di Ilvio Pannullo

Il dibattito su quanto petrolio si possa ancora sfruttare sul nostro pianeta appare confuso: si va da chi sostiene che il picco massimo di estrazione (il c.d. “Peak Oil”) è stato già superato a coloro che sostengono che il problema non si porrà per molti anni a venire. In ogni caso, indipendentemente dalla tesi che si voglia sposare, esiste al mondo una netta sperequazione circa lo sfruttamento di quella che rappresenta, a tutti gli effetti, la linfa dell’economia internazionale. Gli Stati Uniti producono, infatti, solo il 4% del petrolio mondiale, mentre ne consumano circa il 26%. È dunque evidente il gap energetico strutturale dell’economia americana, che ha portato lo stesso Presidente Bush ad affermare che “l’America è malata di petrolio”. Nel corso degli ultimi 30 anni gli USA hanno infatti visto salire vertiginosamente la loro dipendenza dal petrolio estero. Infatti, mentre nel 1973 era solo del 28%, in questi anni sta superando il 60%, con stime per il 2025 che vedono l’economia americana dipendente per il 70% (!) dall’importazione del greggio straniero. Per questo motivo gli americani da tempo stanno guardando ad un’altra importante risorsa energetica: il gas naturale. La maggior parte delle riserve di questa importante risorsa strategica, però, si trova nei vari stati dell’Asia centrale una volta facenti parte dell’Unione Sovietica e, soprattutto, nel bacino del Caspio. Nel 1998 Dick Cheney, allora presidente della Società di servizi petroliferi Halliburton dichiarò: “Non ricordo un altro caso in cui una regione del mondo sia emersa così prepotentemente, dal punto di vista strategico, come quella del Caspio”. “Evidentemente il buon Dio – continuava il futuro vice Presidente degli Stati Uniti – ha voluto mettere petrolio e gas solo dove non vi sono dei regimi democraticamente eletti e amici degli Stati Uniti. Per cui, di tanto in tanto, ci tocca andare ad operare in zone del mondo dove, tutto sommato, uno normalmente non andrebbe“.

Ma c’è un’altra testimonianza, rilasciata quello stesso anno da John J. Maresca, vice presidente della International Relations Unocal Corporation, ad una commissione del Senato americano, a rivelare i veri retroscena dell’interesse americano per l’Afghanistan. L’argomento era la necessità di sviluppare diversi oleodotti e gasdotti nell’Asia Centrale: “La regione del Caspio – ha dichiarato Maresca alla Commissione – ospita immense riserve di idrocarburi ancora intatte. I giacimenti già individuati di Azerbaijan, Uzbekistan, Turkmenistan e Kazakhstan ammontano a 6.000 miliardi di metri cubi mentre il totale delle riserve di petrolio nella regione è stimato a 60 miliardi di barili”. L’intero bacino del Mar Caspio è già stato, infatti, interamente lottizzato dalle compagnie petrolifere occidentali.

C’era, però, ancora un problema da risolvere e cioè come far arrivare questa gigantesca quantità di energia ai mercati che la richiedevano o che comunque l’avrebbero richiesta in futuro come i recenti mercati asiatici. “Una soluzione - diceva il documento - sarebbe andare verso est, attraversando la Cina, ma questo significherebbe costruire un gasdotto di 3000 km più altri 2000 km per raggiungere le varie città sulla costa. L’altra possibilità sarebbe quella di costruire un gasdotto dall’Asia centrale fino all’Oceano Indiano, da dove poi imbarcare il combustile per i porti asiatici. Il percorso ideale sarebbe, ovviamente, attraverso l’Iran - continuava il Maresca - ma le società americane sono escluse da questa possibilità a causa delle sanzioni vigenti ”.

L’unico percorso possibile rimaneva quello dell’Afghanistan, passando prima per il Turkmenistan e poi per il Pakistan, stati questi dove non sarebbe stato difficile raggiungere un accordo. Per l’Afghanistan, però, si presentavano dei problemi particolari. Il territorio sul quale sarebbe dovuto passare l’oleodotto era sotto il controllo dei talebani, un movimento islamico non riconosciuto dalla maggioranza degli altri paesi arabi. “Noi - dichiarava il vice Presidente della Halliburton - abbiamo messo in chiaro che la costruzione del gasdotto da noi proposto non potrà iniziare fino a quando non si sarà istaurato un governo riconosciuto che abbia la fiducia degli altri governi, degli investitori e della nostra società”.

Nell’agosto del 2001 i dirigenti della Unocal Corporation fecero un ultimo tentativo per giungere ad un accordo con i talebani ma l’incontro fallì, chiudendosi con la nota minaccia rivolta ai talebani e riportata dai giornalisti Bisard e Dasquie nel libro “The Forbidden Truth” : “Either we’ll cover you with a carpet of gold or we’ll bury you under a carpet of bombs” ( “ O vi ricopriremo con tappeto d’oro o vi seppelliremo sotto un tappeto di bombe".) Il 10 settembre 2001 veniva messo sulla scrivania di Bush un dettagliato piano di attacco militare, preparato dalla CIA, per colpire Al-Quaeda in Afghanistan con il massiccio supporto della NATO, per essere firmato dal Presidente di rientro dalla Florida. Il mattino seguente cadevano le torri gemelle.

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