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Un Oscar Wilde rivisto in chiave moderna, quello che la compagnia dei giovani del Teatro Stabile dell'Umbria sta portando in scena, cimentandosi con la famosa opera, L’importanza di essere Earnest, per la regia di Antonio Latella.

La quarta parete teatrale si materializza e il regista decide di mettere in proscenio una sfilata di grandi finestre che invitano gli spettatori a guardare oltre il brillante meccanismo della commedia. In un certo senso lo spettatore è quasi un voyeur, che spia nelle pieghe del rigido conformismo della società vittoriana, per osservarne le trasgressioni istericamente dolenti.

La nuova traduzione di Federico Bellini dà forma a un libero adattamento che nella visione di Latella racchiude tanto della vita dell’autore. Un'opera, quella di Wilde, di grande potenza dissacrante nei confronti di un'epoca, quella vittoriana, dove l'apparenza contava molto di più dell'essere.

Wilde, accusato dal padre del suo giovane amante, venne condannato per omosessualità a due anni di prigione e lavori forzati. Quando consegnò alle scene l'opera, nel 1895, il processo legale nei suoi confronti era già iniziato. Il modello scelto dallo scrittore per narrare la vicenda dei personaggi ricalca il suo stile di vita.

Il suo essere un esteta, la sua voglia di non sottostare a vincoli sociali e a convenzioni sciocche, ma di poter pienamente godere della vita sono alla base anche di quest'opera. Nel 1897, a primavera, lo scrittore uscì dal carcere, gravemente indebolito nel fisico e moralmente distrutto. Tre anni dopo morì a Parigi, dove è sepolto al Père La Chaise.

“Più leggo le parole di Wilde e più sento la necessità di 'stare in ascolto' – afferma Latella - ascolto la sferzante banalità, ascolto i tanti doppi sensi, ascolto la leggerezza, ascolto l’ironia, ascolto la cattiveria. Ascolto lo sfidarsi di fioretto, dove la 'toccata' è un’abilità donata all’esperto della parola; tutto ciò che viene detto è per ottenere una risposta, una difesa, un attacco, un affondo programmato da chi parla.

Con Wilde imparo ad ascoltare ciò che viene omesso, il non detto; comprendo che il vero dialogo non è nelle parole dette, ma in quelle nascoste abilmente dietro i suoi personaggi”. Il regista sceglie così un linguaggio nuovo per narrare Wilde, senza lasciare troppo all'immaginazione, e il risultato non è banale.