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di Mario Braconi

C’era una volta l’America delle banche allegre e spregiudicate, che convincevano l’uomo della strada ad indebitarsi in modo insostenibile per comprare una casa, il cui costo era molto oltre le sue possibilità presenti e future. Era l’America strabica e bigotta raccontata dai songwriters più sensibili, il paese incomprensibile dove possedere ed usare disinvoltamente un’arma da fuoco è considerato moralmente meno disdicevole che concedersi una sigaretta; dove il concetto di fare la guerra ad un altro paese veniva e viene accettato senza patemi d’animo mentre non avere soldi per pagare i debiti era un marchio di infamia. Quel paese in qualche modo non c’è più, rivoltato come un calzino da eventi tanto distruttivi quanto inattesi ai più: il crollo del mercato immobiliare e la bomba dei subprime; i bilanci in rosso delle banche di Wall Street e il robusto e convinto interventismo statale, dopo che è stata abiurata in fretta e furia la fede, un tempo cieca ed acritica, nella “mano invisibile” del mercato. I tempi si sono fatti difficili e, tra gli altri, crolla l’ultimo mito a stelle e strisce: non pagare i propri debiti, lungi da trasformare l’insolvente in un paria, sta diventando quasi trendy. In effetti, una volta erano principalmente le persone in difficoltà economiche a farsi prendere la casa dalla banca che li aveva finanziati; oggi, anche grazie ad una scappatoia prevista dalla legge, sono sempre di più quelle che decidono di dichiarare bancarotta anche se dotati di mezzi sufficienti a coprire le rate. Immaginiamo il caso di un professionista che ha acquistato una casa per 500.000 dollari accendendo un mutuo ipotecario di pari importo. Se un bel giorno la sua casa valesse 300.000 dollari, egli continuerebbe a pagare (a frazioni) 500.000 dollari per una cosa che ne vale 200.000 di meno. Da un punto di vista contabile, il suo attivo (la casa) varrebbe molto di meno del suo passivo (il mutuo): gli anglosassoni definiscono questa situazione “negative equity”, ovvero “capitale negativo”.

Certo, il cittadino può anche decidere di farsi carico del suo “capitale negativo”; ma una legge emanata nel periodo della Grande Crisi gli consente di mettere in conto alla banca il suo “capitale negativo”. Se il cliente non paga, come noto, la banca può confiscargli la casa e venderla per cercare di recuperare il credito. Negli Stati Uniti, però, se la banca recupera in questo modo una somma inferiore alla sua effettiva esposizione, la legge le impedisce di rivalersi sul mutuatario per la differenza tra il quanto da lui dovuto e quanto ricavato dalla vendita delle di lui proprietà. Tutto questo, in tempi di mercati immobiliari in picchiata, costituisce un chiaro incentivo ad abbandonare il mutuo. Per questa ragione, oggi sono sempre più i benestanti che, facendo leva su una legge costruita in un momento di crisi, semplicemente smettono di pagare le rate, traslocano e lasciano che sia il loro direttore di filiale a sistemare il pasticcio.

Questo ci dice una prima cosa interessante: non esistono tabù perenni, se perfino in un Paese dove niente è più serio e più sacro del denaro, aumenta drasticamente la diffusione e l’accettabilità sociale dell’insolvenza. Karen Trainer, una professionista di successo intervistata dalla BBC, la mette così: “Certo, la mia solvibilità è uscita danneggiata dalla mia decisione di smettere di pagare il mutuo, ma nel giro di cinque anni (il periodo di tempo oltre il quale ogni evento negativo relativo alla storia creditizia di ogni privato viene automaticamente cancellato dagli appositi database ndr) mio marito ed io risaliremo la china; del resto, siamo franchi, la banca mi pagherà la pensione come premio perché ho fatto la brava ragazza e pagato il mutuo fino all’ultimo dollaro?”.

Quello che Nouriel Roubini definisce lo “tsunami” dei “falliti per scelta” sta travolgendo società e la finanza. In primo luogo la grande quantità d’immobili confiscati e messi in vendita produce una ulteriore depressione delle quotazioni, causando un avvitamento della crisi. Inoltre, i proprietari degli immobili aggrediti dalle banche sono spesso anche locatori e, in caso di confisca, i loro affittuari non hanno diritto ad alcun preavviso di sfratto: la banca li può semplicemente cacciare via di casa. Infine, calcola Roubini, una generalizzazione del fenomeno potrebbe causare al sistema bancario USA perdite stimate di circa 1.000 miliardi di dollari. Per capire la gravità del problema, si pensi che il totale del capitale delle banche americane si attesta intorno ai 1.300 miliardi: insomma tutte le banche potrebbero semplicemente essere spazzate via dalle perdite. E’ abbastanza ironico, a pensarci, che questa situazione così drammatica sia favorita da una legge scritta per aiutare le persone in difficoltà. Un ossimoro ad alta valenza simbolica per il paese dell’assurdo.