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di Alesandro Iacuelli

gazprom E' appena iniziato il 2006, quando il direttore generale della World Trade Organization, Pascal Lamy, afferma: "These countries should pay today's market prices for their energy to improve the efficiency of their economies", aggiungendo che "così funziona il mercato". Ma stavolta a fare orecchie da mercante è il governo ucraino.
L'Ucraina - a detta di Yushenko - non aveva ricevuto spiegazioni fondate per quelle tariffe ma la risposta di Gazprom accusava il governo ucraino di "furto" di gas ed annunciava di essere pronta a portare le prove davanti alla comunità internazionale. Secondo il portavoce della compagnia russa, l'Ucraina aveva iniziato a effettuare "prelievi abusivi sul gas destinato ai consumatori europei". L'Ucraina, che come si ricorderà diede vita alla cosidetta "rivoluzione arancione", pur di sganciarsi politicamente dal vicino russo, non accettò l'offerta commerciale del Cremlino per le forniture di gas nel 2006 e Gazprom (la società dello Stato detentrice del monopolio sul gas) decise di chiudere letteralmente il rubinetto del gas. L'accordo trovato, per una cifra media tra vecchie tariffe e nuove pretese, ha comunque sancito la fine di una condizione precisa nelle relazioni russo-ucraine: quella per la quale, a distanza di 16 anni dalla caduta dell'Urss, i prezzi delle forniture rimanevano ancorati ad un regime di sussidio da parte di Mosca nei confronti di Kiev, mentre questa privilegia alleanze con i blocchi politici ed economici alternativi, quando non ostili, alla Russia. Da non tralasciare, dal punto di vista di Putin, anche delle ragioni di pura politica interna e di opinione pubblica: con ampie aree della Russia centrale che affrontano il duro inverno con poco gas (a volte nullo) per il riscaldamento, perchè continuare ad offrire gas a "prezzo politico" al vicino ucraino? Da non dimenticare che le elezioni presidenziali russe si fanno sempre più vicine e sempre più intensa si fa la pressione dell'opinione pubblica, in generale nazionalista e con voglie mai sopite
di "grande Russia".

Politica e affari, dunque, diversificati quando non contrapposti. Non era quindi difficile prevedere la mossa russa del taglio delle forniture del gas, alla luce dell'ondata di nazionalizzazioni nell'economia e nel settore dell'energia da parte del governo di Mosca, volto ad eliminare uno alla volta i grandi magnati russi emersi dalla caduta dell'URSS per riportare sotto controllo statale il delicato settore energetico.

Non nasce da oggi. Fin dal giorno della caduta dell'Unione Sovietica, e dell'indipendenza di molti stati dell'area, da Mosca si guarda all'Ucraina (come alla Georgia, alla Moldova, alla Russia Bianca e così via fino alla Cecenia) come "spazio legittimo russo". Le rivoluzioni "colorate" degli ultimi anni, quasi tutte spinte e volute dagli Stati Uniti, hanno di fatto amputato questo spazio, togliendo dall'influenza russa le varie repubbliche, ed isolando sempre di più il governo di Putin.
Nonostante questo, negli ultimi due anni, l'Ucraina ha continuato ad avere prezzi di favore sul gas, oltre che ad incassare esosi "affitti" per ospitare nei porti della Crimea la flotta della marina militare russa di stanza nel Mar Nero: per il solo porto di Sebastopoli l'accordo sulla divisione della flotta del Mar Nero prevede per l'affitto un pagamento da parte russa di 98 milioni di dollari all'anno e queste condizioni saranno in vigore fino al 2017.

