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di Carlo Musilli

Emmanuel Macron piace moltissimo ai mercati. Dopo il primo turno delle presidenziali francesi, che hanno visto il leader di En Marche andare al ballottaggio da superfavorito contro Marine Le Pen, su tutte le piazze finanziarie sono volati i tappi di champagne. Lunedì la Borsa di Parigi ha chiuso in rialzo del 4,1%, mentre quella di Milano ha fatto ancora meglio (+4,8%).

Sul mercato delle valute, l’euro ha toccato il massimo da sei mesi contro il dollaro (a 1,0871), mentre sul fronte obbligazionario lo spread fra i titoli di Stato francesi e tedeschi è crollato del 21 per cento, intorno ai 50 punti base, e il rendimento sui bond decennali della Francia è sceso in poche ore dallo 0,88 allo 0,84%.

Nelle sedute successive non si è più visto tanto entusiasmo, ma solo perché buona parte dell’effetto-Macron era già stato assorbito dai mercati ancor prima del voto di domenica scorsa.

Le ragioni di questa luna di miele fra l’ex ministro socialista e gli investitori sono due. Innanzitutto, la vittoria di Macron – che secondo i sondaggi sarà ampia – allontana lo spettro neofascista di Marine Le Pen, leader di un partito apertamente anti-euro, anti-Ue e anti-Nato. La prevedibile sconfitta del Front National consente agli analisti delle case d’investimento di accantonare lo scenario di rischio più spaventoso che abbia minacciato l’Europa negli ultimi anni. Un’eventuale uscita della Francia dall’Unione europea e dall’Eurozona produrrebbe conseguenze catastrofiche, neanche lontanamente paragonabili a quelle che hanno fatto seguito al voto sulla Brexit.

In secondo luogo, Macron piace ai mercati per quello che rappresenta in sé. Non è solo l’unica alternativa alla sciagura antisistema e anti-establishment: lui stesso è un paladino del sistema e dell’establishment. Ex banchiere d'affari alla Rothschild, è essenzialmente un neoliberista. Malgrado i suoi trascorsi fra i socialisti francesi – prima come consigliere del presidente Hollande, poi come ministro del governo Valls – è espressione della destra economica che governa a Bruxelles. Non a caso, la sua adesione al verbo europeista è assoluta e si fonda sulla convinzione che i singoli governi debbano cedere ulteriori quote della propria sovranità alle istituzioni comunitarie. Se l’obiettivo dell’Italia è alleggerire il Fiscal Compact nel segno di una maggiore flessibilità, Macron non è sicuramente il migliore degli alleati.

Per farsi un’idea della collocazione politica di questo presunto apolide è sufficiente dare un’occhiata al suo programma economico. Fra le varie misure si parla di tagli alla spesa pubblica per 60 miliardi entro il 2022; riduzione di 120mila posti di lavoro nel settore statale; rispetto della regola di Maastricht sul deficit, che deve essere inferiore al 3% del Pil; taglio delle tasse sulle imprese dal 33% al 25%; esenzione dall’imposta locale sulla prima casa per l’80% delle famiglie ed esclusione degli investimenti finanziari dalla tassa patrimoniale.

Intendiamoci, tutto ciò non ha nulla a che vedere con la follia lepenista – e di questo ci rallegriamo tutti – ma è pur sempre un programma di destra. Moderata, ma destra. Preferire Macron al Front National è un conto, essere d’accordo con lui un altro. Per questo è difficile comprendere la posizione di chi, partendo da una prospettiva di sinistra o di centrosinistra, trascende il comprensibile sollievo per lo scampato pericolo neofascista e si abbandona all’entusiastica esaltazione di En Marche e del suo leader. Al contrario, capire per quale ragione Macron piaccia tanto ai mercati è piuttosto semplice.