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Nessuno si aspettava i fuochi d’artificio, ma una partenza con meno entusiasmo di questa non si ricorda. All’Ecofin dello scorso fine settimana, i ministri finanziari non hanno imboccato affatto il sentiero che dovrebbe portare a una revisione del Patto di Stabilità. A Helsinki è andato inscena piuttosto un festival della prudenza.

Il più accorto è stato proprio Roberto Gualtieri, che in ambiente Ue è di casa, ma per la prima volta calcava le scene internazionali nei panni di numero uno del Tesoro. “Il governo si muove all’interno delle norme che comprendono un pieno uso della flessibilità, poi si discute del futuro delle regole europee”, ha detto il ministro italiano, chiarendo che - al momento - la priorità del nostro Paese è uscire indenne da una legge di bilancio complessa, il cui primo obiettivo è evitare l’aumento dell’Iva dal primo gennaio.

 

Per archiviare la manovra senza troppi dolori, l’Italia avrà bisogno di alzare il deficit 2020 in modo consistente: si parla di un aumento dello 0,7%, dall’1,6 al 2,3%, che varrebbe circa 12 miliardi e mezzo. È vero, dopo il ribaltone di governo - con l’uscita di scena dei sovranisti di Matteo Salvini - Bruxelles sembra decisa a premiare il ritorno del nostro Paese nell’alveo dell’europeismo. Ma Gualtieri sa bene che la benevolenza europea è un bene fragile, da maneggiare con cautela. Per questo, non solo ha archiviato i toni polemici usati dai nostri governanti nell’ultimo anno e mezzo, ma ogni volta che può ribadisce anche la professione di fede al vangelo della Stabilità: “Per il nostro Paese è importante che il debito sia messo su una traiettoria discendente grazie a crescita, fiducia e attenzione alla sostenibilità della finanza pubblica”.

Insomma, se mai si arriverà a una (parziale) revisione del Patto, sarà solo fra molto tempo. Al momento prevalgono lo scetticismo e il gioco di posizione fra i due schieramenti contrapposti: il Fronte del Nord, che non vuole trasformare la necessità di politiche espansive (condivisa ora anche dalla Germania) nel cavallo di Troia che spalanca la porta a una condivisione dei rischi finanziari; e i Paesi del Sud, che vorrebbero allentare i vincoli, ma segretamente temono che aprire il cantiere della revisione porterebbe a un ulteriore irrigidimento delle regole.

Il pericolo esiste davvero, come dimostrano i primi suggerimenti arrivati dallo Europan Fiscal Board, particolarmente sfavorevoli per l’Italia. L’organismo indipendente guidato dal danese Niels Thygesen propone infatti di giudicare le finanze pubbliche basandosi solo su debito e spesa, i punti deboli del nostro Paese, e ignorando il deficit, parametro su cui invece siamo spesso più diligenti dei nostri partner.

Tuttavia, contro ogni aspettativa, durante l’Ecofin il capo del Fiscal Board ha aperto a una limitata golden rule, cioè lo scorporo degli investimenti dal calcolo del disavanzo, una possibilità che l’Italia chiede dai tempi del governo Monti. Anche su questo versante restano scettici i Paesi del Nord - spalleggiati dal loro alfiere, il vicepresidente della Commissione Dombrovskis - sostenendo che sarebbe complicato distinguere spesa corrente e investimenti per la crescita.

La soluzione, proposta con insistenza dall’Italia, sarebbe scorporare solo una parte degli investimenti, cioè quelli in linea con le nuove priorità dell’Europa: ambiente, innovazione digitale e crescita demografica. Se ne parlerà ai prossimi vertici: “Il tema della golden rule - conferma Gualtieri - è entrato nella discussione”.

Per fortuna, questa trattativa procede slegata da quella sulla riforma del Patto di Stabilità. Con il vantaggio di essere meno improbabile.