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di Carlo Musilli

Da Bruxelles arriva un'altra delusione per la Grecia. L'Eurogruppo ha deciso lunedì sera che questo mese Atene riceverà solamente 2,5 miliardi di euro, contro gli 8,1 precedentemente concordati. Non solo: i fondi saranno versati esclusivamente a patto che il Paese ''metta in opera le azioni programmate entro il 19 luglio'', ha spiegato Jereon Dijsselbloem, presidente dell'Eurogruppo.

Ma che fine hanno fatto gli altri soldi? La rata è stata ridotta complessivamente da 8,1 a 6,8 miliardi e divisa in sotto-tranche il cui pagamento è subordinato all'obbedienza del governo Samaras. Oltre ai 2,5 miliardi in arrivo dal fondo salvastati Efsf, questo mese Atene incasserà anche un altro miliardo e mezzo dai profitti sui titoli di stato detenuti dalle Banche centrali. Ad ottobre, invece, sempre se i greci soddisferanno le richieste dei creditori internazionali, arriverà la seconda sotto-tranche: 0,5 miliardi dall'Efsf e altrettanti dai profitti sui bond.

Intanto, ad agosto, il Fondo monetario internazionale dovrebbe pagare la sua quota di 1,8 miliardi di euro. Christine Lagarde, direttore generale del Fmi, ha fatto sapere che la decisione sullo sblocco dei fondi sarà presa dal comitato direttivo a fine mese.

Da un punto di vista strettamente finanziario, per le casse elleniche cambia poco: nel breve termine il Tesoro non ha bisogno di molti fondi per finanziare il debito e di certo nessuno nell'Eurozona ha interesse a mandare la Grecia in crisi di liquidità, una mossa che alimenterebbe i timori sulla tenuta della moneta unica e forse accenderebbe la miccia per una nuova tornata di speculazione balneare in agosto.

Lo spacchettamento degli aiuti deciso a Bruxelles va letto quindi solo in chiave politica. Più che un ultimatum, si tratta al contempo di una punizione e di un mezzo di coercizione, nel più totale disinteresse per il principio di sovranità nazionale e della stessa dignità del popolo greco.  

"In molte aree dobbiamo riscontrare misure più decise per accelerare la ripresa", ha chiarito Olli Rehn, commissario europeo per gli Affari economici e monetari. In particolare, alla Grecia si chiede di procedere con le liberalizzazioni, la riforma fiscale e quella del settore pubblico.

L'insoddisfazione dell'Europa nasce dalle conclusioni a cui è giunta la Troika - composta dai tecnici di Ue, Fmi e Bce -, che nel suo rapporto sull'economia ellenica ha segnalato una serie di ritardi nel perseguimento degli obiettivi fissati per risanare i conti, pur ammettendo che alcuni passi avanti sono stati compiuti.  "La missione e le autorità concordano sul fatto che l'outlook rimane complessivamente in linea con le proiezioni del programma - si legge nella relazione -, con un ritorno alla crescita nel 2014. Comunque le prospettive rimangono incerte".

A sentire parlare di "ritorno alla crescita" e di "prospettive incerte" i greci probabilmente sorridono, se hanno abbastanza autocontrollo per non infuriarsi. Da anni ormai vengono costantemente umiliati da un'Europa che finge di aiutarli mentre tutela i propri interessi. Un occhio sui mercati internazionali, l'altro sui conti pubblici di Atene.

E nessuno che si ponga il problema delle condizioni di vita in cui è stato ridotto il Paese, flagellato prima dalla propria classe politica criminale, poi dall'incertezza e dall'indifferenza dei tecnocrati di Bruxelles, interessati solo a evitare il contagio e a tutelare i creditori.

Lunedì il sindaco di Atene, Giorgos Kaminis, è stato aggredito da un gruppo di sconosciuti mentre usciva dalla sede dell'Associazione centrale dei Comuni di Grecia, dove aveva partecipato a una riunione sulla decisione del governo di mettere in mobilità il personale della polizia locale e le guardie degli edifici scolastici. L'Associazione dei Lavoratori delle autonomie locali ha condannato l'episodio, definendolo "fascista e dannoso per gli interessi dei lavoratori" e sostenendo che si è trattato "di una provocazione premeditata di persone di estrema destra e di Chrysi Avgi" (il partito neo-nazista) che vogliono "disorientare la società greca dalla giusta causa dei lavoratori del settore".

La vicenda è legata proprio ad una di quelle riforme che l'Europa chiede con più vigore: la messa in mobilità di 12.500 dipendenti pubblici al 70% dello stipendio, un provvedimento che precede il trasferimento o il licenziamento per chi non è ricollocabile. Atene si era impegnata a chiudere la partita entro fine giugno, ma non ce l'ha fatta. Il nuovo termine è stato fissato a settembre, ma il periodo di mobilità verrà ridotto da un anno a otto mesi. Tanto per non mettere in dubbio quanto all'Europa stia a cuore la concordia sociale.