Stampa

A poco più di tre mesi dall’approvazione della manovra, i numeri del bilancio italiano sono già saltati in aria. Entro mercoledì 10 aprile il governo deve presentare in Parlamento il Documento di economia e finanza, che conterrà cifre completamente sballate (ma più realistiche) rispetto a quelle inserite nella finanziaria.

 

Certo, la contrazione del commercio internazionale e le difficoltà dell’industria tedesca hanno avuto il loro peso sulla congiuntura. Ma la verità è che anche a dicembre, quando l’Esecutivo stimava la crescita del 2019 all’1% (nei due mesi precedenti si era spinto fino al +1,5%), i centri studi e le istituzioni di mezzo mondo accusavano il nostro Paese di gonfiare le previsioni. E avevano ragione.

 

Ora però il clima politico è cambiato. Con le europee alle porte, la tensione fra Lega e M5S si mantiene costantemente oltre i livelli di guardia e il primo a farne le spese è il ministro dell’Economia, Giovanni Tria, da settimane al centro del fuoco incrociato dei due partiti di maggioranza.

 

Un po’ per ripicca contro chi non aspetta altro che farlo fuori, un po’ per evitare che le colpe di eventuali attacchi speculativi siano scaricate su di lui, Tria ha deciso di contrattaccare. Il ministro intende presentare un Def trasparente, credibile, senza trucchi né giochi sui numeri. Una sorta di operazione verità sui conti pubblici. Non ci sarà spazio dunque per misure elettorali, a cominciare dalla flat tax leghista.

 

Ma veniamo ai numeri. Secondo le bozze in circolazione, nel nuovo Def le stime sulla crescita del Pil 2019 crollano dell’80% rispetto a dicembre, passando dal +1 al +0,2%. In realtà il dato tendenziale, cioè l’andamento a bocce ferme, scenderebbe allo 0,1%, ma il governo prevede che gli ultimi due decreti (Crescita e Sblocca-cantieri) contribuiranno con un ulteriore 0,1%.

 

Il rapporto deficit-Pil risale invece al 2,4%, vanificando la “trovata geniale” - come viene definita da molti grillini - di Rocco Casalino, che prima di Natale aveva escogitato il trucco del doppio decimale invertito (2,04%) per rabbonire gli elettori e al contempo venire a patti con Bruxelles. Il debito, infine, aumenta di quasi due punti percentuali, al 132,6%.

 

A fronte di questi scostamenti rispetto alle previsioni, nelle bozze del Def si legge che “il governo intende attuare la clausola contenuta nella legge di Bilancio 2019, in base alla quale due miliardi di euro di spesa delle amministrazioni centrali resteranno congelati anche nella seconda metà dell’anno”. Si tratta di una manovrina-bis imposta da Bruxelles come garanzia negli accordi di dicembre, per cui se oggi il governo può dire che “non ci sarà alcuna nuova manovra” è solo perché in effetti non è nuova: l’avevano già programmata.

 

Il mancato sblocco di quei due miliardi si trasformerà nell’arco di qualche settimana in tagli ai trasporti, alle imprese e alla sanità. La cifra in gioco non basta certamente a correggere gli squilibri del bilancio italiano, ma - con le elezioni europee alle porte e lo psicodramma Brexit ancora lontano da una soluzione - la Commissione europea non ha al momento la forza politica di imporre all’Italia ulteriori provvedimenti. I guai, però, sono solo rinviati.

 

Malgrado gli auspici del presidente Conte - “il 2019 sarà bellissimo”, aveva detto a inizio febbraio - il prossimo autunno il nostro Paese si ritroverà con problemi molto seri. Secondo i calcoli del governo inseriti nel Def, per evitare che nel 2020 l’Iva salga di oltre tre punti (dal 22 al 25,2%), la nuova legge di Bilancio dovrà essere di almeno 26,4 miliardi. Soldi da racimolare ovviamente con tagli e tasse, perché tesoretti da spendere non ce ne sono.

 

In queste condizioni, la Lega non ha alcuna speranza di far passare una misura costosa come la flat tax (che costa 12-15 miliardi e prevede, dal 2020, un’Irpef unica al 15% per i redditi fino a 50mila euro, favorendo così i ceti medio-alti).

 

 Ecco perché, dopo le europee e prima della sessione di Bilancio, Salvini potrebbe decidersi a incassare l’impennata dei consensi forzando nuove elezioni politiche. Se aspettasse ancora, rischierebbe di ricominciare a scendere nei sondaggi.