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Gli Stati Uniti stanno spingendo la Russia verso un default artificiale. Di norma, quando uno Stato non paga i propri debiti, le ragioni possibili sono due: non ha abbastanza risorse per farlo oppure le ha ma non intende usarle per soddisfare i creditori. Nel caso di Mosca, invece, la bancarotta è forzata dall’esterno.

Washington ha deciso infatti di bloccare le operazioni di uno dei suoi colossi finanziari, JP Morgan, la banca che ha il compito di gestire i pagamenti dei titoli di Stato russi emessi in dollari. La questione è tecnica, per cui occorrono alcune precisazioni.

Nell’ambito delle sanzioni varate per punire l’invasione dell’Ucraina, gli oltre 600 miliardi di dollari in asset esteri detenuti dalla Banca centrale russa sono già stati congelati, almeno nella parte su cui hanno giurisdizione le banche centrali occidentali.

 

Allo stesso tempo, però, dall’inizio della guerra a oggi il Cremlino si è servito proprio di JP Morgan per onorare le scadenze sul debito estero. In sostanza, il gigante di Wall Street processava l’ordine di pagamento in arrivo dalla Russia e inviava i soldi a un’altra banca, che a sua volta li girava agli obbligazionisti.

Finora questo meccanismo è stato possibile grazie una deroga speciale alle sanzioni che gli Usa hanno concesso a Mosca proprio per i pagamenti sul debito sovrano. All’inizio era previsto che questa deroga restasse in vigore fino al 25 maggio, ma poi Washington ha deciso di cancellarla.

Ora, se si considera che il debito in dollari non può essere ripagato in rubli – perché questa soluzione viene equiparata al default dal mercato e dalle agenzie di rating – è evidente che la Russia, con il tempo, non avrà alcuna possibilità di evitare la bancarotta. Da una parte si dice a Mosca che deve ripagare i suoi debiti in dollari usando la moneta americana, dall’altra si bloccano le sue riserve di dollari all’estero proprio per evitare che sia in grado di farlo.

Per uscire da questo vicolo cieco, la Russia potrebbe attingere alle sue riserve interne di dollari, ma così avrebbe meno risorse da investire per altri scopi. Un portavoce del Tesoro americano ha spiegato all’agenzia di stampa Reuters che l’obiettivo è proprio questo: spingere Mosca a scegliere se usare i dollari a cui ha accesso per evitare il default sul debito estero oppure per finanziare la guerra in Ucraina.

Ma attenzione: le riserve domestiche di dollari a disposizione della Russia non sono affatto stabili, né si può pensare di eroderle con facilità. Mosca continua a incassare circa un miliardo di dollari al giorno grazie alle esportazioni di petrolio e gas (secondo l’Institute of International Finance, solo a marzo i guadagni legati all’export di greggio sono arrivati a 12,3 miliardi di dollari). Il tutto a fronte di un debito estero composto da 15 bond internazionali sul mercato per un valore nominale pari a circa 40 miliardi di dollari.

Intanto, S&P Global Ratings - che, ricordiamo, non è un’autorità internazionale e indipendente, ma un’azienda privata e americana - ha corretto al ribasso il proprio giudizio sul debito russo in valuta straniera, portandolo al livello del “default selettivo”, che si ha quando l’incapacità di ripagare i debiti è relativa solo a una parte dei bond emessi. Il riferimento è ai pagamenti su due titoli di Stato effettuati in rubli anziché in dollari: per entrambe le obbligazioni è iniziato il cosiddetto “periodo di grazia”, che dura 30 giorni. Scaduto questo termine, se Mosca non avrà sostituito i rubli con i dollari, il default sarà effettivo. Ma anche artificiale.