Stampa
di Sara Nicoli

Sarà l’incontro di martedì prossimo a mettere un punto nella vertenza che oppone i lavoratori di Alitalia all’azienda e, di conseguenza, al governo. Mentre diventa sempre più intricata la questione legata alla privatizzazione, la situazione dell'Alitalia appare disperata soprattutto a chi ci lavora; aggravata, se possibile, dal fatto che sia in corso un'asta per assegnare a dei privati il 49,9% delle azioni in mano al Tesoro. Ogni azione di lotta si trova infatti stretta nel ricatto tra l'aggravare la crisi aziendale e perdere ogni diritto di interlocuzione come lavoratori e sindacato. Un ginepraio da cui è difficilissimo districarsi. Al centro della protesta, che ha conosciuto una tregua solo nelle ultime ore in attesa dell’incontro tra azienda e sindacati previsto per martedì 29, ci sono, com'è noto, la richiesta di rinnovare il biennio economico dl contratto (scaduto da 17 mesi) e le violazioni messe in atto dall'azienda (ad esempio sulla composizione degli equipaggi). Nell'ultima settimana l'applicazione puntuale di regolamenti e contratti ha provocato la cancellazione di una trentina di voli al giorno, ma l’audizione delle parti presso la commissione di garanzia ha messo solo in ulteriore evidenza l’inconciliabilità delle parti, con Alitalia che nega qualsiasi violazione e i sindacati a produrre la documentazione in cui i vertici aziendali ammettono di agire in modo contrario. Alla fine ci si è messo di mezzo anche il ministro dei Trasporti Andrea Bianchi. Una mediazione, la sua, che è stata apprezzata dai sindacati - Cgil, Cisl, Uil, Sdl, Avia, Anpav, Ugl - che chiedevano un intervento serio e diretto dell'azionista (ovvero del governo) e alla fine l’hanno ottenuto. Fino a qualche giorno fa, a detta delle parti sindacali l’azienda si era chiusa al punto di non cercare più neppure un confronto con la controparte. E ad aggravare la situazione, già fortemente tesa, ci si è messa anche la decisione dei vertici dell’azienda di avviare provvedimenti disciplinari nei confronti dei lavoratori che hanno richiesto il rispetto del contratto.

Sembra proprio che il fondo, in Alitalia, non sia stato ancora toccato. Martedì, tuttavia, ci potrebbe essere una schiarita se l’azienda accetterà, almeno, la soluzione di una delle istanze principali della vertenza, quella dell’adeguamento dei salari all’inflazione, fortemente rivendicate da hostess e steward.

Intanto, sul fronte della privatizzazione della compagnia, i tre candidati in gara (l'italiana Ap Holding di Carlo Toto, che controlla AirOne; la russa Aeroflot in cordata con Unicredit; i fondi americani Tpg e MatlinPatterson con Mediobanca) sembrano insoddisfatti dall'incompletezza dei dati forniti dall'Alitalia, sui quali dovranno elaborare l'offerta vincolante.

Fin qui lo schema dei pretendenti al “trono”Alitalia. Un “trono” che, tuttavia, mostra evidenti segni di cedimento. I conti 2006, puniti dal mercato con un calo del 3% che ha riportato il titolo sugli 85,5 centesimi di euro per azione, hanno fatto emergere due distinti partiti intorno al tema della privatizzazione. Da un lato c’è chi, come il presidente del gruppo Cir, Carlo De Benedetti, si è dichiarato “non pentito” della scelta di essersi ritirato dalla gara per la privatizzazione della compagnia.

Dall’altro chi come Jean-Cyril Spinetta, numero uno di Air France-Klm, ha lasciato intendere che, “mai dire mai”, ci potrebbe ancora essere un interesse per i dossier Alitalia in futuro. “Noi consideriamo solo operazioni che creano valore per gli azionisti”, ha precisato al riguardo Spinetta, ma “questo non esclude che non possiamo esaminarlo di nuovo in futuro”. Quando?

Probabilmente dopo un “cura da cavallo” in parte somministrata dallo stesso venditore, visto gli scorpori di personale e la decisione di accelerare sul tema della ricapitalizzazione. Intanto uno dei possibili futuri acquirenti, Aefoflot, ha precisato per bocca del suo direttore finanziario, Mikhail Poluboyarinov, di essere preoccupata per la situazione finanziaria del vettore italiano e pertanto di preferire l’ipotesi di acquistare il 39,9% della compagnia lasciando al Tesoro l’ultimo 10%. Una scelta che piace ai russi perché hanno capito “che il 39% ci darebbe la maggioranza nel cda, quindi non c’è motivo di comprare il 49%”, ma che potrebbe anche trovare l’accordo dei sindacati, che in questi giorni avevano tuonato contro l’ipotesi di una uscita totale dello Stato dalla compagnia.

Una privatizzazione a tre quarti, quindi, che sarebbe letta come una sconfitta dal Tesoro e che, certamente, non porterebbe dentro l’azienda quella liquidità necessaria al rilancio e alla stabilizzazione sul mercato. A nessuno degli acquirenti, tuttavia, sfugge il fatto che è quello dei rapporti sindacali uno dei principali punti critici della situazione Alitalia e nessuno sembra davvero intenzionato a sobbarcarsi dell’onere della stesura di un nuovo patto sociale interno che garantisca la gestione del personale del vettore italiano. Insomma, la partita Alitalia è ancora tutta da giocare. Ma il governo, in questo momento, non sembra in grado di fare neppure l’arbitro.