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Categoria: Esteri

di Michele Paris

Il ministro delle Finanze giapponese, Yoshihiko Noda, questa settimana è diventato il sesto primo ministro del paese negli ultimi cinque anni. Il neo-premier ha sconfitto l’agguerrita concorrenza interna al partito di maggioranza - Partito Democratico (DPJ) - tuttora scosso dalle conseguenze del disastroso terremoto del marzo scorso e profondamente diviso sugli orientamenti strategici ed economici del Giappone.

Dopo aver conquistato la leadership del partito lunedì scorso, Noda ha incassato il voto di fiducia della Camera bassa del Parlamento nipponico (Dieta), succedendo al premier uscente, Naoto Kan, alla guida del governo. Le dimissioni di quest’ultimo erano nell’aria da parecchie settimane, dopo che i suoi indici di gradimento erano crollati a causa della cattiva gestione del disastro nucleare seguito al terremoto.

Yoshihiko Noda è il terzo premier Democratico - dopo Yukio Hatoyama e lo stesso Kan - dalla vittoria del suo partito nel settembre 2009 che ha posto fine a un monopolio pressoché ininterrotto di mezzo secolo del Partito Liberal Democratico (LDP) alla guida del paese. Nella sfida interna al partito, Noda ha sconfitto al secondo turno il candidato proposto dal leader non ufficiale, nonché fondatore, del Partito Democratico, Ichiro Ozawa, il quale aveva puntato le sue carte sul ministro del Commercio, Banri Kaieda.

Escluso dal ballottaggio dopo il terzo posto del primo turno è stato invece l’ex ministro degli Esteri, Seiji Maehara, considerato il favorito della vigilia assieme a Kaieda. Maehara fa parte della stessa corrente di Noda, ma la sua candidatura è stata verosimilmente compromessa dall’accusa di aver ricevuto un contributo elettorale da un cittadino straniero residente in Giappone, pratica illegale per il codice nipponico e che aveva portato alle sue dimissioni già nel mese di marzo.

Il duro confronto tra le due fazioni del partito di governo riflette non solo le divisioni prodotte dalla controversa figura dello stesso Ozawa, estromesso dal partito per uno scandalo legato a finanziamenti illeciti, ma soprattutto i veri e propri dilemmi che travagliano l’élite politica ed economica del Giappone.

Profonde differenze esistono infatti nella classe dirigente sia sul percorso da intraprendere per resuscitare un paese che da tempo attraversa un grave declino economico, sia sull’atteggiamento da tenere nei confronti di quello che è diventato ormai il maggiore partner commerciale - la Cina - e del tradizionale alleato - gli Stati Uniti - in un clima di crescente tensione tra le due superpotenze.

I differenti punti di vista su entrambe le questioni hanno così segnato gli scontri nel Partito Democratico in questi due anni per la selezione degli uomini destinati a guidare il paese. Da un lato, la fazione vicina a Ozawa appoggia rapporti più stretti con la Cina - a scapito della relazione con Washington - e dimostra una certa propensione ad adottare misure di stimolo all’economia basate sull’aumento della spesa pubblica. Dall’altro, la fazione rivale auspica il mantenimento di solidi legami con gli USA e un allineamento alla politica di contenimento della spesa perseguita dai paesi occidentali.

Su questi due punti nel 2009 aveva condotto la campagna elettorale l’allora candidato premier alleato di Ozawa, Yukio Hatoyama, per ritrovarsi poi sotto pressione e costretto alle dimissioni pochi mesi dopo aver assunto la guida del governo. Le misure promesse per aumentare i programmi sociali provocarono la reazione dei mercati internazionali, preoccupati per la solvibilità di un paese che già registra il più alto livello d’indebitamento del pianeta, così come la volontà di intensificare i rapporti con Pechino e di chiudere la base americana sull’isola di Okinawa si scontrarono con la ferma opposizione degli Stati Uniti.

Il cambio della guardia al vertice del governo nel giugno 2010 segnò contestualmente il declino della fazione facente capo a Ichiro Ozawa nel Partito Democratico. L’ascesa di Naoto Kan e il cambiato clima internazionale riproposero così anche in Giappone l’adozione di misure di austerity per far fronte al dilagante debito pubblico. Misure che risultarono tuttavia impopolari e che influirono in maniera decisiva nella sconfitta dello stesso Partito Democratico nelle elezioni per la Camera alta, ora dominata dal Partito Liberal Democratico. Al cambiamento di rotta sul fronte interno fece così seguito la riproposizione della partnership strategica con gli USA e un irrigidimento nei confronti della Cina, sfociato successivamente in alcuni incidenti diplomatici fra i due paesi vicini.

Fedele a questa linea, subito dopo la nomina a primo ministro, Yoshihiko Noda ha prospettato ulteriori provvedimenti tesi a ridurre la spesa pubblica del Giappone. “Il messaggio che intendo inviare sia al Giappone che all’estero, è che la nostra disciplina fiscale non è compromessa”, è stata la prima dichiarazione da capo del governo del 54enne Noda.

Già alla vigilia del voto in Parlamento, quest’ultimo aveva d’altra parte fatto capire che nuove tasse, tagli alla spesa e privatizzazioni di beni pubblici sarebbero stati presto all’ordine del giorno per far fronte al costo della ricostruzione del paese dopo il terremoto e lo tsunami di marzo.

Le divisioni all’interno del partito, l’impopolarità delle misure che s’intravedono all’orizzonte e l’oggettiva complessità dei problemi che affliggono il paese asiatico renderanno con ogni probabilità ben presto estremamente precaria anche la posizione del nuovo primo ministro.

A ricordare la precarietà della situazione in Giappone, la settimana scorsa l’agenzia di rating Moody’s ha declassato il debito giapponese da AA2 a AA3, mentre un altro nodo delicato riguarderà l’eventuale liquidazione del nucleare, promessa dopo il disastro di Fukushima dall’ormai ex premier Naoto Kan e verso la quale il suo successore si è mostrato invece decisamente più prudente.