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di Luca Bartoli

Le menzogne di Berlusconi e Tremonti sullo stato dell'economia italiana hanno fatto sì che le proposte di Prodi per risalire la china del debito e ritrovare la competitività non possano che essere considerate insufficienti. Il rischio? Un default sul debito e l'uscita dall'euro entro 10 anni. Sono molto pessimistiche le previsioni del Financial Times sull'Italia dopo la vittoria di troppo stretta misura di Prodi alle politiche. La tesi e' contenuta nell'ascoltatissimo commento settimanale dell'editorialista Wolfgang Munchau, condirettore del quotidiano londinese. "La risicata vittoria della coalizione di centro-sinistra guidata da Romano Prodi - si legge nell'editoriale - costituisce il peggior esito immaginabile in termini di possibilità dell'Italia di rimanere nell'Eurozona oltre il 2015. Prevedo che gli investitori internazionali inizino ad assumere scommesse speculative sulla partecipazione italiana all'Euro entro la durata di un governo Prodi". Queste - puntualizza Munchau - non sono scommesse sull'impegno politico di Prodi nei confronti dell'Euro. Sarebbe infatti difficile trovare un politico più a favore dell'Europa dell'ex Presidente della Commissione europea. Sono invece scommesse sulle circostanze economiche "che potrebbero obbligare un governo a prendere decisioni che sono inimmaginabili fino al momento in cui diventano inevitabili". "Tutti sappiamo - sottolinea Munchau - che l'economia italiana si trova in profonde difficoltà. Ma é importante ricordare che i problemi italiani sono differenti da quelli della Francia e della Germania. Molte economie continentali sono afflitte da bassa crescita e alta disoccupazione. Anche l'Italia soffre di un basso livello di crescita anche se la sua creazione di posti di lavoro e' stata rilevante. Ma il problema dell'Italia é quello di non essere pronta ad una vita nell'Unione monetaria". Il Financial Times segnala la forte discrasia tra problemi e soluzioni proposte. Da un lato infatti "sin dalla nascita dell'euro nel 1999, l'Italia ha registrato un massiccio apprezzamento del suo tasso reale di cambio. I suoi costi unitari del lavoro sono cresciuti del 20% rispetto alla Germania. Ma mentre le retribuzioni tedesche reagiscono alla domanda aggregata, i salari italiani continuano a crescere a un ritmo del 3% annuo. L'Italia registra anche un problema di competitività di prezzi in molti settori economici. Un programma sensibile di riforme economiche dovrebbe concentrarsi sulla contrattazione salariale e sulla regolamentazione dei mercati dei beni e servizi".
Ma ciò che più preoccupa è che, secondo il quotidiano economico londinese, Prodi offrirebbe un tipo sbagliato di riforme, quelle stesse che già sono fallite in altri Paesi europei. E dal momento che la sua frammentata coalizione di moderati, socialisti e comunisti, avrà una sottilissima maggioranza in Senato, potrebbe anche non essere in grado di portare a compimento il suo "già insufficiente" programma.

Sotto il profilo più squisitamente politico, a parere del Financial Times, se l'Italia continuerà a perdere competitività macroeconomica, con conseguente stagnazione della crescita ma anche aumento dell'inflazione e dunque dei prezzi al consumo, "un movimento politico populista potrebbe ben emergere con un programma per l'abbandono dell'Euro".
"Proviamo a immaginare l'inimmaginabile - scrive l'editorialista e condirettore - e ipotizziamo che un futuro governo italiano riporti la lira: cosa succederebbe al debito del Paese, prevalentemente denominato in euro, che attualmente raggiunge il 106,5% del Pil? L'Italia sarebbe quasi certamente incapace di rimborsare pienamente le sue obbligazioni nei confronti degli investitori. E dovrebbe o riconvertire tali debiti in lire a un tasso di cambio sfavorevole agli investitori, o addirittura dichiarare apertamente l'insolvenza". Lo spettro Argentina? Ecco qualche cifra rilevante in prospettiva. "Dal punto di vista di un investitore l'abbandono dell'Eurozona é equivalente a un'insolvenza sovrana. E data questa prospettiva, perché i mercati finanziari non stanno ancora scommettendo su un tale evento? La scorsa settimana i rendimenti sui titoli pubblici decennali italiani registravano solamente un differenziale di 0,3 punti al di sopra degli equivalenti titoli tedeschi. E tale valutazione suggerisce che i mercati non vedono attualmente un alto rischio di default. Ma certamente, anche se qualcuno reputa improbabile l'abbandono italiano dell'Eurozona, il rischio non e' nemmeno pari a zero".

