Stampa
Categoria principale: Articoli
Categoria: Esteri

di Michele Paris

La disputa attorno alle elezioni generali in Cambogia del 28 luglio scorso continua a pesare sulle sorti del paese del sud-est asiatico anche dopo i colloqui dei giorni scorsi tra il primo ministro, Hun Sen, e il leader dell’opposizione, Sam Rainsy. Pur avendo fatto segnare una netta flessione, il partito al potere - Partito Popolare Cambogiano (CPP) - è riuscito a conservare la maggioranza in Parlamento, ma le accuse di brogli e irregolarità hanno dato vita a manifestazioni di protesta e richieste di riforma in un paese ancora fermamente situato nell’orbita di Pechino ma sempre più esposto agli approcci degli Stati Uniti nel quadro della cosiddetta “svolta” asiatica pianificata dall’amministrazione Obama in funzione anti-cinese.

I dati ufficiali resi noti solo l’8 settembre scorso dalla Commissione Elettorale Nazionale hanno sostanzialmente confermato quelli provvisori diffusi nel mese di agosto. Il CPP ha cioè conquistato 68 dei 123 seggi dell’Assemblea Nazionale cambogiana, mentre il Partito della Salvezza Nazionale (CNRP) dell’ex ministro delle Finanze Rainsy si sarebbe fermato a 55.

Quest’ultimo e i suoi sostenitori avevano subito contestato i risultati, affermando che le urne, se le operazioni di voto fossero state regolari, avrebbero dovuto premiare il CNRP con almeno 63 seggi, sufficienti a conquistare la maggioranza assoluta e a rimuovere dal potere il CPP - o il suo predecessore, il Partito Rivoluzionario del Popolo Kampucheano - per la prima volta dalla fine del regime di Pol Pot e dei Khmer Rossi.

I ricorsi presentati da Rainsy, tuttavia, sono stati respinti sia dalla Commissione Elettorale che dalla Corte Costituzionale, due organi peraltro composti da fedelissimi del premier. Irregolarità nelle operazioni di voto sono state in realtà riscontrate ma non tali da giustificare l’annullamento del voto o da confermare i risultati proposti dall’opposizione.

Le proteste di piazza scoppiate dopo il voto si sono così intensificate nei giorni scorsi fino a sfociare in scontri violenti tra i manifestanti e la polizia. Nella giornata di domenica, si sono contati cinque feriti e un morto nella capitale, Phnom Penh, mentre le manifestazioni sono proseguite in maniera relativamente pacifica fino a martedì.

Già sabato scorso, tuttavia, Hun Sen e Sam Rainsy erano stati ricevuti dal capo nominale dello stato cambogiano, il re Norodom Sihamoni, il quale aveva invitato i due leader politici a superare i propri disaccordi e i deputati dell’opposizione a lasciar cadere la loro minaccia di boicottare l’inaugurazione dei lavori della nuova Assemblea Nazionale prevista per il 23 settembre prossimo.

Come già anticipato, Hun Sen e Rainsy si sono poi incontrati lunedì e martedì ma senza risultati significativi se non il raggiungimento di un vago accordo per riformare la Commissione Elettorale. Il primo ministro, invece, non ha accolto la richiesta principale dell’opposizione, cioè l’avvio di un’inchiesta indipendente - oppure condotta dalle Nazioni Unite - sulla regolarità delle elezioni di fine luglio.

Presentatosi martedì di fronte a circa 20 mila sostenitori a Phnom Penh, Rainsy ha ammesso che le trattative si sono risolte in un nulla di fatto ma ha minacciato nuove manifestazioni nel caso il Parlamento venisse convocato senza un accordo sulle discusse elezioni. Sempre possibile sarebbe infine anche il boicottaggio dell’Assemblea Nazionale, nonostante i tentativi di sventare questa ipotesi da parte del sovrano.

Se Hun Sen non sembra finora intenzionato a cedere terreno e continua così a dare l’impressione di volere trattare da una posizione di forza, sono in molti a pensare che il premier finirà per fare più di una concessione all’opposizione, soprattutto nel caso le proteste di piazza dovessero riprendere o diffondersi dalla capitale al resto del paese.

Già l’avere accettato di trattare con i leader dell’opposizione rappresenta d’altra parte una sorta di novità per lo stile di governo autoritario dell’ex ufficiale dei Khmer Rossi, fuggito in Vietnam nel 1977 per sottrarsi ad una purga interna al regime e successivamente installato al potere dall’esercito di quest’ultimo paese dopo l’invasione della Cambogia nel 1979 che pose fine alla dittatura di Pol Pot.

