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di Fabrizio Casari

Nato in un paese di andanti, di migrazioni mai insultate e di destini mai definitivi, di cognomi misti e storie intrecciate, di malinconie e poesie senza la noia dell’ovvio, Eduardo Galeano, giornalista e scrittore, ha sedotto almeno tre generazioni di lettori. L’uomo che volava scrivendo, nemico acerrimo di ogni dittatura ed entusiasta amico di ogni rivoluzione, ebbe a muoversi dal suo Uruguay, obbligato dai militari che, giustamente dal loro punto di vista, non ne apprezzavano la penna e la parola.

Dall’Uruguay all’Argentina, poi in Spagna, Eduardo Galeano dovette migrare per colpa di pensieri e parole poco gradite ai gorilla in uniforme che schiacciavano libertà e persone. Riuscì a fuggire dalle manette dei militari e da quelle delle opportunità e, per quanto l’esilio lo colpì, non divenne mai estraneo a nessuna terra e in nessun luogo.

A riconoscere il suo valore furono proprio i golpisti, che proibirono la circolazione del suo libro più importante, Le vene aperte dell’America Latina. In quel libro, tradotto in tante lingue e vietato in alcuni paesi, Galeano raccontò tutto quello che la regola dell’amnesia proibisce. Fu il libro che il presidente venezuelano, Hugo Chavez, nel 2009, regalò a Obama affinchè lo statunitense potesse comprendere la storia autentica del saccheggio e del sangue.

Lunga e variegata fu la produzione intellettuale che accompagnò i sentimenti di Galeano. Da Le vene aperte dell’America Latina alla trilogia Memorie del fuoco, da Giorni e notti di amore e di guerra, a L’America non è stata ancora scoperta, e poi l'incursione nel calcio con Splendori e miserie del gioco del calcio, quindi Il libro degli abbracci, Il mondo a testa in giù, Mujeres e tante altre pubblicazioni. Fondatore della rivista Brecha, collaboratore di molti dei giornali migliori dell’America latina, chi lo leggeva anche solo una volta trovava insopportabile poi non leggere tutto quel che scriveva.

Non c’è posto del mondo dove le persone sono state sottomesse al denaro, dove il disordine creativo sia stato imprigionato dalle leggi dell’invisibile mercato, che non abbia visto Eduardo Galeano a raccontare l’urgenza della memoria viva, il bisogno del rifiuto.

A spiegare come nacque l’impero e chi ne pagò il prezzo, come la crescita smodata del poderoso riposò sui cadaveri degli umili, come il sottosviluppo dei deboli non sia l’infanzia del loro sviluppo bensì la conseguenza dello sviluppo dei forti. Affascinato dalla cultura dei popoli indigeni d'America, raccontava di come Maya, Atzechi, Incas, senza il rumore degli stati moderni, conoscevano e diffondevano, apprendevano mentre insegnavano.

Ha raccontato l’umanità andante e ferita, i dannati della terra e le vittime designate del grande gioco della diseguaglianza, le carni e le idee di quei tanti, tra uomini e donne, capaci di vincere quando non c’era niente da perdere e capaci di perdere vincendo. Sembravano carezze le parole scritte, che anche quando incolpavano e condannavano riuscivano a trovare il tono dell’anima.

Come in una lettera all’umanità, come a voler riparare i torti della storia e le colpe delle amnesie, Eduardo Galeano sapeva accarezzare gli occhi e svegliare coscienze. Ha raccontato di criminali e di giusti senza mai incedere nel peccato della ragionevolezza.

In un mondo che rincorre il denaro e il successo, che misura ciò che si è a seconda di quanto si ha, Galeano ha rappresentato la ribellione delle parole, la rivoluzione del senso comune, i dettagli che formano le cose e le persone che poi cambiano la storia.

Insubordinato permanente alle regole dell’editoria consigliata, violatore impenitente dell’ordine consentito, ha contestato tutta la vita la dittatura della paura, mentre ha raccontato l’epopea degli umili con un amore assoluto, trasformando le parole d’amore nella più contagiosa delle armi. Terapista dell’indifferenza, insegnava a tenere dritta la spina dorsale.

La sua ultima migrazione lo vede andare ora, come sempre ha fatto, in ogni dove. Vi prenderà la residenza senza chiederne il permesso. E magari anche da lì scriverà per ricordarci che cessiamo di essere quando dimentichiamo chi siamo e che solo il batterci per il riscatto degli ultimi potrà permetterci di sentirci vivi.