di Carlo Benedetti

Sono già separati in casa, ma ora si avvia un vero e proprio processo di divorzio che è fissato per questo 21 maggio. Le "parti" in causa sono la Repubblica del Montenegro e la Repubblica della Serbia, sino ad oggi entità istituzionale dominante e considerata, quindi, come "madrepatria". Ma è il governo di Podgorica che - dando il via ad un referendum popolare - contesta la centralità della Serbia e chiede il distacco e la conseguente autonomia totale, puntando a ristabilire la "sua" verità storica. Presenta il conto ricordando che per un certo numero di secoli il Paese fu, di fatto, un principato indipendente regolato da una successione di dinastie. Ottenne poi un riconoscimento internazionale della sua indipendenza, a seguito della crisi dell'Est (1975-1878), al Congresso di Berlino. E ci fu poi quel 28 agosto 1910 quando il principe Niegos di Montenegro si autoproclamò re. Successivamente - tra il 1945 e il 2003 - il Montenegro è stato una Repubblica della Repubblica Federale Socialista Jugoslava e, poi, della Repubblica Federale di Jugoslavia. Attualmente è una delle parti costituenti dell'unione di Serbia e Montenegro. Ma l'ora del giudizio è prossima.
Non ci saranno né giudici né avvocati, nessuna opera d'intermediazione: parleranno i risultati delle urne. Si o no nella Federazione con Belgrado. E se il Montenegro avrà la maggioranza vorrà dire che la sua città principale Podgorica sarà una capitale vera e propria. E i confini del nuovo paese saranno di stato: si affacceranno sull'Adriatico e toccheranno la Croazia, la Bosnia-Erzegovina, l'Albania e, ovviamente, la Serbia.

Per ora, comunque, siamo sempre alle prove di divorzio per questo paese che, nel bacino dell'ex Yugoslavia, è un vero e proprio laboratorio di convivenza, un melting pot di popoli e culture, di consumi e stili di vita. La composizione demografica illustra bene la situazione generale: i montenegrini sono 267.669 (43,16%); i serbi 198.414 (31,99%); i bosniaci 48.184 (7,77%); gli albanesi 47.682 (7,09%); i bosniaci musulmani 24.625 (3,97%); i croati 6.811 (1,10%) e i rom ed egiziani 2.826 (0,46%).
Ma a parte queste divisioni etniche "ufficiali" va anche rilevato che nel paese esistono varie identità che da sempre mutano a seconda degli eventi storici e politici. E' difficile - sembra - autodefinirsi montenegrino o serbo. Un problema, questo, che riguarda anche l'appartenenza religiosa poiché più del 74% dei montenegrini sono cristiani ortodossi. Mentre i 110.000 musulmani costituiscono il 17,74% della popolazione e sono divisi in gruppi principali: etnia albanese e slava- musulmana. Gli albanesi sono un gruppo separato: parlano la loro lingua (5,26%) e vivono maggiormente nel sud-est. I bosniaci sono slavi musulmani che parlano bosniaco e vivono nel nord. Infine, ci sono pochi croati ed abitanti cattolici, che vivono maggiormente nelle aree costiere, particolarmente intorno alle Bocche di Cattaro. E' questo melting pot che va all'appuntamento referendario dei prossimi giorni.

Non è una novità, perché già nel 1992 la popolazione montenegrina fu chiamata a decidere se rimanere o no dentro la Yugoslavia. Allora il 95,96% dei voti furono a favore della federazione con la Serbia. Ma si parlò di brogli elettorali e di condizioni non democratiche.
Una nuova tappa nella storia dell'eventuale divisione di Podgorica da Belgrado fu quella del 1996, caratterizzata da forti tensioni politiche. Si giunse così al 2002, quando Serbia e Montenegro raggiunsero un nuovo accordo di cooperazione. Ma lo spettro del divorzio totale è rimasto e l'udienza è ora fissata per il 21 maggio.
In caso di vittoria delle forze indipendentiste montenegrine si aprirebbero scenari inediti e pericolosi per la stessa stabilità balcanica. Lo avverte il ministro della Giustizia della Serbia, Zoran Stojkovic, che parla di una consultazione che potrebbe spaccare il Montenegro non solo istituzionalmente, ma anche economicamente.
Ma da Podgorica giungono affermazioni di tutt'altro tenore. L'esponente indipendentista montenegrino, Milo Djukanovic, infatti, si appresta a gestire la nuova situazione sostenendo che non c'è da parte sua ''alcun intento anti-serbo, malgrado il governo serbo presenti i favorevoli all'indipendenza come nemici''. E così, nella propaganda di queste ultime ore, gli autonomisti dicono di voler solo liberare il Montenegro dall'abbraccio di Belgrado (e dalle lentezze imputate ai serbi sulla consegna alla giustizia internazionale degli ultimi ricercati per crimini di guerra) al fine di accelerare l'integrazione con l'Unione Europea. Ancora una volta si agita lo spettro della corte dell'Aja. E tutto questo mentre a Belgrado i sostenitori di quella politica "panserba" che fu di Milosevic, cercano di alzare la testa sostenendo che sino a quando c'era "lui" il paese era unito e forte.

Lo scenario non è dei migliori. Sul Montenegro gravano pesanti responsabilità, giacché il paese è sempre la patria dell'illegalità. Con poliziotti e membri del governo che proteggono gli affari di una malavita che è spalmata su tutta la società. Qui la geopolitica e la geostrategia da un lato e le guerre che hanno dilaniato l'intera Yugoslavia dall'altro, hanno inquinato la gestione della vita pubblica. Lasciando spazio alle mafie che si occupano di contrabbando di armi, sigarette e droga e che cercano oggi di cavalcare e dominare le trasformazioni che potrebbero venire dal prossimo referendum. C'è, in sintesi, un allarmismo strisciante che nel pieno dell'attuale campagna elettorale, disorienta, impaurisce e non permette scelte oculate e consapevoli.

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