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di Alessandro Iacuelli

Terminata la conferenza di Durban sul clima, la COP17, restano aperti i solidi dubbi, con la sola certezza che di soluzioni non ne sono state trovate. Non perchè non sia possibile affrontare il tema del riscaldamento globale da un punto di vista tecnico o scientifico, ma per motivi politici. Politica negoziata, tra tutti i Paesi del mondo, in vista della scadenza del Protocollo di Kyoto fissata per il 2012.

A Durban hanno negoziato 194 Stati e dopo notti insonni hanno partorito un accordo sulla riduzione delle emissioni di anidride carbonica e di gas serra. O meglio: non precisamente un accordo, infatti gli accordi sono due. Uno, denominato "Kyoto 2", altro non è che un prolungamento del Protocollo precedente fino al 2015. Il secondo verrà negoziato nel 2015, ed entrerà in vigore nel 2020. Pertanto, si tratta di un rinvio.

Resta quindi in piedi l'impianto pensato a Kyoto. Che non basta. Non basta perchè il Giappone ha fatto notare che non sarà in grado di ridurre le emissioni, il Canada neanche, la Russia non ha firmato. L'Italia ha firmato, pur sapendo che non riuscirà, proprio come per il protocollo di Kyoto, a diminuire le proprie emissioni serra come previsto dall'accordo.

E dopo? Il futuro è ancora più fumoso. Occorre aspettare tre anni per discutere e negoziare un nuovo trattato, che solo tra otto anni andrà in vigore. Decisamente un risultato risibile. Per tutto il mondo. Nonostante questo, il ministro dell'Ambiente Corrado Clini non ha esitato a dichiarare, dopo la chiusura dei lavori di Durban: "Credo che l'Italia sia nella condizione di giocare una partita da protagonista in questo nuovo partenariato tra l'Europa e le economie emergenti", riferendosi alla possibilità di investire nel settore delle riduzioni di emissioni in Paesi come Brasile, India, Messico e soprattutto la Cina.

Dal 2013 partirà quindi la seconda fase degli impegni di Kyoto a cui aderiranno l'Europa e una parte dei paesi industrializzati e poi si renderà operativo un Fondo Verde da 100 miliardi di dollari l'anno per aiutare i paesi piu' poveri. Un accordo che, almeno nelle intenzioni, offre all'Europa la possibilita' di costituire una piattaforma per lo sviluppo e la diffusione delle tecnologie che rendano possibile la crescita economica e la riduzione delle emissioni. Forse è proprio qui uno dei problemi: il pensare alla riduzione delle emissioni e ad ostacolare il riscaldamento globale senza mai perdere di vista la crescita economica. Nel bel mezzo di una crisi economica mondiale senza precedenti.

"Mentre il tema critico nel 1992 al Summit della Terra di Rio de Janeiro, e poi nel 1997 la Cop 3 a Kyoto nella quale venne siglato l'omonimo Protocollo, era l'accordo tra l'Europa e gli Stati Uniti ed il Giappone, oggi il tema critico, che però diventa una forza trainante e positiva è l'accordo, la convergenza in qualche modo, tra l'Europa, Cina, Brasile, Sudafrica, Messico, India", spiega ancora Corrado Clini, "L'accordo di Durban ha fotografato una situazione completamente nuova da questo punto di vista". Infatti, "gli Stati Uniti, il Giappone e il Canada che si sono ritirati dal Protocollo di Kyoto insieme con la Russia devono scegliere se rimanere fuori o invece partecipare al gioco che adesso è nelle mani dell'Europa, della Cina, del Brasile, del Messico, del Sudafrica", sottolinea Clini.

Le economie emergenti e l'Europa svilupperanno le tecnologie della Green economy a basso tasso di carbonio, conferma il ministro dell'Ambiente, "basta guardare la dimensione e i contenuti degli investimenti negli ultimi anni" di questi paesi verso il settore, con "la Cina che investe quasi il triplo degli Stati Uniti, il Brasile sta giocando un ruolo molto importante, l'India che sta lavorando su alcune nicchie con grande forza", senza tralasciare "altre economie, come l'interessante ruolo della Corea del Sud e quel che sta accadendo in Sudafrica" con
un piano "che associa la sicurezza energetica ed il ruolo delle rinnovabili e delle nuove tecnologie".

