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La decisione del Comitato Olimpico Internazionale (CIO) di bandire la Russia dai prossimi giochi invernali in Corea del Sud è la dimostrazione di come l’isteria anti-russa, che sta agitando l’establishment politico e mediatico negli Stati Uniti, continui a sconfinare assurdamente anche nell’ambito sportivo. La squalifica senza precedenti annunciata martedì a Losanna dovrebbe punire la Russia per il presunto programma di doping di stato emerso qualche anno fa e impedirà agli atleti di nazionalità russa di partecipare sotto la bandiera del proprio paese alle Olimpiadi in programma a Pyeongchang tra il 9 e il 25 febbraio 2018.

 

 

La bandiera e l’inno russo non potranno essere ostentati nel corso dei giochi, ma alcuni atleti avranno la possibilità di gareggiare sotto la ridicola designazione di OAR (“Olympic Athlete from Russia”) solo dopo avere superato test anti-doping molto più severi di quelli solitamente previsti. Questo espediente era già stato adottato nelle Olimpiadi estive di Rio de Janeiro nel 2016, quando però il CIO aveva delegato la decisione di accettare atleti russi ai giochi alle singole federazioni sportive internazionali.

 

Pur senza escludere possibili responsabilità del governo e delle autorità sportive di Mosca nella questione doping, la conclusione di questa settimana del CIO è di natura interamente politica. La mossa è da collegare alla campagna in atto, soprattutto a Washington, per umiliare la Russia e isolarla sul piano internazionale, dipingendola come uno stato-paria che agisce in violazione delle regole accettate a livello globale, incluse quelle sportive.

 

Le ragioni di questa caccia alle streghe sono da ricercare nella politica estera della Russia di Putin, da qualche anno sempre meno disposta a sottomettersi ai diktat americani e impegnata al contrario a promuovere in maniera efficace i propri interessi strategici, spesso in contrasto con quelli di Washington, come sta accadendo in Siria.

 

Le misure punitive dirette contro la Russia colpiranno anche politici e dirigenti sportivi, per lo più banditi dai giochi o rimossi dal CIO, tra cui l’ex ministro e l’ex vice-ministro dello Sport all’epoca delle Olimpiadi invernali di Sochi 2014, Vitaly Mutko e Yuri Nagornykh. La Russia, poi, dovrà risarcire il CIO dei costi legati alle indagini sullo scandalo doping e sborsare altri 15 milioni di dollari da destinare alla creazione di una “autorità indipendente di analisi” per combattere l’uso di sostanze vietate nello sport.

 

L’offensiva contro la Russia in questo ambito era stata inaugurata nel luglio 2016 con la pubblicazione di un primo rapporto dell’agenzia internazionale anti-doping (WADA) che accusava appunto questo paese di avere organizzato un programma di doping di stato in vista dei giochi di Sochi. Altre rivelazioni e accuse erano poi apparse nel novembre successivo.

 

L’indagine era stata condotta dall’avvocato canadese Richard McLaren, il quale aveva ritenuto inutile anche solo sentire il parere o la versione delle autorità russe sulla vicenda. L’impianto accusatorio si basava in gran parte sulla testimonianza di Grigory Rodchenkov, già direttore di un laboratorio anti-doping in Russia. Le dichiarazioni di Rodchenkov, attualmente “sotto la protezione delle autorità americane”, sono sempre state messe in dubbio dal governo russo perché carenti di fatti e molto raramente supportate da prove concrete.

 

Una parte fondamentale del lavoro che ha portato alla squalifica della Russia è stato svolto dalla stampa americana, a cominciare dal New York Times. Questo giornale, in particolare, ha gettato fango in continuazione sugli atleti e sui vertici dello sport russi, nel tentativo di influenzare il giudizio dell’opinione pubblica internazionale.

 

Non è d’altra parte un caso che proprio il Times sia in primissima linea anche nella campagna in atto contro le presunte interferenze di Mosca nelle vicende politiche americane. Quello relativo al doping di stato è dunque solo un altro aspetto della campagna maccartista diretta contro il governo di Putin e che sta anche scuotendo l’amministrazione Trump a Washington.

