superata, un punto di vista impone su una questione di grande importanza. Una scelta che è pura propaganda ideologica, aggravata dal fatto che i siti nucleari verranno scelti liberamente dalle imprese che li realizzeranno. Senza che cittadini, associazioni, amministrazioni possano obiettare.