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di Michele Paris

Il secondo turno delle elezioni presidenziali in Polonia, nello scorso fine settimana, ha decretato la vittoria del candidato favorito, il presidente del Parlamento Bronislaw Komorowski, del partito di centro-destra Piattaforma Civica (PO). Il suo successo è stato accolto positivamente dai mercati finanziari internazionali e dai grandi interessi economici polacchi, confortati dall’avere finalmente due politici sulla stessa lunghezza d’onda ai vertici del paese - il primo ministro Donald Tusk fa parte dello stesso partito - in grado ora di dare l’assalto al settore pubblico con nuovi tagli alla spesa.

L’ottimo risultato ottenuto dal rivale del neo-presidente, l’ex primo ministro ultraconservatore Jaroslaw Kaczynski, produrrà però forse qualche scrupolo nel partito di governo, perché le misure impopolari che si appresta a varare potrebbero costare la vittoria nelle elezioni politiche del prossimo anno.

Il fratello gemello dell’ex presidente Lech Kaczynski, deceduto in un incidente aereo in Russia lo scorso aprile, aveva visto crescere rapidamente i propri consensi nel paese alla vigilia del voto, finendo addirittura per sfiorare una clamorosa affermazione. Rivolgendosi ad una base elettorale identificabile principalmente nelle aree rurali, duramente colpite dalla crisi economica e dalle politiche neo-liberiste degli ultimi anni, Jaroslaw Kaczynski e il suo partito Diritto e Giustizia (PiS) hanno condotto una campagna elettorale all’insegna del populismo e della demagogia, attenuando i toni fortemente nazionalistici ed anti-europei e promettendo misure a favore delle classi più disagiate.

Quest’ultima svolta aveva peraltro caratterizzato anche la fase finale del mandato del fratello Lech, il quale era stato protagonista di più di uno scontro con il primo ministro Tusk ed aveva posto il veto su varie leggi introdotte dal suo governo per ridimensionare drasticamente i programmi sociali sopravvissuti negli ultimi due decenni.

Se all’interno della Piattaforma Civica potrebbero farsi sentire le voci di quanti auspicano un approccio più moderato alle “riforme” economiche promesse, per timore di un’ulteriore erosione di consensi a favore del partito di Kaczynski, le dichiarazioni del nuovo presidente all’indomani della vittoria alle urne non hanno lasciato tuttavia molto spazio ai dubbi sulle iniziative future.

Significativamente, il primo pensiero di Komorowski è andato alla necessità di maggiore disciplina per quanto riguarda il bilancio dello Stato. Una preoccupazione condivisa dallo stesso governo, ben deciso a tagliare il debito pubblico dal 6,9 per cento attuale, al 3 percento entro il 2013, così da soddisfare i criteri di ammissione all’Eurozona.

Come il governo polacco intenda raggiungere quest’obiettivo è superfluo dirlo. Gli attacchi ai programmi sociali, al sistema sanitario e scolastico pubblico, le privatizzazioni delle aziende statali, il giro di vite nei confronti dei dipendenti pubblici, la liberalizzazione del mercato del lavoro sono d’altra parte all’ordine del giorno del gabinetto guidato da Donald Tusk dal 2007. L’aver promosso a capo dello stato un compagno di partito del premier dovrebbe spianare ora la strada a nuovi e più duri provvedimenti senza la minaccia del veto presidenziale.

Komorowski, da parte sua, ha alle spalle sufficiente esperienza in ambito di disciplina di bilancio. Nei primi anni Novanta fece parte dei governi succeduti alla caduta del regime comunista in Polonia e che implementarono la terapia d’urto della transizione all’economia di mercato, producendo più che altro disoccupazione di massa e povertà diffusa tra la popolazione.

Al di là dei proclami opportunistici, in ogni caso, un eventuale successo di Jaroslaw Kaczynski non avrebbe prospettato alcun percorso sostanzialmente alternativo. Durante gli anni da primo ministro, tra il 2006 e il 2007, Kaczynski aveva infatti perseguito uguali misure anti-sociali, in un governo oltretutto pervaso da spinte omofobe e antisemite.

Al ballottaggio di domenica scorsa ha partecipato circa il 55 per cento degli elettori polacchi, un’affluenza leggermente superiore a quella delle elezioni del 2005 ma che in definitiva ha determinato la vittoria di Komorowski grazie alle preferenze espresse per lui da appena un quarto degli aventi diritto. Un successo, insomma, che è apparso come il risultato della mancanza di reali alternative in una sfida a due che vedeva di fronte un candidato conservatore ed uno reazionario.

Una situazione che è in gran parte il risultato della condotta della principale forza della sinistra, l’Alleanza della Sinistra Democratica (SLD), erede del partito unico durante il regime stalinista e il cui candidato alle presidenziali, il deputato Grzegorz Napieralski, al primo turno è stato capace di raccogliere solo il 14 per cento dei consensi.

I socialdemocratici polacchi continuano a pagare le conseguenze del profondo malcontento popolare nei loro confronti provocato dai numerosi scandali e dalle politiche neo-liberiste che hanno segnato il periodo di governo tra il 2001 e il 2005.

Un’evoluzione quella del panorama politico polacco riscontrabile anche in molti altri paesi dell’Europa orientale e non solo, sfociata nel dominio pressoché incontrastato delle forze conservatrici e di governi e capi di stato che rappresentano unicamente i grandi interessi economici e finanziari.