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di Sara Seganti

E’ davvero tutta colpa delle verdure killer? Effettivamente, nei germogli prodotti da una certa azienda biologica tedesca, i ricercatori hanno individuato il veicolo di questa infezione da Escherichia coli, il batterio assurto agli onori delle cronache come l’origine del nuovo “allarme sanitario mondiale”, dopo mucca pazza, sars, aviaria e influenza A. L’E. Coli è conosciuto per essere un batterio comune che si sviluppa solo nell'intestino di animali e uomini e che si cura normalmente, mentre questo particolare ceppo mutato del batterio all’origine del panico è antibiotico-resistente. Ecco perché questa infezione ha provocato, solo fino ad ora, la morte di 38 persone in Germania e continua a spaventare.

Oggi giorno un allarme di questo genere provoca immediatamente delle domande nel cittadino informato: quali case farmaceutiche trarranno vantaggio dall’epidemia? Qualcuno vuole colpire la produzione di germogli? Perché se l’E. Coli si forma solo nell’intestino vivente, il veicolo dell’infezione sono le verdure? Si tratta di domande legittime, data la gravità della situazione e anche se questa non diventerà con ogni probabilità una nuova pandemia, occorre cercare di dare delle risposte.

Come prima cosa, più che capire se sono i cetrioli spagnoli o i germogli tedeschi il veicolo dell’infezione, sarebbe molto più utile soffermarsi sul perché si stanno formando batteri antibiotico-resistenti, che poi contaminano le verdure che mangiamo abitualmente crude. Pertanto, dove nasce un batterio modificato di questo tipo?

Andrea Manciano nell’articolo “Il batterio killer e l'industria dell'allevamento intensivo” pubblicato da il cambiamento.it, e tanti altri esperti con lui in giro per la rete, non hanno dubbi: negli allevamenti intensivi di bestiame trattati con elevate dosi di antibiotici.

Su greensite.it si trovano questi inquietanti dati: “il 50% degli antibiotici prodotti in Europa (10.000 tonnellate), per ammissione della stessa Federazione europea dei produttori di farmaci, è utilizzato per gli animali. Il 15% viene immesso nei mangimi, con la funzione di “prevenzione” di malattie e/o con la funzione auxinica (accrescimento della massa corporea)”.

Questo perché gli allevamenti intensivi espongono gli animali, polli e maiali soprattutto, allo sviluppo di molte malattie causate delle indescrivibili condizioni di vita imposte dai ritmi forsennati della produzione.  E’ ben noto come l’immunità agli antibiotici sia conseguenza del loro abuso e, se l’Unione europea sta facendo da anni delle campagne d’informazione per limitarne l’utilizzo negli esseri umani, è molto in ritardo sugli animali. Com’è possibile che sia ancora legale imbottire gli animali di antibiotici e poi darceli da mangiare?

Il Parlamento europeo ha recentemente approvato la Risoluzione del 12 maggio 2011 sulla resistenza agli antibiotici, dove è scritto che “considerando che la resistenza antimicrobica (AMR) è un problema di salute degli animali che il settore dell'allevamento in Europa si trova ad affrontare”, e “considerando che non sono sufficientemente chiari il ruolo che gli animali, gli alimenti di origine animale e i batteri resistenti presenti negli allevamenti svolgono nel trasferimento della resistenza antimicrobica agli esseri umani, con i potenziali pericoli che ne derivano”, chiede alla Commissione di elaborare un quadro giuridico che, insieme a delle approfondite ricerche nei Paesi membri su queste pratiche, permetta di legiferare nel merito della questione.

In pratica, non abbiamo idea di quali e quante dosi di farmaci assumiamo attraverso gli alimenti di origine animale. Invece di affrontare il problema della resistenza alle terapie antibiotiche, del dramma degli allevamenti intensivi, dei danni all’ecosistema provocati dal nostro eccessivo consumo di carne, ci si concentra a denigrare le verdure, innocenti veicoli di un batterio killer che non si sarebbe sviluppato in natura senza l’intervento dell’uomo.

Verdure che andrebbero meglio difese, durante tutto l’iter dalla produzione alla distribuzione, dal rischio di contaminazioni provenienti da altri alimenti. Ad esempio secondo Roberto Burdese, presidente di Slow Food Italia, esiste anche la possibilità che questa infezione sia legata all’utilizzo di batteri E. coli durante le manipolazioni in laboratorio di piante geneticamente modificate.

Sei bambini sono ricoverati attualmente con il sospetto di un’infezione da E. coli in Francia, dopo aver mangiato hamburger surgelati provenienti dalla grossa distribuzione. Mentre in poche settimane, le perdite complessive per gli agricoltori europei ammontano a 600 milioni di euro, la florida industria dell’allevamento intensivo ha saputo ben difendersi, con buona pace dei sei bambini francesi che speriamo che se la cavino.