Stampa

di Luca Mazzucato

New York. La crisi finanziaria globale colpisce l’ultimo santuario del mercato: le Isole Cayman, rese celebri da Tom Cruise nel film “Il socio.” La settimana scorsa il governo della minuscola isola dei Caraibi ha preso la sofferta decisione di aumentare le tasse, piegando il capo sotto le forti pressioni del governo britannico. Le Isole Cayman ospitano 57.000 abitanti in carne ed ossa e 9253 “hedge funds,” i celebri fondi d’investimento che hanno avuto un ruolo di primo piano nel crollo di Wall Street nel settembre dello scorso anno. Secondo Barack Obama, la Camera di Commercio della capitale, dove sono registrate 19000 aziende, è “la più grossa truffa fiscale che si conosca.” Il particolare che rende attraente quest’isoletta alle porte di Cuba è, infatti, la totale assenza di tasse.

Proprio così: per avviare il vostro fondo d’investimento alle Cayman, dovete pagare tremila dollari una tantum per l’iscrizione al registro imprese. Una volta fatto questo, non ci sarà più alcun laccio o lacciuolo ad intralciare la vostra creatività imprenditoriale. Il giro d’affari delle attività finanziarie si aggira sul trilione e mezzo di dollari, una volta e mezza il PIL italiano: tutto assolutamente, rigorosamente, incredibilmente esentasse.
Alle Isole Cayman non esiste alcuna tassa sui redditi delle persone o sui profitti delle aziende.

Il paese deve le sue entrate principalmente al turismo e alla dogana, che preleva una tassa sull'import-export di merci (ma non di denaro). Fino ad ora, questa geniale intuizione fiscale ha reso un ottimo servizio agli abitanti delle Cayman, che possono vantare il reddito pro-capite di gran lunga più elevato dei Caraibi e il dodicesimo al mondo. Ma la crisi finanziaria dello scorso anno ha messo in ginocchio il paradiso fiscale. Una combinazione di minori introiti e spese eccezionali per la costruzione di nuove scuole, ha creato una voragine nel bilancio statale pari a seicento milioni di dollari, in rapida crescita.

Le Isole fanno parte del Commonwealth britannico e il Governatore, nominato da Sua Maestà la regina d'Inghilterra, detiene il potere assoluto sulla piccola nazione. Per graziosa concessione della regina, il Governatore lascia la gestione degli affari interni al capo del governo, eletto democraticamente. Ma questa volta il governo inglese è entrato a gamba tesa nella gestione dell'isola, promettendo duecentottanta milioni di dollari in prestito, a una condizione: che le Cayman comincino ad imporre una qualche forma di tassazione.

Alcune delle rivoluzionarie misure approvate dal Parlamento delle Cayman sono: l'innalzamento della tassa d'iscrizione per i fondi d'investimento multi-miliardari, che passa dai ridicoli tremila agli altrettanto ridicoli sessantamila dollari; svariati aumenti delle tasse legate al turismo, al commercio e ai permessi di lavoro; ma soprattutto, una tassa del due percento su tutte le transazioni monetarie, che potremmo definire una sorta di Tobin Tax.

Intervistato dal New York Times, il Presidente W. Bush (omonimo dell'omologo ex-presidente americano!) ha voluto subito rassicurare gli investitori internazionali: “Non abbiamo concordato nessuna tassa diretta sui redditi.” In sostanza, le Cayman si guardano bene dallo scalfire seriamente la reputazione di paradiso fiscale. “Cinquant''anni fa - prosegue W. Bush - non c'erano macchine, non c'era elettricità. Non torneremo a vivere sotto all'albero delle noci di cocco.” La ferma opposizione degli uomini d'affari ad un reale cambiamento di rotta non lascia altra scelta al governo. Piuttosto che introdurre tasse sui redditi, le Cayman falceranno i servizi offerti ai cittadini, a partire dall'eccellente e (finora) gratuito sistema scolastico.

I finanzieri dunque non intendono pagare un centesimo, nemmeno come forma di riconoscenza verso un'isola che permette loro guadagni stellari. L'unico a chiedere un piccolo sforzo alle grandi banche è Desmond Seales, editore del Cayman Net News, giornale d'opposizione. Alla domanda se non sia preoccupato che le tasse facciano scappare via i ricchi, Seales risponde laconico: “E dove diavolo andrebbero?”