Il quadro geopolitico attuale

Dal punto di vista delle relazioni internazionali c'è chiaramente in gioco un sottile equilibrio geopolitico in un'area considerata calda per l'intero blocco eurasiatico.
Il governo Ucraino, come quasi tutti quelli dell'area europea dell'ex-Urss, è ormai da un anno filo-americano e su posizioni sempre più svincolate da Mosca. Dopo la perdita dell'influenza sulla Georgia e sulle repubbliche asiatiche, sotto l'influenza del Cremlino resta ormai solo la Bielorussia, con la quale è in cantiere anche un progetto di riunificazione. Anche oltre gli Urali, dopo l'attacco USA all'Afghanistan, il panorama è denso di basi militari americane. In questo momento, gli Stati Uniti stanno affrontando, rispetto ad un anno fa, un deciso momento di debolezza sia interno che esterno e quindi non si possono distrarre su teatri secondari. La necessità di cautela per gli USA è dettata anche dalle manovre russo-cinesi della scorsa estate e dalla questione iraniana. Di conseguenza, questo è il momento politico giusto per la Russia, per cercare di riaffermare la propria influenza sull'area centrale del blocco euroasiatico. Il momento più opportuno, quindi, per far aumentare il proprio peso politico.
Al Cremlino hanno le idee chiare sul come proseguire questo tentativo di imbastire una politica estera con mire di egemonia sulla regione, ma ciò non toglie che i passi successivi dipenderanno fortemente dall'atteggiamento che assumeranno gli Stati Uniti.

Politica o economia?

La guerra del gas tra Russia e Ucraina é uno scontro più economico che politico, nonostante molti analisti privilegino una lettura opposta. Il momento in cui capita, alla vigilia delle elezioni in Ucraina, aiuta a interpretare lo scontro in chiave politica, ma non bisogna dimenticare che Yanukovic (il principale oppositore di Yushenko) é ormai da mesi in testa ai sondaggi. Inoltre, anche se il prossimo governo sarà filorusso, l'Ucraina dovrà pagare lo stesso il gas a nuove e più alte tariffe, non certo gli attuali 50 dollari ogni 1000 metri cubi: l'accordo attuale prevede un infatti un costo di 95 dollari per lo stesso quantitativo di gas.

La Russia è e rimane un Paese ricchissimo di risorse naturali ed ha deciso di riappropriarsene, in parte per il proprio sviluppo, in parte per un mero ragionamento affaristico. Viaggiando in Russia anno dopo anno, si nota un miglioramento generale della qualità della vita, anche se graduale, senza cioè le caratteristiche di un boom economico. Nuovi edifici, salari in aumento (e prezzi in costante ascesa), costante diminuzione degli homeless (molto diffusi fino a pochi anni fa). Questo sviluppo di tipo occidentale, fortemente voluto da governo ed imprenditoria russa, è possibile solo sfruttando le risorse senza svenderle a prezzo politico ad altri Paesi dell'ex-URSS.

C'è da rilevare poi la totale irrilevanza dell'Unione Europea, che su tutta la questione non osa neppure esprimere una parola forte, limitandosi a temere per i suoi approvvigionamenti.
Anche sul piano dell'informazione, si può riscontrare come molte testate italiane abbiano pescato nel torbido, intraprendendo quasi una crociata antirussa, volta a dimostrare come dietro la questione economica e di sviluppo ci sia una manovra politica destinata a ricostituire una "superpotenza russa". La Russia di oggi è ancora in una fase di transizione dopo la caduta dell'Unione Sovietica e questa transizione è ancora lontana dal dirsi compiuta. Dopo il suo crollo verticale degli anni '90 e senza nessuna intenzione di tornare indietro, si sta riaffacciando sulla scena internazionale, ricca come è di risorse e forte di un arsenale militare e nucleare da non trascurare, con nuove ambizioni e possibilità di sviluppo, senza farsi troppi scrupoli in fatto di libertà civili e di uso della forza. Qui in Europa forse troppo presto ci si era abituati ad una Russia debole, da colonizzare.

D'altra parte, non è detto che una Russia forte sia da temere: da notare che se Mosca decidesse di applicare prezzi di 230 dollari ogni 1000 metri cubi ai paesi dell'ex Patto di Varsavia, questi probabilmente collasserebbero sotto un deficit che risulterebbe impossibile da gestire o ripianare. Viceversa, se la Russia incrementasse il commercio di gas verso oriente, in particolare verso la Cina, anche qui in Europa Occidentale ne subiremmo le conseguenze.

Pertanto, l'interesse di molti investitori europei si sta già spostando verso la Russia quale interlocutore privilegiato tra i propri partner commerciali. Dal punto di vista russo va bene: si tratta di geopolitica e differenziazione dei mercati per l'esportazione delle proprie risorse, proprio quello che tentano di fare Stati Uniti ed Europa. Solo che per loro si parla di "globalizzazione", nel caso russo si preferisce parlare di "minaccia".