Nella notte del 9 Giugno del 2004, il Corpo Forestale dello Stato colpisce
in modo forte l'ecomafia campana. Scatta l'operazione Terra Mia, condotta
dalla Procura di Nola, che ha avuto l'indubbio merito di far scoprire per la
prima volta che il triangolo tra Acerra, Nola e Marigliano è un triangolo
di veleni. Prima, nessuno poteva immaginarlo. Gli stessi magistrati, dopo l'operazione
Adephi di qualche tempo prima, restarono sorpresi non poco nell'interrogare
un pentito di camorra che, per la prima volta, spiegò loro che l'immondizia
era diventata oro.
Sedici persone arrestate, 18 denunciate a piede libero, venne scoperta un'organizzazione
che smaltiva illegalmente i rifiuti derivanti dalla lavorazione dei metalli,
generando un inquinamento tale da configurare, per la prima volta in assoluto
in Italia, l'ipotesi di reato di disastro ambientale.
Nel corso delle indagini, durate due anni, furono sequestrati 26 siti di sversamento
illegali, ai confini di campi coltivati o di zone sottoposte a bonifica quali
i Regi Lagni.
Nella conferenza stampa che ne seguì, il comandante provinciale del Corpo
forestale napoletano, Vincenzo Stabile, dichiarò: "Il danno è
irreparabile, dato che l'inquinamento da metalli pesanti ha interessato anche
le falde acquifere". Almeno 120 ettari di terreno nel triangolo dei veleni Nola, Acerra, Marigliano,
secondo gli accertamenti degli inquirenti, sono pesantemente inquinati da polveri
di abbattimento dei fumi degli altoforni (fonti principali di diossine), dalle
scorie saline, dalle schiumature di alluminio e dai car-fluff (frazioni
di rifiuti derivanti dalla rottamazione dei veicoli dopo aver eliminato le parti
metalliche).
L'operazione consentì anche di tracciare una mappa precisa delle discariche
illegali nella zona, terreni nei quali si sversava "alla luce del sole",
come sottolinea Ciro Luongo, responsabile del nucleo investigativo della Forestale
che affiancò nelle indagini il Pubblico Ministero della Procura di Nola,
Federico Bisceglia.
Proprio il Pm di Nola volle anche puntualizzare che in questo caso la camorra
non c'entrava nulla o quasi, dichiarando che: "si tratta di imprenditori
che operano semplicemente in questi termini di illegalità". Tutti
gli arrestati non erano legati ad alcun clan criminale. Erano semplicemente
imprenditori, addirittura "puliti", che consideravano quel modo di
fare perfettamente normale, se non legale. Questo la dice lunga su quanto il
problema sia d'origine culturale, prima ancora che politica, in Campania.
Nel corso delle indagini la Procura di Nola si è limitata a volte a sequestrare
le aree, indirizzando agli enti locali competenti l'avviso che avrebbe dovuto
portare alla messa in sicurezza e alla bonifica prevista dalla legge Ronchi.
Sono passati quasi due anni da quel giorno.
Due anni dopo, in alcuni comuni dell'area, non c'è stata alcuna bonifica
di quei siti. I rifiuti sequestrati non sono mai stati messi in sicurezza.
Le aree sono state recintate, ma spesso in modo debole: sono stati apposti cartelli
ad indicare che vi sono rifiuti tossici, e poi abbandonate. Spesso a cielo aperto.
Con il passare dei mesi, spesso i cartelli sono finiti come souvenir in casa
di qualche adolescente appassionato di cartellonistica stradale; con il passare
delle piogge spesso nelle recinzioni si sono formate delle falle. Due anni dopo,
non è raro trovare bambini spesso ignari che giocano nelle ex discariche.
Già nel 2202 lo stesso Corpo Forestale dello Stato aveva lanciato l'allarme,
nel Terzo Censimento delle discariche abusive: solo il 21% dei siti sequestrati
e non più attivi risulta bonificato o messo in sicurezza.
A questo punto la domanda è: a chi spetta bonificare le discariche?
A rispondere sono i tecnici di "Vigilanza Ambientale", un'organizzazione
nata dalla collaborazione di un gruppo di giuristi e guardie giurate volontarie,
che raccoglie e fornisce utili informazioni a chiunque svolga attività
in modo volontario e non, di Polizia Ambientale.
Gli operatori dell'organizzazione ci ricordano che, a norma della legislazione
vigente (Decreto Ronchi), la bonifica delle discariche spetta sempre e comunque
al responsabile (e/o proprietario) dell'area. Vi sono casi di esclusioni di
responsabilità, nel cui caso il proprietario dimostri di non avere colpa
e dolo nella gestione e/o realizzazione della discarica.
In ogni modo il Comune deve provvedere in 30 giorni dalla segnalazione all'emissione
dell'ordinanza di sgombero e conferimento dei rifiuti; in mancanza in detto
termine deve provvedere a sue spese con successiva richiesta di rimborso.
Qualora invece i rifiuti siano abbandonati su suolo pubblico, il Comune provvede
direttamente alla rimozione in trenta giorni.
Quindi un tempo massimo di trenta giorni, a fronte di quasi due anni di età
dei suoli sequestrati dalla Procura di Nola.
Una volta sequestrato il sito, la competenza dell'eliminazione delle scorie
non è più dei tribunali, ma viene trasferita agli Enti Locali.
Che restano immobili.
Eppure, a sfogliare certi numeri della Gazzetta Ufficiale, si scopre che sono
stati anche emessi, e più di una volta, finanziamenti a pioggia ai comuni
per la messa in sicurezza.
Ci si chiede quindi come mai occorra ancora assistere allo spettacolo delle
discariche a cielo aperto, con tutte le conseguenze sulla salute della popolazione.
Non è cosa nuova, in Italia, che quando arrivano i finanziamenti su opere
pubbliche, il rischio di infiltrazione negli appalti da parte del crimine organizzato
è sempre alto. E in effetti i finanziamenti pubblici per le bonifiche
sono arrivanti davvero. Il ministero dell'Ambiente e della tutela del territorio,
con il decreto del 18 settembre 2001 sul Programma Nazionale di Bonifica, ha
individuato 40 siti di interesse nazionale da bonificare, per i quali sono stati
stanziati oltre 547 milioni di Euro, pari a circa 1.060 miliardi di lire, trasferiti
già alle Regioni. A questi finanziamenti vanno poi aggiunti quelli dovuti
dai responsabili della contaminazione, quando accertati.
Oltre 174 milioni di Euro sono destinati alle quattro regioni meridionali a
tradizionale presenza mafiosa. Risorse che, come denunciano gli stessi addetti
ai lavori, sono a rischio di infiltrazione mafiosa.
Se, dopo i disastri ambientali provocati dalla criminalità, i soldi pubblici
dovessero finire in quelle stesse tasche, al danno farebbe seguito anche la
beffa. Quel che è certo, e che è sotto gli occhi della popolazione
della Campania, è che nonostante un Programma Nazionale di Bonifica,
di bonificato non c'è praticamente nulla.