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di Liliana Adamo

Come un sociopatico al cospetto d’atti violenti sia capace perfino a provare dei sentimenti, così Michael Slezak (columnist di The Guardian, fra più preparati e agguerriti sulle tematiche ambientali), è riuscito quanto basta ad avere reazioni emotive dinanzi al pericolo soverchiante dei cambiamenti climatici. Dopo cinque anni ad acquisire conoscenze scientifiche in base a un fenomeno complesso dagli esiti tuttora imprevedibili, il suo distacco professionale si è finalmente trasformato in panico.



A smuovere le acque sono stati tre casi o fattori paralleli: il primo, l’ampiezza delle sciagure provocate dal clima enumerate nell’arco del 2016; il secondo, legato a un’imminente paternità; il terzo fattore, che ha liberato in lui una siffatta e definitiva risposta emotiva, si è concretato nel momento in cui Donald Trump ha assunto l’incarico presidenziale alla Casa Bianca. Un panico allo stato puro, il terrore che da ultimo, per un giornalista serio ed esperto, sgretola quel muro d’oggettività  davanti a un disastro incombente.

Si chiede, Michael Slezak, se il resto della collettività prova la medesima reazione viscerale in un mondo ormai imprigionato dal CO2, mentre pone l’attenzione sul nuovo studio circa il permafrost, il rilascio del metano in atmosfera, la temuta scissione dell’Artico; non basta l’impatto sociale ed economico, non basta la tecnologia, né le riconversioni finanziarie per un pianeta in rotta di collisione con la catastrofe.

Se lo chiede, Michael Slezak, nel frattempo che, quel Donald Trump, sintetizza la sua prossima linea politica con un semplice tweet: “Bisogna smetterla con questa costosissima cagata del riscaldamento globale. Il nostro pianeta sta congelandosi, temperature basse record, con i nostri scienziati del riscaldamento globale intrappolati nel ghiaccio”.

Per un negazionista d’eccellenza, con competenze scientifiche e culturali equiparabili a quelle “di un bambino di quinta elementare” (opinione dei luminari in campo climatico e del sito fact-checking ClimateFeedback), il repertorio sul global warming si traduce in scherno e burla, così da beccarsi la risata dell’americano medio inebetito dagli sketch televisivi: “Fa davvero freddo fuori, dicono sia una grande gelata arrivata settimane prima del normale. Ragazzi, potremmo usare una bella, grossa dose di riscaldamento globale!”.

Sui cambiamenti climatici e su molto altro, il neo presidente degli Stati Uniti gira al contrario, il mondo intero va in una direzione, Donald Trump inciampa nell’altra. Rivendica la “bufala” del surriscaldamento del pianeta come manovra della Cina ad accelerare il sorpasso economico, non considerando, per esempio, come per la maggior parte degli americani e la maggior parte degli abitanti del globo, la vita quotidiana appare sempre più dominata sull’onda di un clima “estremo”.

Nel 2016, terzo anno consecutivo, si è superata la temperatura record precedente, in pratica, nell’anno più caldo mai registrato in questo secolo, vaste aree del pianeta sono state distrutte dalla siccità e altre, distrutte da precipitazioni mai viste a memoria d’uomo.

Il neo presidente è privo di perspicacia: la stessa Cina procede spedita verso la de-carbonizzazione con costi in netta concorrenza rispetto a quelli dei combustibili fossili. Un affare conveniente, tutto sommato. Perfino l’India ha piani ambiziosi per le energie rinnovabili. Studiosi d’economia politica precisano che se Trump vuole ridare prestigio all’America, il modo migliore è creare posti di lavoro ben pagati nell’ambito d’energie e tecnologie del futuro, altro che “protezionismo” e ritorno a risorse fossili ormai allo stremo.

Barack Obama aveva fatto molto per riabilitare l’approccio post-illuminista alla scienza del clima, ponendo il surriscaldamento globale al pari di “minaccia immediata alla sicurezza nazionale”. Ha sostenuto, anche con aiuti finanziari, la spinta all’economia “verde” e gli accordi all’ultimo summit di Parigi per limitare le emissioni di gas serra. Mr. Trump giura solennemente di rimangiarsi tutto, soldi e intese.

Il miliardario neo presidente è deciso a mantenere le promesse elettorali, tutte a discapito del clima: smantellare l’EPA, già esausta Agenzia Americana per l’Ambiente, consentire trivellazioni petrolifere sulla costa atlantica, ripristinare il famigerato progetto del Keystone XL, mega oleodotto destinato a tagliare in due l’America del Nord, rigettare l’adesione all’accordo di Parigi, come, appunto, fin qui detto.