Stampa

di Liliana Adamo

Tutto ha inizio da uno scarabeo: quando Carl Gustav Jung rivolge lo sguardo verso la finestra, vedendolo battere sul vetro, ripetutamente, come se reclamasse d’entrare, egli allora osserva più attentamente la sua paziente, una giovane donna chiusa nel suo alto livello culturale, in un modus operandi così raziocinante da essere resistente a ogni introspezione.

E nel momento in cui lei racconta come, in sogno, le viene donato uno scarabeo d’oro, il ticchettio ostinato di una cetonia aurata (uno scarabeo, appunto), giunge a sbloccare la situazione: “Ecco il suo scarabeo!”, esclama l’analista. Si apre dunque una breccia nella logica granitica della paziente verso un mondo più vasto di ciò, che, perentoriamente, può suggerirle l’intelletto.

E’ il momento della “sincronicità”, perché Jung, riporta l’episodio nel suo libro dedicato a questa particolare speculazione, atipica, innovatrice: “A differenza della causalità, la sincronicità si dimostra un fenomeno connesso principalmente con processi che si svolgono nell’inconscio. Alla psiche inconscia spazio e tempo sembrano relativi, ossia la conoscenza si trova in un continuum spaziotemporale in cui lo spazio non è più spazio e il tempo non è più tempo. Se quindi l’inconscio sviluppa e mantiene un certo potenziale alla coscienza, nasce la possibilità di percepire e conoscere eventi paralleli…”.

E tali “eventi paralleli”, vale a dire due situazioni complesse, contemporaneamente connesse, totalmente acasuali ma legate da un rapporto del medesimo contenuto, non possiedono, tuttavia, valenza scientifica (né ai primi del Novecento, tantomeno oggi) e vanno di diritto ad ascriversi in quelle che i più definiscono “fenomenologia paranormale”; cosa che ha sempre affascinato lo psicanalista elvetico, pur avendo egli stesso condotto la paranormalità in una dimensione conoscitiva oltre ciò che ne consegue ogni sistema logico.

Procediamo per ordine: nel 1916, poco dopo la defezione dal gruppo che sosteneva a spada tratta il metodo scientifico (cui i risultati sono oggettivi, affidabili, verificabili e condivisibili), Jung riflette a lungo sulla possibilità d’affiancare al principio di casualità, quello finalistico. Pertanto: “La casualità è solo un’origine, la psicologia non si esaurisce con metodi casuali, perché lo spirito (la psiche), vive ugualmente di finalità…”. E distingue di netto, la sincronicità dal sincronismo (dove gli eventi possono accadere nello stesso tempo, ma privi di significanti comuni).

La sincronicità si basa, invece, su una visione collegata al pensiero magico, a qualcosa di poco comprensibile scientificamente; accadimenti nella nostra vita che sembrerebbero precognitivi, legati a una sorta di “divinazione interiore”, segnali sparsi ad arte sul nostro percorso, per comunicare un nesso che ci riguarda strettamente, in colloquio profondo con la nostra psiche. Che sia affermativa o negativa è una risposta esterna oggettivamente impersonale ma simbolicamente rappresentata. La sincronicità, quella credibile, porta con sé un alone di mistero, di sopranaturale. E’ ineffabile e allora ci colpisce, mettendo a dura prova certezze e buon senso.

Il presunto rapporto tra fisica quantistica e sincronicità? Jung credeva fermamente in una simmetria tra fisica e dottrina psicanalitica, due cognizioni solo formalmente distanti tra loro. In Energetica Psichica è chiaro come il concetto di energia pura si armonizzi con quello della fisica teorica, un’intuizione formidabile per quei tempi (1928).

E avviene proprio in quegli anni l’incontro che rafforza tale tesi, con Wolfang Pauli, fisico austriaco, premio Nobel nel 1945. Pauli, suo paziente, era un dissociato psichico, forse anche per l’impegno profuso negli studi e il fallimento del suo matrimonio…ma se l’analisi è presto abbandonata, da quell’incontro nascono altri elementi utili a entrambi.

Se “Pauli non capiva niente di psicologia e Jung non capiva nulla di fisica” tutti e due avevano studiato le scienze d'Alchimia Ermetica e, dunque, la condivisione di certe idee, dalle quali scaturivano le problematiche psichiche cui soffriva Pauli; tra i due s’instaura una profonda amicizia.

La ricerca di Jung e Pauli si concentra sul “quarto escluso” identificato in fisica teorica nel modello di “triade” e (in Alchimia), per ciò che concerne la psicoanalisi, la rappresentazione, appunto, di una triade in attesa del “quarto elemento”: un escluso, che decretasse la legittimità di tutto ciò che finora, era stato annoverato, costatato e accettato. In questa fase, la sincronicità si rivela, di per sé, traccia fondamentale, anche nel modello di fisica teorica.

E dunque: tempo/spazio/casualità, mentre, il “quarto escluso” è ascritto nella “sincronicità”. In corrispondenza al caso che agisce in progressione temporale, si mettono in connessione “eventi” (“segni” del nostro percorso interiore), che intervengono nel medesimo spazio ma in momenti diversi (o in momenti strettamente correlati). S’ipotizza, quindi, l’esistenza di un principio che ammette tale connessione, in un tempo equivalente ma in spazi diversi, perché essendo casuali, non provocati da un effetto, sono così pertinenti al principio di atemporalità.

La sincronicità non fa che mettere in luce la dimensione olistica all’interno della quale viviamo. Ciò che chiamiamo materia e ciò che chiamiamo mente appartengono entrambi a un unico livello di senso, a un orizzonte d’interconnessioni cui noi siamo parte…La ricerca più avanzata della fisica apre le porte a una “smaterializzazione” sempre più netta della materia, mostrandoci come essa possa venire concepita alla stregua di un campo dinamico che veicola incessantemente informazioni. In quanto coscienze in atto, produciamo informazione, che a nostra volta riceviamo a un livello inconscio dal mondo in cui siamo immersi…”.

Uno dei principi della fisica quantistica è nell’asserto, esse est percipi (esistere è essere percepito). La coscienza e il pensiero umano vanno considerati come entità fisiche. E già questo asserto ha in sé un che di sorprendente. E, nel campo della fisica, molto più sorprendenti sono le teorie che, da Pauli in poi, si sono rivelate esatte: pensiamo alle ultimissime tecnologie, i semiconduttori che sono alla base di ogni dispositivo elettronico, oppure, ad esempio, la luce laser, i navigatori satellitari, la branca della spettroscopia, con la quale s’indaga l’Universo, i computer quantistici e tanto altro.

E’ dunque è a una nuova visione e interpretazione della realtà (non più deterministica), cui dobbiamo guardare: in un possibilismo che non produce più distinzioni nette tra cause, effetti, osservatore e osservato e ci pone una condizione, che include una certa libertà di scelta, rispetto alla precedente.

Ciò nonostante, dopo che Jung scrisse "Sincronicità come Principio di Nessi Acausali" (1952), dopo anni di conflitti etici, logici, egli finì per ritenersi inabile a una formulazione definitiva e attendibile. Da studioso inflessibile e pragmatico, Jung si sentiva intralciato dalla sua stessa comunità di psicoanalisti e da quella scientifica. Eppure, i dati empirici di vent’anni e più dedicati alla sincronicità, una fenomenologia priva d’applicazione in campo scientifico, gli fanno affermare, nella prefazione della sua opera che: “La sincronicità… può aprire una strada verso una regione ancora oscura, ma di grande importanza per quanto riguarda la nostra concezione del mondo…”.