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di Carlo Musilli

C’è un equivoco intorno alla figura di Emmanuel Macron. Anzi, fin qui ce ne sono stati almeno due. Il primo è andato in scena durante la campagna elettorale per le presidenziali francesi ed è esploso dopo l’esito del voto. All’epoca, nel generale clima di esaltazione per il trionfo contro l’estrema destra di Marine Le Pen, il giovane Emmanuel fu acclamato in tutto il continente come nuovo paladino dell’europeismo e del liberismo. Una parte del centrosinistra italiano si lasciò andare perfino a velleità di emulazione: “Chi può essere il Macron italiano?”, ci si chiedeva all’epoca (e la risposta implicita sembrava essere: “Renzi, chi altri?”). Si fingeva di non vedere che Macron, pur rimanendo un’alternativa largamente preferibile all’incubo lepenista, era prima di tutto un’espressione della destra economica, con cui nessun partito sedicente di sinistra dovrebbe aspirare a confondersi.   

Ora invece siamo all’estremo opposto: Macron campione di nazionalismo e protezionismo. A causare quest’inversione a U è stato lo scippo industriale dell’anno, ovvero la decisione del Presidente francese di nazionalizzare Stx – società proprietaria dei cantieri di Saint Nazaire – pur di non cederne il controllo a Fincantieri, che ha come primo azionista lo Stato italiano. Si tratta di una soluzione temporanea, che Parigi ha dovuto prendere in tutta fretta per non far scadere il proprio diritto di prelazione sulle azioni del gruppo. Ma è pur sempre uno schiaffo assai grave nei confronti dell’Italia.

Lo è innanzitutto perché Fincantieri aveva già acquistato Stx lo scorso aprile con la benedizione dell’ex presidente François Hollande. E lo è anche perché, carte alla mano, non esistono motivazioni economiche plausibili per giustificare questa scelta. Il ritornello francese parla della “necessità di difendere un settore strategico”, sennonché fino allo scorso aprile Stx era in mani sudcoreane. Difficile presentare come “strategica per gli interessi della Francia” un’attività gestita per anni da manager di Seoul.

In teoria, non dovrebbero reggere neanche le preoccupazioni per la manodopera locale (angosciata all’idea di perdere il posto nel caso alcune attività vengano spostate in Italia), né quelle per una possibile trasmissione di dati militari francesi alla Cina (a Saint Nazaire, oltre alle navi da crociera, si costruiscono fregate e Fincantieri ha da poco chiuso una joint venture con  la China State Shipbuilding Corporation). L’accordo di acquisizione siglato con il gruppo italiano escludeva queste possibilità, perciò assumerle ora come giustificazione è come dire esplicitamente: “Non ci fidiamo di voi”.

Eppure, al di là di tutte le dietrologie possibili, il colpo di mano della nazionalizzazione sembra dire molto della vera natura politica di Macron. Che è liberista ed europeista solo fin dove conviene, ma non si fa scrupoli a trasformarsi nell’esatto contrario in caso di necessità. Sarebbe rassicurante incasellare il Presidente francese in una delle categorie economiche classiche, ma il suo comportamento non ha nulla a che vedere con riferimenti culturali astratti. Pur essendo certamente collocato a destra, Macron è prima di tutto un leader spregiudicato, guidato da un ego ipertrofico che gli permette di contraddirsi ogni giorno senza remore pur di perseguire l’obiettivo del momento.

E in questa fase al giovane Emmanuel fa comodo sfruttare la debolezza politica dell’Italia. Per varie ragioni. Innanzitutto, a settembre dovrà affrontare possibili manifestazioni di piazza per la sua riforma (stavolta liberista) del mercato del lavoro, perciò gli è più che utile compiacere i sindacati che dominano a Saint Nazaire e non ne vogliono sapere passare in mani italiane.

Non guasta nemmeno rassicurare i vertici militari, dopo che 10 giorni fa il Capo di stato maggiore – generale Pierre de Villiers – ha rassegnato le dimissioni a causa della riduzione di 850 milioni di euro del fondo destinato alla Difesa.

E poi, in generale, Macron ha bisogno di arginare il crollo della propria popolarità, che in un mese, secondo un sondaggio Ifop per il Journal du Dimanche, è scesa dal 64 al 54% (solo Jacques Chirac aveva fatto peggio nel 1995). Le président, che sta per annunciare ulteriori tagli alla spesa pubblica, ha già diversi peccati da farsi perdonare: dall’affettuosa accoglienza riservata al presidente americano Donald Trump per la festa nazionale del 14 luglio alla decisione di rinviare la riduzione delle tasse, passando per il progetto di ridurre gli aiuti per l’alloggio ai meno abbienti. Senza dimenticare le parole pronunciate da Macron all’inaugurazione di un campus di startup, quando contrappose la “gente che riesce nella vita” alla “gente che non è niente”. Forse era proprio quella la frase da segnarsi per capire la vera natura del giovane Emmanuel.