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Categoria: Esteri

Il negoziato su Brexit rischia di riaccendere il conflitto in Irlanda dopo 20 anni di pace. La questione è (ed è sempre stata) economica. La premier Theresa May ha giurato che la Gran Bretagna uscirà sia dal mercato unico sia dall’unione doganale europea; di conseguenza, l’Irlanda del Nord (parte dell’UK) e la Repubblica d’Irlanda (membro dell’Ue dal 1973) torneranno a essere divise da una frontiera vecchio stile. Con tanto di controlli doganali, passaporti e camion in coda. Poco importa che al referendum sulla Brexit il 56% dei nordirlandesi abbia votato per rimanere in Europa.



Il confine materiale fra le due parti dell’isola non esiste più dal 1998, anno in cui furono siglati gli Accordi del Venerdì Santo, che posero fine alla guerriglia dell’IRA. Reintrodurre ora una cesura vorrebbe dire rimettere in discussione un equilibrio raggiunto dopo decenni di attentati e scontri costati la vita a migliaia di persone. Un equilibrio peraltro instabile, visto che ancora oggi gli episodi di violenza in Irlanda del Nord e nelle zone di frontiera sono all’ordine del giorno.

Non solo. L’economia nordirlandese dipende in larga misura dalle esportazioni verso la Repubblica d’Irlanda, circa il 38% del totale. I controlli alla frontiera sarebbero perciò un colpo durissimo per molte imprese, che vedrebbero lievitare costi e tempi di consegna. Secondo alcuni negozianti intervistati dal Guardian, in condizioni simili esploderebbe di sicuro il contrabbando, creando un gigantesco mercato nero fra Ue e Uk.

Dublino però non ci sta. Il Telegraph ha scovato un documento segreto in cui la Repubblica d’Irlanda chiede alla Commissione europea di mantenere aperta la frontiera con l’Irlanda del Nord anche quando il divorzio fra Londra e Bruxelles sarà ultimato. E il presidente del Consiglio irlandese, Leo Varadkar, ha già fatto sapere che se la questione non sarà risolta prima che termini la fase uno dei negoziati su Brexit, dedicata alle condizioni della separazione, Dublino si opporrà all’avvio della fase due (sui futuri rapporti tra i due partner), che dovrebbe iniziare a metà dicembre.

Tuttavia, se non ci saranno controlli sui passaporti, l’Irlanda diventerà la porta d’ingresso per tutti i cittadini comunitari che vogliono raggiungere il Regno Unito. Niente di più facile: aereo per Dublino, pullman per Belfast, aereo per Londra. Al contrario, con i controlli, diventerebbe impossibile la vita dei circa 30mila transfrontalieri che ogni giorno passano da un’Irlanda all’altra per lavorare.  

Il groviglio è complesso. Per scioglierlo, alcuni hanno pensato di spostare la frontiera dalla terraferma al mare. I controlli su merci e persone si svolgerebbero solo nei porti e negli aeroporti nordirlandesi quando le persone o i beni avranno già attraversato o staranno per attraversare il mare d’Irlanda, che separa l’isola della Gran Bretagna. Sembra una trovata geniale, ma di fatto consentirebbe all’Irlanda del Nord di rimanere nell’unione doganale con una sorta di status speciale e ciò sarebbe interpretato come un primo passo verso la riunificazione dell'isola.

Non a caso, contro questa soluzione si è schierato il Partito Unionista irlandese (DUP), fedele alla corona e da sempre terrorizzato all’idea di essere abbandonato da Londra. May però non potrebbe scaricare gli alleati nordirlandesi nemmeno volendo. Dopo le sciagurate elezioni anticipate dello scorso giugno che hanno sottratto la maggioranza ai Conservatori, proprio il Dup, con i suoi 10 parlamentari, è indispensabile a tenere in piedi il governo britannico.

Insomma, la frontiera irlandese getta un’ombra sinistra su Brexit e ormai il tempo scarseggia. Se la fase due dei negoziati non partirà come previsto entro la metà di questo mese, è probabile che le parti non riusciranno a concludere l’intera trattativa entro il 29 marzo 2019, data ufficiale del divorzio.

 

Quel giorno dovrà esserci un accordo complessivo, altrimenti la Gran Bretagna sarà costretta a rinegoziare (a condizioni meno favorevoli delle attuali) i 59 accordi commerciali di cui ora fa parte in quanto membro dell’Ue. E in Irlanda del Nord l’IRA non sarà più diplomatica come negli ultimi 20 anni.