Infuria da qualche tempo al di là dell'atlantico una strana passione
per Roma e il suo impero, questa passione riguarda in principal modo il domino
che la civiltà dei Cesari è riuscita ad ottenere in gran parte
del mondo conosciuto.
Nell'eccezione statunitense, gli USA rappresentano la versione moderna dell'impero
Romano e della sua missione civilizzatrice.
Principali animatori di questo dibattito sono le fondazioni di ispirazione neocon.
In questi anni, infatti molti analisti e think-tank vicini al governo
centrale hanno sterzato verso i paragoni con l'Imperium di romanica memoria.
Questa nuova retorica delle elites conservatrici ha trovato spazio, anche da
noi, in un articolo di qualche mese fa sul Il Riformista, in un editoriale
intolato "L'america faccia sua la lezione dell'Impero Romano". L'autore
è nientemeno che Rufus Fears,il presidente di quella Heritage Foundation
legata a doppio filo con il partito repubblicano e la figura di Ronald Regan. Partendo dalle difficoltà che i romani incontrarono nel soggiogare i
parti, antichi abitanti dell'attuale Iran, Fears lega questo evento remoto al
presente per trarne una lezione. L'America deve tenere sotto controllo quella
zona del mondo se vuole mantenere ed espandere il suo impero. Notate come Fears
vada oltre le parole d'ordine dell'amministrazione Bush, traducendole. Quando
il governo USA parla infatti di controllare il medio-oriente non cita ovviamente
l'importanza di quella zona per la propria egemonia, si riferisce piuttosto
ad una pretesa garanzia di sicurezza per il mondo intero.
Questo modo di ragionare però va bene per le pubbliche relazione, non per i think-tanks conservatori (siano essi paleo o neo). Dice sempre Fears: "La speranza dei fondatori era che anche in America avremmo visto le dette virtù dell'antica Roma; e gli stessi sapevano che, in virtù di una Costituzione di questo tipo, gli Stati Uniti sarebbero diventati un impero." Si ritorna (ce ne si era mai allontanati?) quindi alla dottrina del "destino manifesto" formulata nel 1845 dal texano John Sullivan. Cosa diceva costui? Sullivan riteneva che gli Stati Uniti fossero predestinati a spargere la democrazia liberale sull'intero continente americano (donato loro da una certa signora Divina Provvidenza). Questa idea di superiorità dovuta alle proprie libertà è sempre stata alla base dell'internazionalismo americano. Il pensiero ha avuto applicazioni varie: anche l'idealismo Wilsoniano può rientrare nella grande famiglia dei figli del "Destino Manifesto", al pari della politica estera aggressiva di Theodore Roosevelt (quello dei Teddy Bear per intenderci).
In comune con l'idea del "destino manifesto" c'è solo questa
fiducia determinista nei confronti del futuro: se infatti Sullivan e Wilson
ancora parlavano esplicitamente di democrazia e libertà (dove per libertà
si intende soprattutto libertà di commercio), Fears e la Heritage
foundation legano questi termini al dominio americano.
Chiariamo meglio questo concetto: mentre per gli internazionalisti democratici
il predominio degli USA era da volersi in quanto causa di libertà per
il resto del mondo, per i neo-imperialisti della destra americana la libertà
e la democrazia sono da volersi solo se - e fintanto - che rimarranno funzionali
agli interessi della madrepatria.
Ci si chiederà: e qual è la novità? Anche Kissinger lo
faceva. Vero, ma Kissinger non pubblicava articoli inneggianti all'egemonia
statunitense sui giornali "governativi" di mezza Europa. E' questo
il salto di qualità: le intenzioni stanno a poco a poco perdendo le loro
maschere bonarie.
Addentriamoci ora meglio nell'articolo di Fears, in particolare sulle sue conclusioni,
sugli insegnamenti da trarre dalla lezione romana. Una frase in particolare
individua il nuovo atteggiamento della destra conservatrice: "La pace e
la ricchezza dell'Impero romano derivarono dalla subordinazione di tali democrazie
liberali [quelle dell'Antica Grecia per Fears erano già democrazie liberali]
a un'autorità imperiale dominante in qualsiasi settore." Siamo molto
distanti dalle idee di Paul Bernarnd sulla natura antifascista dell'impegno
americano in medio-oriente. Non parliamo poi di quanto separa una affermazione
così netta dalla propaganda filo-bushiana secondo cui la politica statunitense
avrebbe come unico scopo quello di costruire un oriente democratico liberando
i popoli dalle dittature.
Fears lo ammette candidamente: "Alla fine i Romani compresero che la libertà
non è un valore universale: che le persone ripetutamente hanno anteposto
la sicurezza portata dall'Impero romano alle mirabili responsabilità
dell'autogoverno." E ancora: "Questo sistema (di libertà) non
poteva essere trasferito in altre parti del mondo."
Fa quasi paura pensare che i concetti espressi da queste parole sono stati
per anni usati in funzione critica verso la politica estera americana. L'idea
dell'impero un tempo aveva significato negativo, anche il termine pax americana
era accettato a denti stretti dai filo-usa per i suoi richiami alla pax romana.
Ora invece questo problema non esiste più per una parte della destra
americana: hanno accettato la strada dell'egemonia e ostentano con fierezza
la loro scelta.
Questo però non è tutto: Fears si spinge infatti oltre nelle sue
analisi arrivando a dire che la stessa costituzione era inadatta al ruolo egemonico
di Roma: la Repubblica cadde perché altrimenti non sarebbe stato possibile
costruire l'Impero. Un'affermazione del genere, detta da un esponente così
influente sull'amministrazione Bush, lascia quanto meno di sale. E' una - nemmeno
troppo velata - conferma delle critiche che da sempre intellettuali di sinistra
come Chomsky portano al sistema americano. Siamo di fronte insomma ad una involuzione
di un sistema già di per sé non eccelso. Questo processo di degenerazione
del liberalismo non è per Fears ancora giunto al punto di non-ritorno.
La domanda su cui si giocherà la politica estera degli americani sarà
dunque la seguente: "Siamo disposti a seguire il cammino dell'impero?".
Perché, dice ancora Fears, "quando ci si incammina sulla strada
che porta a essere una superpotenza, non si può fare marcia indietro."
Nell'Iran i falchi dell'amministrazione Bush vedono più che un nemico da abbattere; per loro il regime di Ahmadinejad è l'ultima boa da superare per avviarsi verso il cammino imperiale. Il cammino del Nuovo Secolo Americano.