Secondo Munchau tre fattori potrebbero spiegare l'ottimismo del mercato. Primo, l'opinione che l'Italia potrebbe essere effettivamente intrappolata dentro l'Eurozona; lasciarla non risolverebbe alcun problema economico. E tale argomento ignora oltretutto il fatto che l'insolvenza di solito non é la conseguenza di una scelta razionale ma del panico.
Il secondo fattore, che spiegherebbe l'ottimismo del mercato sull'Italia, è l'opinione che la Banca centrale Europea, in ultima istanza, interverrebbe per evitare l'insolvenza di uno stato membro. Ma tale argomento - si legge ancora sul Financial Times - sembra sottovalutare la decisione della Bce di rispettare la propria regola di non salvataggio in tali circostanze".
Il terzo fattore é quello che "anche se si accettasse lo scenario peggiore, é ancora molto improbabile che l'insolvenza si materializzi entro la vita residua di un'obbligazione decennale. E tale argomento - sottolinea Munchau - offre la spiegazione più plausibile per cui i mercati non hanno ancora fatto pagare un premio di rischio più elevato sui titoli di stato italiani. E spiega anche perché i mercati obbligazionari sono notoriamente cattivi indicatori anticipati del rischio d'insolvenza: restano compiacenti fino a quando iniziano ad andare nel panico".

Questo il quadro, non certo esaltante. Ma alla fine dell'editoriale, il Financial Times si chiede, con una punta di retorica: "Dopo i risultati delle elezioni italiane gli investitori rimarranno altrettanto ottimisti sui seguenti dieci anni durante la vita di un governo Prodi? Esiste una ragionevole possibilità che il premio di rischio italiano possa salire nei prossimi cinque anni? Si. "La scorsa settimana - si legge nell'editoriale - gli investitori avrebbero pagato un premio annuale di 21.750 euro per assicurarsi contro l'insolvenza su di un investimento di 10 milioni di euro in un titolo di stato italiano a 10 anni. E si tratta di un livello molto basso, date le incertezze economiche e politiche. Ma gli investitori sofisticati sanno come costruire strategie di trading profittevoli da una situazione così sbilanciata. I mercati finanziari non possono provocare l'uscita di un Paese dall'Unione monetaria attraverso la speculazione valutaria, come fecero nel 1992 facendo uscire la Gran Bretagna dal meccanismo di cambio europeo. Ma per gli investitori esistono altri modi per sfruttare le difficoltà di un Paese dentro un'Unione monetaria". "Ecco perché - conclude Munchau - esistono dei paralleli tra l'Italia di oggi e la Gran Bretagna del 1992. Allora l'impegno della Gran Bretagna per il meccanismo di cambio appariva incrollabile, come l'impegno di Prodi per l'Euro ora. Ma la Gran Bretagna non era pronta né economicamente, né politicamente, a vivere in un regime di cambi semifissi. E la partecipazione dell'Italia all'Euro e' basata su fondamenti parimenti traballanti. Quattordici anni fa per gli investitori ci vollero pochi giorni per smascherare una bugia politica". E' probabile che in questo caso per l'Italia serva anche meno tempo, Anche se nella circostanza non si tratta di bugie ma di tentativi, forse disperati da parte di Prodi, di riequilibrare di quel minimo l'economia da allontanare il rischio del default. Ma se siamo arrivati ad un passo dal baratro, a chi dobbiamo i nostri più "sinceri ringraziamenti"? Al Cavaliere, ovvio, e a tutti i "furboni del quartierone" che in questi cinque anni di governo hanno pensato intensamente a riempire le proprie tasche ed a lasciare talmente a secco quelle degli italiani, portandoci al punto da far considerare anche i rimedi più pesanti non del tutto sufficienti a ritrovare stabilità e sicurezza per il futuro.