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di mazzetta

Mai come nell'anno appena trascorso si è sentito dire che c'è poco petrolio e che è destinato ad esaurirsi; quest'ultima affermazione in particolare va presa e maneggiata con attenzione e circospezione estrema. Il petrolio non finirà tanto presto. L'affermazione corretta è che siamo giunti al punto in cui la produzione del petrolio non può soddisfare una domanda esuberante e in crescita esponenziale, ma questo significa che ai tassi di produzione attuale le estrazioni potrebbero continuare per oltre un secolo. Trattandosi di un fenomeno globale, ha poco senso salutare il calo dei consumi di idrocarburi nei paesi avanzati, principalmente dovuto ai feroci aumenti di prezzo. A prima vista si potrebbe gioirne, posto che significherebbe una drastica riduzione delle emissioni di Co2 ed altri inquinanti nella biosfera, se non fosse che tutto il petrolio prodotto viene comunque bruciato, poco importa se in Europa o in Cina. Risulta quindi abbastanza intuitivo che l'eccesso della domanda non dipende dall'eclissi della produzione, ma dalla sua incapacità pratica di inseguire gli aumenti esponenziali della domanda stessa e che questo fenomeno non incide minimamente nel senso di ridurre la quantità di emissioni. La teoria del Picco del petrolio”, indica proprio il momento nel quale la produzione di petrolio diventa incapace di sostenere l'aumento di richiesta. La pessima notizia è che tutti gli sforzi tesi a ridurre le emissioni in atmosfera sono destinati a non contare nulla, visto che nella migliore delle ipotesi il volume complessivo delle emissioni non diminuirà.

In questo scenario le fonti rinnovabili sono impiegate per diluire la crisi, piuttosto che per risolverla. L'aumento di potenza prodotto da fonti rinnovabili è completamente assorbito dall'aumento della domanda di energia, senza alcun beneficio per l'ambiente e senza alcun beneficio per le tasche dei consumatori, che quando si parla di energia sono nani di fronte ai giganti.

Le maggiori corporation del settore energetico e petrolifero operano quasi sempre in regime di semi-monopolio o in regime di cartello e spesso sono molto più potenti della maggior parte degli stati-nazione; quando operano immersi nel gigantismo delle maggiori economie nazionali e trans-nazionali sono quasi sempre in grado di influenzarne la politica. La situazione rende impossibile ipotizzare che chi controlla energia e petrolio possa davvero mettere in discussione il sistema vigente e le sue gerarchie andando nella direzione della rinuncia ad utili certissimi.

Anche i guadagni derivanti da migliorie tecnologiche sono in tutta evidenza assorbiti dall'aumento della domanda; inoltre, nell'economia del ciclo infinito, gli impianti e i veicoli che in una parte del mondo escono dal mercato perché obsoleti ed inquinanti, continuano a vivere e a inquinare a lungo. La dinamica è ben dimostrata dal mercato degli autoveicoli: a fronte della modesta flessione dei mercati nei paesi iper-motorizzati, c'è un aumento molto maggiore nella domanda nei paesi di più recente sviluppo. Nel nostro paese un paio d'anni fa si era raggiunta la saturazione delle strade, non è più fisicamente possibile un aumento del traffico poiché i veicoli circolanti arrivarono allora ad essere in numero sovrabbondante rispetto alla rete stradale, in questo caso l'aumento dei carburanti maschera il sottostante raggiungimento di un altro limite fisico alla crescita infinita.. I veicoli dismessi dai mercati premium finiscono poi sui mercati meno ricchi e continuano a circolare.

Non saranno quindi i virtuosi interpreti del mercato globale a spingere nella direzione della riduzione delle emissioni globali, che non caleranno perché petrolio se ne continuerà ad estrarre più o meno la stessa quantità per molti decenni, se non per un paio di secoli. Non sarà nemmeno la politica, che anche quando non sia influenzata dal potere delle corporation, non rinuncerà mai alla “ricchezza” portata dagli idrocarburi e al paradigma dello sviluppo infinito.

Nemmeno il riscaldamento globale sembra spaventare alcuno. Le menti più brillanti della comunità parlante occidentale sono ormai proiettate verso le grandi opportunità offerte dallo scongelamento dei Poli e della Groenlandia, la perdita di qualche località rivierasca sarà più che compensata dalla disponibilità di nuovi spazi. Spazio vitale, spazio da bruciare per produrre sviluppo, niente di nuovo. Ben pochi sembrano inquietati dal fatto che non è per niente detto che l'aumento della temperatura globale, che ormai nessuno discute, sia a qualche punto arrestabile a comando. Al contrario è noto che la dinamica di fenomeni su scala planetaria prevede il sicuro raggiungimento di un punto di non ritorno, quando eventi esterni alla dinamica non intervengano a modificarne le variabili.

Non è per niente certo che le temperature possano aumentare e quanto, né che si arrestino a un certo punto entro limiti compatibili con la vita sul pianeta. Assolutamente certo è invece che l'inquinamento fisico e chimico dell'atmosfera diventerà insopportabile molto prima di allora. Dall'inizio della rivoluzione industriale l'umanità ha prodotto fumi e polveri in quantità abnorme. Da tempo le parti per milione di inquinanti nella nostra atmosfera aumentano a ritmo sempre più elevato. Oggi scarichiamo in atmosfera quanto mai prima e non ci sono segnali d'inversione della tendenza, l'atmosfera accumula sostanze che non riesce a smaltire. Nel 2050 saranno aumentate di un fattore tre, se le emissioni non aumenteranno e se non diminuirà la capacità del pianeta di assorbirle e metabolizzarle.

Le eccessive emissioni di Co2 sono una parte del problema e come si pensi di affrontarlo è stato reso chiarissimo all'ultimo G8: ci penseremo tra cinquanta anni quando scopriremo che l'inutile e fumoso obiettivo lanciato attraverso le generazioni non è stato raggiunto. La riduzione delle emissioni in alcuni paesi “entro” il 2050 è una barzelletta di pessimo gusto. Allo stesso modo è chiaro ed evidente che l'uscita dall'era del petrolio sarà rallentata quanto possibile a mungere il massimo profitto dai pozzi, arricchendo chi controlla gli idrocarburi a spese delle collettività e del pianeta, fino al punto di rischiare estese estinzioni e morie epocali.

Non è una missione per Bush e Berlusconi, nemmeno Putin e Sarkozy la vorranno mai affrontare e nemmeno tra le seconde file della grande politica internazionale c'è una sola voce che proponga l'abbandono dell'economia fondata sul bruciare idrocarburi, che sarebbe l'unica direzione possibile e a lungo termine inevitabile. Le opzioni offerte dalle fonti rinnovabili sono ormai una realtà, ma la loro imponente diffusione genererebbe grandi sconvolgimenti nelle economie e nella bilancia dei poteri. Basti pensare alll'immenso valore che ha per un qualsiasi paese disporre dell'indipendenza energetica e si capisce che in termini di valore reale gli stessi vantaggi “ecologici” sarebbero dettaglio nel mezzo di sconvolgimenti epocali. Cè ancora troppo petrolio e l'energia open source fa paura.