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di Alessandro Iacuelli

A dieci mesi dall’approvazione della legge delega sul nucleare e ad oltre 2 mesi dalla pubblicazione in Gazzetta ufficiale del decreto attuativo, il quadro normativo ed istituzionale per il ritorno all'atomo è appena un abbozzo, senza che sia stata intrapresa alcuna direzione precisa. Doveva essere subito istituita l'Agenzia Nazionale per la Sicurezza Nucleare, si aspettava la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale dello Statuto nello scorso febbraio, ma non se ne vede ancora neanche l'ombra. Non sono state attuate le delibere per la definizione delle tipologie d’impianto e neanche quelle sui criteri e sulle misure per la costruzione e l'esercizio degli impianti.

Non solo: mancano ancora perfino leggi e regolamenti, come quello per l'organizzazione, il funzionamento e le relative nomine presso l'Agenzia Nucleare. Il tutto per un continuo litigare e far pressioni tra ministero dell'Ambiente e ministero dello Sviluppo Economico, entrambi decisi ad avocare a sé il maggior potere possibile per quanto riguarda il controllo dell'Agenzia stessa. Nel frattempo, il ministro dello Sviluppo Economico ha fatto la fine che ha fatto (a sua insaputa), lasciando vuota la sua poltrona.

A cogliere la palla al balzo è stato il suo grande concorrente: il Ministro dell'ambiente Stefania Prestigiacomo, che ha fatto sapere che è intenzione del Governo andare avanti per la strada tracciata; d'altronde, la caduta di Scajola fa presagire alla Prestigiacomo un ruolo decisivo anche nell’approvazione del documento programmatico del Governo per il ritorno al nucleare. Naturalmente in ritardo. Ora, dopo l'ennesimo rinvio, il Piano Nazionale è atteso per la fine di giugno.

In pratica, nonostante le tante chiamate all'urgenza da parte del governo, poi nei fatti la politica continua a praticare un colossale quanto evidente immobilismo. Che però ha dei costi (pubblici) che non vanno dimenticati. La domanda fondamentale, anzi, dovrebbe essere proprio questa. E' conveniente costruire centrali nucleari impegnando nei prossimi anni ben 30 miliardi di Euro per soddisfare, dal 2020 se tutto va bene, appena il 25% dei consumi elettrici attuali? Consumi che corrispondono solo a circa il 4,5% dei consumi finali di energia?

E' naturalmente una domanda che non raccoglie possibilità di risposte né da parte della politica, né da parte di un'industria che vede profilarsi nuovi guadagni. Ad esempio, Fulvio Conti, amministratore delegato di Enel, non teme che i ritardi della politica possano avere effetti sul programma di costruzione delle centrali nucleari. Ne ha parlato con i giornalisti durante una manifestazione presso il dipartimento di Economia dell'Università di Tor Vergata: "I miei programmi partono dal 2011. Se non ci fosse ancora nulla a fine 2012 o nel 2013, allora sarebbe difficile avere una centrale nel 2019", ha risposto Conti ai giornalisti che gli chiedevano di valutare i ritardi nel programma, dopo le dimissioni del ministro Scajola.

Enel conferma che i fondi stanziati per il programma di rientro al nucleare ammontano a circa 800 milioni di Euro e che la società punta a realizzare quattro reattori Epr. La Westinghouse, una delle maggiori compagnie che costruisce reattori nucleari, suggerisce che il loro reattore AP1000 è il più adatto al sistema elettrico italiano perché è piccolo, richiede poca acqua ed ha una potenza compatibile con la rete esistente e lo propone a tutte le grandi utility europee che hanno interessi in Italia. Contemporaneamente, Conti ha negato che l'azienda abbia già espresso preferenze o selezionato i siti per le nuove centrali nucleari. Lo farà, ha spiegato, "una volta che l'Agenzia per il nucleare avrà definito le aree idonee ad ospitare centrali nucleari".

E i costi? Dalla chiusura delle vecchie centrali ad oggi, la cifra che i cittadini italiani hanno dovuto pagare per la gestione delle scorie radioattive supera i 12 miliardi di euro senza che sia stato possibile indicare il deposito unico nazionale. La quantità attuale di rifiuti radioattivi italiani di seconda (scarti di lavorazione) e terza categoria (combustibile irraggiato, scorie di riprocessamento) è pari a circa 90.000 metri cubi: 25.000 attuali e altri 65.000 provenienti dalle centrali in dismissione. A questi bisogna poi aggiungere una produzione annuale di 1.000 metri cubi di scorie provenienti da usi medici e industriali. Quelli di seconda categoria sono rifiuti pericolosi per circa 300 anni mentre quelli di terza rimangono carichi di radioattività anche per 250.000 anni.

Invece, per il nucleare futuro, i costi totali, cioè la somma di quelli di progettazione e costruzione di una centrale, più quelli di esercizio, più quelli di decomissioning, più quelli di deposito delle scorie, nessuno è in grado di calcolarli. Non si sa. E' una cifra così alta che non si riesce a quantificarla. Quel che è certo, è che si tratta di costi talmente elevati che nessuna impresa privata, o cordata di diverse imprese, sarà mai disposta a sostenere: si tratta di un investimento che è oltre il patrimonio dell'industria privata e che ha ricavi (quelli energetici) incerti; troppo incerti per essere affrontati di tasca propria.

Riassumendo, sono impianti che non conviene, economicamente, costruire. Ecco allora arrivare un Piano Nazionale, approvato con decreto d’urgenza, per spendere miliardi di Euro di soldi pubblici, da dare ai privati per impianti che sono macchine mangiasoldi. In conclusione, è vero che il nucleare è l'unica opzione. E', infatti, l'unica possibilità che consente di salvare il business e la circolazione di denaro pubblico, così com’è ora. Come il ponte sullo Stretto di Messina, come il MOSE a Venezia. In pratica, come tutte le grandi opere pensate nella nostra penisola: opere di nessuna utilità, d’impossibile realizzazione, di sicuro sperpero di risorse preziose.