Verrebbe da chiedere al ministro se si sta parlando di clima, se si sta parlando di dimensioni del riscaldamento globale, e di quanto questo sia davvero legato alle emissioni di CO2, o se si sta parlando di possibilità di investimenti di miliardi di euro, con profitti enormi, in Paesi extraeuropei, cosa che con i cambiamenti climatici non c'entra molto. Sembra quasi che a parlare di economia, una delle più grandi astrazioni della storia dell'umanità, si perda completamente ogni punto di contatto con il concreto.

A parlare di dati concreti è Gianni Silvestrini, direttore scientifico di Kyoto club, che in un intervento a Radio 3 Scienza spiega: "Penso più probabile che a fine secolo ci sia un aumento della temperatura di 3 gradi". Secondo Silvestrini per "mantenere la temperatura al di sotto dei 2 gradi di aumento" non dovremo superare "le 450 parti per milione (ppm)" di concentrazione di gas serra in atmosfera. Il che significa che "al 2020 dovremo avere le stesse emissioni che ci sono oggi".

In pratica, proprio come a Rio e come a Kyoto, anche Durban si rivela un'occasione persa. Per politica. E la scienza cosa dice? Inabissamento di Stati insulari e di migliaia di km di coste, desertificazione, eventi climatici estremi e un numero sempre crescente di vittime. Queste le fosche previsioni degli scienziati, visto che la 17° Conferenza Onu sul clima in Sudafrica si e' chiusa senza il raggiungimento di un accordo vincolante in vista della scadenza di Kyoto.

La società civile, gli ambientalisti e il mondo della scienza rinnovano l'appello ad agire rapidamente per transitare verso un modello basato sulla sostenibilità sociale e ambientale attraverso la riconversione industriale, la democrazia energetica, l'agricoltura organica.

La realtà, è anche tempo di dirlo francamente, è che le conferenze mondiali sul clima sono solo chiacchiere slegate dal problema, e slegate dal trovare una soluzione. Come tutti gli accordi internazionali, servono a riequilibrare rapporti di potere tra Stati e a far girare soldi a livello internazionale, e a niente altro. A Durban non sono stati confrontati dati scientifici se non quelli "misteriosamente" elaborati in sede politica.

Sui dati a sostegno del riscaldamento globale di origine antropica (cioè causato dall’uomo) c’è un dibattito aperto che vede contrapposto il fronte degli scienziati che sostengono che la CO2 introdotta nell’atmosfera dall’uomo sia la causa principale del riscaldamento globale e altri scienziati che ritengono che questa tesi non sia supportata da evidenze scientifiche.

La verità è che fin da Kyoto si parla unicamente di legame tra riscaldamento globale e CO2, come se soltanto la CO2 possa essere responsabile dell'Effetto serra. E se ci fossero altre cause? Queste non vengono ricercate, non vengono portate ai summit mondiali. Questo nonostante ci si è accorti che la teoria del riscaldamento globale da CO2 è stata in parte sconfessata dalle misurazioni: non è solo la CO2 la causa.

Il risultato è che a Kyoto siamo riusciti a livello globale a far entrare anche questo nel mondo della finanza, con le famose "quote di emissione", che danno il permesso di emettere CO2 in atmosfera, che vengono comprate e vendute dagli Stati, tramite le solite banche. La finanza ha catturato anche questo.

La conseguenza è che sono nati forti interessi economici e politici intorno alle teorie del riscaldamento globale, interessi che hanno creato meccanismi per rafforzare le teorie che li alimentavano, ed oggi la possibilità di emettere CO2 è in vendita, quotata sul mercato.

La gestione dell’energia è diventato un problema pressante per tutti gli stati, il passaggio dai combustibili fossili ad altre fonti ha costi elevati che dovranno ricadere sulla collettività, pagati con denaro pubblico dei cittadini di tutto il mondo. Che potrebbero anche, in questo periodo di crisi, non voler pagare. Certamente può essere più agevole far digerire questi costi se vengono fatti in nome dell’ambiente, del riscaldamento globale, della CO2. Durban è servita a questo. Solo a questo.

Quel che sta avvenendo è una strisciante privatizzazione a scopo di profitto dell'aria, dell'atmosfera. Cosa altro sono, se non l'inizio strisciante di questa politica privatistica dell'atmosfera, le quote di emissione? Tutto il discorso sulle emissioni fino ad ora è servito proprio a questo: a fare entrare nell'economia globale anche l'atmosfera terrestre.