Il risultato della quinta elezione multipartitica in Cambogia dal 1993 è stato comunque estremamente negativo per il CPP, il quale ha perso ben 22 seggi rispetto al voto del 2008, vinto a valanga contro un’opposizione frammentata.

Quest’ultima, nella tornata elettorale di luglio ha invece beneficiato della fusione tra il Partito dei Diritti Umani dell’attivista Kem Sokha e del Partito Sam Rainsy, ma soprattutto ha cavalcato sapientemente il malcontento ampiamente diffuso in Cambogia per gli elevati livelli di povertà e disoccupazione, le crescenti disparità sociali, la corruzione endemica e, negli ultimi tempi, le sempre più frequenti concessioni terriere garantite spesso arbitrariamente agli investitori stranieri.

Sam Rainsy, inoltre, ha goduto di una certa popolarità dopo essere stato accolto trionfalmente dai suoi sostenitori quando lo scorso mese di luglio era tornato in patria grazie ad un provvedimento di clemenza del re cambogiano. Questa misura del sovrano aveva messo fine ad un esilio volontario per sfuggire ad una serie di condanne, a detta di Rainsy, politicamente motivate. La grazia nei suoi confronti era stata con ogni probabilità decisa dallo stesso premier Hun Sen il quale, per il timore delle crescente tensioni sociali, aveva acconsentito al suo ritorno nel paese alla vigilia delle elezioni.

Già dirigente di svariati istituti finanziari in Francia prima del suo ritorno in Cambogia nel 1992, Rainsy non ha però potuto candidarsi per le elezioni concluse qualche settimana fa ma ha comunque condotto una breve e aggressiva campagna elettorale, fatta spesso di invettive anti-cinesi e anti-vietnamite.

Se il suo partito ha saputo trovare il gradimento soprattutto di buona parte degli elettori più giovani e sfiduciati, le politiche economiche proposte da Rainsy non si discostano particolarmente da quelle di Hun Sen. Per entrambi, infatti, la Cambogia deve continuare ad attrarre il capitale straniero attraverso la messa a disposizione di manodopera indigena a costi irrisori.

Se, però, Hun Sen e il CPP sono stati finora fedeli alleati della Cina, le inclinazioni di Rainsy e del CNRP risultano essere decisamente filo-occidentali, come dimostrano gli appelli lanciati agli Stati Uniti e all’Europa per sostenere la loro battaglia volta a ribaltare l’esito del voto di luglio.

Gli Stati Uniti, da parte loro, non hanno nascosto negli ultimi anni la volontà di stabilire rapporti cordiali con il governo di Phnom Penh e Washington ha trovato in Hun Sen un interlocutore disponibile a valutare un possibile graduale sganciamento da Pechino, così da bilanciare la propria politica estera tra le prime due economie del pianeta, secondo alcuni sull’esempio del percorso intrapreso dalla ex Birmania (Myanmar).

L’amministrazione Obama, in particolare, nel quadro della nuova strategia asiatica messa in atto per contenere l’espansionismo di Pechino, ha rivolto la propria attenzione anche alla Cambogia, con cui la cooperazione militare era stata avviata già nel 2006. Gli aiuti economici destinati a questo paese sono così aumentati sensibilmente negli ultimi anni, mentre a suggellare la fase ascendente dei rapporti diplomatici bilaterali nel novembre del 2012 Barack Obama è diventato il primo presidente americano in carica a recarsi in visita ufficiale in Cambogia.

Sul fronte delle elezioni, la Casa Bianca e il Dipartimento di Stato hanno per ora mantenuto una posizione cauta, verosimilmente in attesa di verificare gli sviluppi della situazione. La settimana scorsa, ad esempio, una portavoce del Dipartimento di Stato si era limitata a chiedere una “revisione trasparente” delle presunte irregolarità del voto, senza però appoggiare le proteste dell’opposizione.

La circospezione dell’amministrazione Obama non esclude in ogni caso il favore di Washington per un rafforzamento del partito filo-occidentale di Rainsy, anche se il sostanziale silenzio in relazione ai presunti brogli rivela allo stesso tempo una certa soddisfazione per i rapporti stabiliti con l’attuale regime, nonché la fiducia nella possibilità di allentare comunque il legame tra la Cambogia e la Cina in un futuro non troppo lontano.