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Il governo è fatto, la manovra ancora no. La sessione di bilancio che il neonato esecutivo M5S-Pd si appresta ad affrontare non sarà affatto semplice, ma per la prima volta dopo parecchio tempo il nostro Paese potrà contare sulla rinnovata benevolenza di Bruxelles. Non è solo la caduta di Salvini a rassicurare l’Europa.

Il governo giallorosso ha anche la fortuna d’iniziare il proprio mandato insieme alla nuova Commissione guidata da Ursula Von der Leyen (eletta grazie ai voti decisivi del Movimento 5 Stelle e del Partito Democratico), che ha già istaurato un clima diverso rispetto agli anni scorsi, più propenso a chiudere un occhio sui vincoli di bilancio per spingere sul pedale della crescita.

 

Com’è ovvio, non si tratta di una redenzione sulla via di Damasco: la differenza cruciale rispetto al passato è che adesso anche la Germania deve fare i conti con la recessione. E quando l’arbitro ha qualche problema con il gioco, all’improvviso ritoccare le regole non è più impossibile.

Il cambio di paradigma è testimoniato dalla sterzata di Christine Lagarde. Quando guidava il Fondo Monetario Internazionale, l’avvocato francese era appassionata di austerità, ma ora che si appresta a sostituire Mario Draghi al vertice della Banca Centrale Europea, guarda caso, ha cambiato idea. E lo ha fatto sapere a tutti nel modo più chiaro possibile, dicendosi favorevole alla revisione dei vincoli di bilancio europei e alla creazione di uno strumento in grado di aiutare i paesi dell'Eurozona in difficoltà.

Non solo: anche il nostro presidente della Repubblica si è schierato in favore di una “revisione” del patto di Stabilità europeo. In un messaggio inviato al Forum Ambrosetti di Cernobbio, dove era riunita tutta l’Italia degli affari, Sergio Mattarella ha spiegato che gli obiettivi ai quali tendere sono “coesione e crescita” e che il “necessario riesame” del patto che regola i bilanci degli Stati dell’Eurozona siglato nel 1997 e rivisto con l’introduzione del Fiscal Compact nel 2011 “può contribuire a una nuova fase, rilanciando gli investimenti in infrastrutture, reti, innovazione, educazione e ricerca”.

Ora, tutto si può pensare del Capo dello Stato tranne che abbia intenzione di aprire un nuovo fronte polemico fra Roma e Bruxelles. Se si esprime in questi termini, dunque, non può che farlo nella consapevolezza che il clima politico in Europa è mutato. Non a caso, le indiscrezioni parlano di un progetto di semplificazione delle regole di bilancio firmato Von der Leyen che dovrebbe essere discusso già all’Ecofin di Helsinki del prossimo fine settimana.

Tutto questo, naturalmente, fa molto comodo all’Italia. Per la prossima manovra, il Tesoro ha bisogno infatti di circa 30-35 miliardi: 23 per evitare l’aumento dell’Iva, 4,5 per finanziare le spese indifferibili (come le missioni all’estero), 4-5 per il taglio del cuneo fiscale promesso sia dal M5S che dal Pd, più una serie di altre spese minori (ad esempio 600 milioni per eliminare il superticket).

Dove trovare tutti questi soldi? Si parte da un tesoretto di 7-8 miliardi costituito da varie voci: risparmi su reddito di cittadinanza e quota 100, minor costo del debito in virtù dell’abbassamento dello spread, maggiori entrate fiscali grazie alla fatturazione elettronica.

A queste risorse si aggiungono circa 15 miliardi messi insieme nella bozza della Nota di aggiornamento al Def elaborata dalla Ragioneria prima della crisi di governo: tagli di spesa per 6 miliardi, nuove imposte ambientali per 800 milioni, una prima sforbiciata da un miliardo ai sussidi dannosi per l’ambiente, 200 milioni da una nuova imposta sostitutiva sui redditi da partecipazione e misure antievasione sui carburanti per un miliardo. In più, una riduzione delle spese fiscali per circa 6 miliardi.

Dopo di che, il conto si completa con la nuova flessibilità in arrivo dall’Europa. Grazie ai risparmi di cui sopra, infatti, il deficit-Pil 2020 dell’Italia dovrebbe attestarsi all’1,6%, contro il 2% programmato. Il Governo potrebbe chiedere così di alzare l’asticella fino al 2,3%, con un aumento dello 0,7% che varrebbe circa 12 miliardi e mezzo. Un discreto assegno per iniziare l’epoca Von der Leyen.