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di Michele Paris

Qualche giorno fa, il presidente americano Barack Obama ha ammesso per la prima volta pubblicamente l’esistenza del programma militare condotto con velivoli senza pilota (droni) per colpire presunti terroristi nell’area tribale del Pakistan. L’ammissione, tutt’altro che casuale, è avvenuta nel corso di un’intervista virtuale organizzata lunedì scorso dal social network Google+ e, a ben vedere, risulta estremamente rivelatoria della strategia che Washington intende perseguire negli anni a venire per difendere i propri interessi imperialistici in Asia centrale e altrove.

L’uscita di Obama rappresenta una vera e propria difesa pubblica di un discusso programma che ha causato finora migliaia di vittime civili e sul quale lo stesso presidente ha fatto affidamento in maniera sempre più massiccia fin dal suo ingresso alla Casa Bianca nel gennaio 2009.

La politica del governo americano sui droni dispiegati in Pakistan era tradizionalmente quella di mantenere il massimo riserbo. Questo programma, diretto dalla CIA, ufficialmente sembrava non esistere, anche se la stampa riporta in genere ogni singola incursione effettuata non solo in territorio pakistano, ma anche in altri paesi come Yemen e Somalia. Gli attacchi così condotti vengono inoltre quasi sempre confermati anonimamente da esponenti del governo americano.

Il giorno successivo la dichiarazione via Google+, alcuni giornali d’oltreoceano si sono chiesti se Obama avesse violato inavvertitamente la segretezza imposta sul programma dei droni. I portavoce della Casa Bianca hanno però smentito una possibile gaffe del presidente. Molto più probabile è che Obama e il suo staff abbiano deciso deliberatamente di fare una dichiarazione pubblica di sostegno all’impiego dei droni in Pakistan. Infatti, durante l’evento sponsorizzato da Google, il presidente ha ricevuto più di cento mila domande dagli utenti collegati, tra le quali ne sono state selezionate accuratamente solo sei e una di esse era appunto quella relativa ai droni.

“Voglio che la gente comprenda che in realtà i droni non hanno causato un gran numero di vittime civili”, ha affermato Obama nella sua replica. “Nella maggior parte dei casi, i droni sono risultati molto precisi nel colpire membri di Al-Qaeda e i loro affiliati”.

Per l’inquilino della Casa Bianca quello dei droni è “uno sforzo rivolto contro persone che sono su una lista di terroristi attivi, i quali cercano di colpire cittadini, strutture e basi degli Stati Uniti”. Ancora, “il maggior numero di queste incursioni avviene nella FATA [l’area tribale pakistana al confine con l’Afghanistan]” e “il programma viene operato con moderazione”.

Oltre alla più che dubbia legalità di assassini mirati entro i confini di un paese sovrano che non è in guerra con gli Stati Uniti e contro individui finiti sulla lista nera di Washington senza alcuno scrutinio pubblico o intervento di un’autorità giudiziaria, le operazioni dei droni non appaiono nemmeno particolarmente precise.

Molte organizzazioni hanno condotto studi approfonditi sulle conseguenze dei bombardamenti con i droni in Pakistan e i risultati hanno mostrato le stragi di civili puntualmente causate da ogni singola incursione. Secondo un rapporto dell’ottobre 2010 di Campaign for Innocent Victim in Conflicts (CIVIC), i dati raccolti dall’intelligence americana per giustificare un attacco militare si basano su informazioni sommarie e spesso imprecise. I ricercatori di CIVIC hanno analizzato nove delle oltre cento incursioni portate a termine tra il 2009 e il 2010, nelle quali hanno contato 30 vittime civili, tra cui donne e bambini.

Il numero totale delle vittime dei droni in Pakistan dall’inizio del 2008, pur essendo impossibile da stabilire in maniera ufficiale, è stata stimata tra i 1.109 e i 1.734 da due ricercatori di New American Foundation. In questi attacchi, sarebbero stati uccisi solo 66 esponenti di spicco di Al-Qaeda o di altri gruppi fondamentalisti. Per il "Bureau of Investigative Journalism", fino all’agosto 2011 i bambini assassinati dai droni sono stati almeno 168, mentre proprio due giorni fa la stessa organizzazione londinese ha pubblicato una nuova ricerca che ha evidenziato come gli americani colpiscano ripetutamente anche i soccorritori che giungono sui luoghi dove avvengono le incursioni, così come i funerali delle vittime. Ancora più inquietante è infine lo studio fatto dall’influente think tank di Washington, Brookings Institution, secondo il quale un incursione dei droni nell’area tribale pakistana miete in media dieci vittime civili per ogni presunto terrorista ucciso.

Oltretutto, le vittime delle incursione, al contrario di quanto sostiene il governo americano sia pure in maniera non ufficiale, raramente sono operativi di spicco di Al-Qaeda oltre il confine afgano, bensì quasi sempre militanti di basso livello che mai avrebbero la possibilità di rendersi responsabili di attacchi terroristici negli USA e che invece combattono esclusivamente contro l’occupazione americana del loro paese.

La questione più importante relativa all’uscita pubblica di Obama della settimana scorsa è legata in ogni caso alle motivazione che hanno spinto il presidente a rompere il silenzio sui droni. L’ammissione può essere in parte legata al peggioramento dei rapporti con il governo pakistano nell’ultimo anno, così da esercitare pressioni su Islamabad, da dove pubblicamente le incursioni vengono condannate anche se in privato sono tollerate o, addirittura, apertamente incoraggiate.

Soprattutto, però, le dichiarazioni del presidente democratico fanno parte di una strategia propagandistica tesa a far accettare all’opinione pubblica occidentale come normali i metodi criminali utilizzati dall’establishment militare e dell’intelligence a stelle e strisce in nome della guerra al terrore.

Già lo scorso ottobre, poi, il Segretario alla Difesa, Leon Panetta, aveva aperto la strada alla recente ammissione di Obama, facendo riferimento all’esistenza di un programma con l’impiego di droni da parte della CIA, pur senza specificare dove avvengono gli attacchi e quali finalità hanno.

Forse non a caso, inoltre, l’uscita di Obama è giunta a quasi un mese esatto di stanza dalla sua firma posta su un provvedimento approvato dal Congresso che ha sancito la legalità delle detenzioni a tempo indefinito presso l’autorità militare per quei cittadini americani e stranieri accusati dalla Casa Bianca di avere legami con il terrorismo, anche senza prove né processo o accuse formali.

Lo stesso Obama, d’altra parte, lo scorso settembre aveva indicato come un successo della sua amministrazione l’esecuzione mirata con un drone in Yemen di Anwar al-Awlaki, il predicatore fondamentalista con cittadinanza americana, e del figlio appena sedicenne.

Con il Pentagono costretto nel prossimo futuro a consistenti tagli di bilancio, infine, l’utilizzo dei droni diventerà per gli Stati Uniti un metodo sempre più economico e senza vittime americane per continuare a condurre le proprie operazioni militari nelle aree più strategiche del globo. In questo senso, probabilmente, va in parte inteso anche l’annuncio fatto a sorpresa qualche giorno fa dallo stesso Panetta, secondo il quale le truppe USA da combattimento in Afghanistan termineranno il loro compito già entro la metà del 2013, vale a dire con un anno e mezzo di anticipo sulla data stabilita ufficialmente da Obama per il ritiro delle forze di occupazione dal paese asiatico.