 

A dare l’annuncio dell’esclusione della Russia dai giochi di Pyeongchang è stato il presidente del CIO, il tedesco Thomas Bach. Quest’ultimo, apparentemente senza ironia, ha affermato che la misura estrema si è resa necessaria in quanto il programma di doping russo rappresenta “un attacco senza precedenti all’integrità dei giochi olimpici e dello sport”.

 

L’integrità e gli standard morali a cui ha fatto riferimento il numero uno del CIO non sono probabilmente quelli evidenziati nei numerosi scandali che hanno riguardato questo organismo negli anni. L’assegnazione del diritto a ospitare i giochi olimpici, ad esempio, è puntualmente al centro di episodi di corruzione. Ben note sono le accuse, rivolte ai membri del CIO nel 1998, di avere ricevuto denaro in cambio della decisione di premiare la città americana di Salt Lake City per l’organizzazione delle Olimpiadi invernali del 2002.

 

Più di recente, nella primavera del 2016, sulla stampa britannica era apparsa invece la notizia che la polizia francese stava indagando su irregolarità nel processo di assegnazione dei giochi olimpici del 2020. Secondo le testimonianze raccolte dal Guardian, il comitato a supporto della vittoriosa candidatura di Tokyo aveva pagato circa 1,3 milioni di euro a membri del CIO per ottenere il voto favorevole alla propria città.

 

Episodi simili sono tutt’altro che casi isolati, dal momento che il CIO prevede in sostanza procedimenti di assegnazione opachi almeno quanto quelli dell’organo di governo internazionale del calcio (FIFA), al centro anch’esso di clamorosi scandali negli ultimi anni.

 

Per quanto riguarda specificamente il doping, anche se le accuse rivolte ora alla Russia fossero fondate, esse non sono un’esclusiva di Mosca. Limitandosi agli Stati Uniti, nel 2003 un membro della WADA aveva reso pubblici decine di migliaia di documenti che dimostravano come il comitato olimpico americano, tra il 1991 e il 2000, si fosse adoperato per tenere nascoste centinaia di positività ai controlli anti-doping di atleti a cui sarebbe stato permesso comunque di partecipare ai giochi.

Visti infine gli enormi interessi economici che ruotano attorno all’organizzazione di un’Olimpiade, non è da escludere che sulle azioni del CIO contro la Russia abbiano avuto una qualche influenza le corporation americane che sponsorizzano massicciamente i giochi.

 

Aziende come Coca-Cola, McDonald’s, Visa o Dow Chemical “investono” decine di milioni di dollari nelle Olimpiadi e nei principali eventi sportivi internazionali. Esse finanziano in maniera ingente anche i politici americani, a cui sono evidentemente legate a doppio filo, tanto da rendere più che plausibili possibili pressioni sui vertici del CIO per adottare iniziative anti-russe.

 

Questa ipotesi è da tenere in considerazione se si pensa che, dopo i giochi invernali di Sochi del 2014, le grandi aziende sponsorizzatrici dell’evento in Russia erano finite al centro di polemiche soprattutto negli USA per avere contribuito al successo di immagine del governo di Mosca. In quell’occasione, la controversia era legata alle consuete accuse, rivolte alla Russia, di violare i diritti umani e civili. Accuse che in Occidente sono di solito il segnale di motivazioni politiche decisamente meno nobili.

 

Sul bando per i prossimi giochi in Corea del Sud, intanto, Mosca non ha ancora fatto sapere ufficialmente quali sono le ritorsioni che intenderà eventualmente adottare. Da un lato, il governo russo ha fatto notare come ai propri atleti sia comunque permesso di partecipare alle competizioni, sia pure sotto le insegne olimpiche, e non sia esclusa l’esibizione di bandiera e inno nella cerimonia di chiusura.

 

Dall’altro, però, è apparso palpabile il risentimento per l’ennesima provocazione orchestrata con ogni probabilità a Washington. Alcuni esponenti politici russi hanno infatti definito “umiliante” la partecipazione degli atleti sotto una bandiera neutrale e invitato di conseguenza il loro governo a proclamare un clamoroso boicottaggio, escluso però dal presidente Putin in un comunicato ufficiale rilasciato nella giornata di mercoledì.