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Categoria: Esteri

di Carlo Benedetti

Mosca. Il presidente dell’Ucraina, Jushenko, pluritrombato alle recenti elezioni, lancia - prima di abbandonare la poltrona - il suo guanto di sfida alla società, alla democrazia, alla storia del paese e a tutti quei soldati che combatterono eroicamente per respingere dai territori sovietici gli aggressori nazisti. Con uno dei suoi ultimi editti, questo personaggio al soldo degli americani, della Cia e del potente Soros, proclama “eroe nazionale” (in sfregio al giorno della Vittoria che sarà celebrato in tutta l’ex Unione Sovietica il 9 maggio) il criminale di guerra Stepan Bandera (1909-1959), a capo dell’Ounb, l’organizzazione nazionalista che durante la seconda Guerra mondiale collaborò in Ucraina con le SS hitleriane, rivelandosi come l’artefice delle pulizie etniche. E fu sempre lui a fondare, nel 1942, l’Upa, la Ukrainian Insurgent Army.

Jushenko quindi, prima di andarsene, getta sul piatto della storia ucraina la riabilitazione di questo criminale di guerra. Si tratta di un passo che tende a riscrivere il passato e che provoca indignazione non solo in tutti i paesi dell’ex Unione Sovietica, ma anche in Polonia, dove operò l’Armata ucraina di ribelli Upa guidata da Bandera. Notevoli e significative anche le reazioni che si registrano a Mosca dove si ritiene che il Decreto del Presidente ucraino sia rivolto contro la Russia.

La logica - si dice nella capitale russa - è semplice: il nemico del mio nemico è un mio amico. Tanto più che l’Ucraina stessa non può vantare una ricca storia indipendente senza lo spazio storico-culturale comune con la Russia. Certamente, per Viktor Jushenko è un fatto triste. Ma invece di costruire un’ideologia nazionale sulla base dell’idea della reciprocità e di una stretta connessione tra i popoli russo ed ucraino (nonché bielorusso e polacco), il presidente ha cominciato ad esaltare qualsiasi personaggio storico ucraino i cui comportamenti hanno assunto un carattere antirusso. In  particolare gli ataman Vygovsky e Masepa, uno dei fondatori dell’UPA Roman Shukhevich ed infine Stepan Bandera.

Ma questa volta Juscenko ha esagerato. Puntando sui russi ha colpito i suoi alleati polacchi, poiché proprio le pulizie etniche antipolacche costituivano l’essenza dell’attività di Bandera nell’Ucraina Occidentale nel 1943. Secondo varie stime, allora furono uccisi oltre 200mila polacchi ed ebrei. Quegli avvenimenti - che rappresentano una tragica catastrofe nazionale e mondiale - vengono oggi riportati alla luce e aggravano fortemente lo stato delle relazioni tra Varsavia e Kiev. E questo pur se la Polonia ufficiale considera Viktor Jushenko come un personaggio che vive gli ultimi giorni della sua vita pubblica come politico e come uomo di Stato. Ma i polacchi - come i sovietici - non possono dmenticare che Bandera, già in giovane età, entrò a far parte di organizzazioni nazionalistiche ucraine che si battevano contro lo Stato polacco che occupava parte dell’Ucraina dell’ovest, ma anche contro i rappresentanti del potere comunista.

Nel 1932, Bandera riunì in Ucraina le varie anime nazionaliste presenti creando un soggetto unico e autonomo che combatteva per l’indipendenza dell’Ucraina. Venne poi arrestato e nel 1936 condannato all’ergastolo. Con l’inizio della seconda guerra mondiale, riuscì a fuggire dal carcere aiutato dai nazisti. E ci sono anche testimonianze che rivelano – sulla base di alcuni interrogatori di gerarchi nazisti al processo di Norimberga - un incontro fra Bandera e Von Ribentropp, il ministro degli Esteri di Hitler, durante il quale si raggiunsero accordi sulla posizione degli ucraini nella Polonia occupata; in questi accordi si prevedeva che gli ucraini avrebbero aiutato i tedeschi nell’individuazione di dissidenti e di ebrei.

Nel 1941 sempre Bandera ebbe una serie di incontri con ufficiali tedeschi, al fine di creare una legione da lui comandata e finanziata dai nazisti, per contrastare dall’interno l’Armata Rossa favorendo così la vittoria tedesca; in cambio gli ucraini ricevettero assicurazioni sulle richieste nazionalistiche di Bandera, nel caso di sconfitta dell’Unione Sovietica. Quando la Germania avanzò verso est, quindi anche in Ucraina, inizialmente gli ucraini avviarono forme di governo basate sull’esperienza tedesca, pensando di poter dar vita ad una “dittatura mite”; ma i successi in terra russa della Wehrmacht convinsero Hitler che non c’era bisogno della creazione di uno Stato ucraino fra Unione Sovietica e Germania.

Iniziarono quindi duri scontri e Bandera fu imprigionato in Germania sino al 1944, quando, scagionato, i nazisti gli proposero di formare un esercito per contrastare i comunisti che ormai avanzavano. Dal 1945, quando la Germania era già sconfitta, Bandera si occupò della riorganizzazione delle forze combattenti sia in Ucraina che all’estero, con l’obiettivo ultimo di un’Ucraina indipendente. Il 15 ottobre 1959, Stepan Bandera fu ucciso dall’agente del KGB Bogdan Stashinskyi, poi condannato a 8 anni di carcere duro. Le istituzioni russe solo nel 2005 ammisero di aver ordinato l’omicidio.

Questa è, in sintesi, la storia di un criminale ucraino poco conosciuto e che Jushenko vuol riportare ora alla luce presentandolo come “eroe nazionale”. Ma proprio in seguito a questo tentativo di riabilitazione, gli ambienti della politologia ucraina tornano oggi a mettere l’accento su quei partiti che difendono con più orgoglio la “reputazione” del nazionalista ucraino. Si tratta di movimenti come “Svoboda” (Libertà), che ha ottenuto alcune vittorie elettorali importanti come quelle nelle regionali a Ternopil.

Il partito “Svoboda” è gemellato con partiti europei come il Fronte Nazionale di Le Pen e la BZO del defunto Jorg Haider, quindi di ideologia di estrema destra. Ed ora il rischio politico è che di fronte al fallimento delle politiche dei partiti di sinistra e di destra moderati (come quello del presidente) si rafforzino, appunto, partiti come “Svoboda”. In pratica lo spettro di Bandera torna ad aggirarsi sulla realtà politica dell’Ucraina. Pur se la posta in gioco è oggi quella relativa ad una rinascita nazionale in senso democratico e non antirusso come invece vorrebbero i nazionalisti orfani di Bandera impegnati nella cancellazione della memoria storica.