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Categoria: Esteri

di Carlo Musilli

Facevano più o meno venti gradi sotto zero, ma il freddo non li ha fermati. Sabato migliaia di cittadini russi si sono ritrovati nel cuore di Mosca per urlare in faccia al Cremlino la loro rabbia contro il primo ministro Vladimir Putin. Il potere non li ha ascoltati, ma forse stavolta si è spaventato. L'opposizione ha delle richieste precise: la liberazione dei detenuti politici, nuove elezioni legislative alla Duma, riforme politiche che diano più libertà ai partiti, una sfilza di condanne per i responsabili dei brogli elettorali che lo scorso 4 dicembre hanno regalato al partito dello Zar, Russia Unita, una vittoria priva di qualsiasi credibilità.

Se il governo rifiuterà di assecondare i manifestanti - com'è ovvio che accadrà - una nuova protesta andrà in scena il prossimo 26 febbraio. La data è tragicamente vicina al giorno delle elezioni presidenziali russe - in calendario per il 4 marzo - in cui il buon Vladimir è ancora una volta il super favorito.

Al di là degli effetti politici che potrà avere, quello che sta accadendo in Russia ha indubbiamente qualcosa di rivoluzionario, sia per l'assoluta novità del fenomeno, sia per le proporzioni inaspettate che sta assumendo. L'ultima mobilitazione moscovita - cui hanno fatto eco cortei di protesta in almeno altre 200 città del Paese - rappresentava un banco di prova fondamentale per misurare la forza del recente tsunami antigovernativo. E il risultato dell'esame è andato ben oltre le aspettative.

Secondo gli organizzatori, a marciare intonando cori contro Putin sono state addirittura 120 mila persone. Qualcosa di straordinario, considerando che nelle prime tre manifestazioni di dicembre la quota complessiva dei partecipanti non aveva superato le 100 mila unità. Eppure già in quei casi si era trattato delle più vaste contestazioni degli ultimi 15 anni.

Come al solito, la guerra dei numeri che si è subito scatenata ha avuto risvolti grotteschi, con la polizia che ha parlato di soli 35 mila manifestanti. In realtà, quale che sia la cifra esatta, è indubbio che per paralizzare strade e piazze di Mosca non basti un corteo qualsiasi. Tanto è vero che stavolta il Cremlino non ha potuto far finta di niente. Nemmeno Putin se l'è sentita di liquidare la vicenda con una delle sue solite battutine sprezzanti. Per la prima volta da molto tempo, in Russia sta accadendo qualcosa di troppo grande ed evidente per essere sminuito dalla propaganda, strozzato dalla censura.

Ora, a ben vedere la strada politica che questa maxi-opposizione sarà in grado di percorrere non dovrebbe arrivare troppo lontano. Al suo interno le frange sono troppe e troppo diverse fra loro: oltre ai senza-partito (la componente maggioritaria), i cortei contro lo Zar accolgono indifferentemente dai liberali ai verdi, dai comunisti agli anarchici, fino ai nazionalisti xenofobi. Un'alleanza sulla carta improponibile, che però ancora resiste, tenuta insieme da un'unica causa: ottenere libere elezioni e scongiurare il rischio di un'altro decennio putiniano.

Pur non potendo contare su un programma politico nemmeno vagamente unitario, né tantomeno riuscendo a esprime un singolo candidato alternativo a Re Vladimir, gli oppositori potrebbero comunque ottenere un risultato importante: evitare che la partita delle presidenziali si chiuda al primo turno. Sarebbe un successo grandioso, perché priverebbe Putin della sua aura di leader supremo, carismatico e incontrastato, indebolendo la sua posizione agli occhi della piramide statale che fin qui l’ha sostenuto.

Lo stesso primo ministro ha ammesso i suoi timori legati ai recenti avvenimenti: "Arrivare al secondo turno - ha detto - comporterà inevitabilmente la continuazione di una lotta per il potere e una destabilizzazione della situazione politica". Parole da terrorismo psicologico, che la dicono lunga sul concetto che lo Zar ha dello Stato.

Eppure, che la situazione non sia più perfettamente sotto controllo è ormai evidente. Lo dimostra con chiarezza la grottesca manifestazione parallela e pro-Putin andata in scena sempre lo scorso sabato, sempre a Mosca. In questo caso, naturalmente, le cifre sono invertite: secondo la polizia hanno sfilato in favore del leader 138 mila persone, mentre ad ascoltare fonti indipendenti sarebbero state appena 20 mila.

Quale che fosse il loro numero, i fedelissimi di Vladimir sono arrivati nella capitale su decine di pullman appartenenti a vari enti statali. Un dettaglio che conferma i sospetti sull'organizzazione governativa dell'ingloriosa parata. Sembra che diversi impiegati pubblici abbiano visto la loro fedeltà premiata con buste paga più generose o giorni di ferie aggiuntivi. I meno disponibili, invece, sarebbero stati minacciati di licenziamento. A ben vedere, per chi ha il gusto del paradosso, nelle stesse ore e a breve distanza sono state allestite le rappresentazioni della primavera e dell'autunno russo.