Stampa
Categoria principale: Articoli
Categoria: Esteri

Una sentenza d’appello di un tribunale distrettuale britannico ha respinto questa settimana il ricorso dei legali del fondatore di WikiLeaks, Julian Assange, per far cadere definitivamente l’accusa di avere violato i termini della libertà condizionata a cui era stato sottoposto nell’ormai lontano 2012.

 

 

La decisione è oggettivamente assurda sul piano legale e conferma la natura tutta politica della drammatica vicenda di Assange, costretto a risiedere da quasi sei anni all’interno dell’ambasciata dell’Ecuador a Londra per sfuggire alla vendetta dei governi di Gran Bretagna e Stati Uniti, di cui il suo sito ha rivelato alcuni dei crimini commessi su scala planetaria.

 

Che non ci sia alcuna giustificazione logica o legale per il continuo accanimento nei confronti di Assange è confermato dal fatto che la minaccia di arresto si riferisce a una richiesta di estradizione che la magistratura svedese ha ritirato nel 2017. L’accusa di stupro, costruita appositamente per incastrare il numero uno di WikiLeaks, era stata infatti lasciata cadere. Assange, in ogni caso, non era mai stato incriminato formalmente in Svezia e aveva sempre mostrato piena disponibilità a essere interrogato dai magistrati di questo paese in teleconferenza, come accaduto decine di volte nei casi di richieste di estradizione dalla Gran Bretagna.

 

Anche senza considerare l’aspetto farsesco della vicenda legale in sé, Assange ha alla fine scontato un isolamento di quasi sei anni, con pesantissime conseguenze fisiche e psicologiche, per un reato, come la violazione dei termini della libertà vigilata, che secondo la giustizia inglese può essere punito con un massimo di sei mesi di detenzione.

 

Su questo aspetto hanno puntato gli avvocati di Assange, così come su un devastante rapporto della commissione ONU sulle detenzioni arbitrarie che nel 2015 aveva condannato duramente il governo di Londra per il suo trattamento, definito “arbitrario, illogico, inutile e sproporzionato”.

 

A tutti gli effetti, la situazione di Assange rappresenta una macchia gravissima per la Gran Bretagna, ma anche per gli Stati Uniti, la Svezia e il suo paese, l’Australia, e richiederebbe, come minimo, mobilitazioni simili a quelle che la sinistra in Occidente ostenta nei casi di detenzioni arbitrarie e di violazione dei diritti umani in regimi considerati dittatoriali.

 

Il nuovo verdetto contro Assange è stato emesso martedì dal giudice Emma Arbuthnot, la quale ha ritenuto anche di ignorare completamente le notizie circolate nei giorni scorsi sulla stampa inglese. Il Guardian, in particolare, nonostante abbia spesso condotto una campagna feroce contro WikiLeaks e il suo fondatore, aveva pubblicato la trascrizione di alcuni messaggi scambiati tra le autorità giudiziarie britanniche e quelle svedesi.

 

Da questo materiale era emerso come la Svezia intendeva chiudere la farsa del procedimento contro Assange già nel 2013, ma i procuratori di questo paese erano stati invitati da quelli di Londra a tenere in vita le accuse e la richiesta di estradizione, ma anche a rifiutare un video-interrogatorio in collegamento con l’ambasciata ecuadoriana.

 

Assange avrebbe cioè potuto lasciare l’edificio dove è rinchiuso dall’estate del 2012 già cinque anni fa se non fosse stato per il governo di Londra, evidentemente sotto pressione da Washington. Negli Stati Uniti è stato creato in segreto un “Grand Jury” fin dal 2010 in vista di una possibile incriminazione di Assange, nel caso la richiesta di estradizione, mai ammessa da Londra, dovesse andare a buon fine.

 

I legali di Assange hanno sempre confermato la disponibilità del loro assistito ad affrontare le accuse, oggettivamente trascurabili, della giustizia britannica, ma continuano a chiedere garanzie circa l’estradizione verso gli USA. Londra non ha ovviamente mai accettato questa proposta, visto che le azioni dirette contro Assange hanno il preciso scopo di mettere le mani sul fondatore di WikiLeaks per spedirlo negli Stati Uniti, dove rischierebbe pene severissime, inclusa quella capitale.

 

A rendere ancora più inquietante la situazione è poi il rifiuto di Londra di riconoscere l’immunità ad Assange, visto che il governo dell’Ecuador gli ha concesso un passaporto diplomatico. Anche questo obbligo previsto dal diritto internazionale viene ostinatamente ignorato dal governo britannico, la cui unica facoltà sarebbe tutt’al più quella di espellere Assange e inviarlo in Ecuador, come chiede appunto quest’ultimo.

 

Per quanto riguarda ancora la corrispondenza tra le procure di Londra e Stoccolma, in una e-mail di un magistrato britannico si assicurava ai colleghi svedesi che i costi esorbitanti del caso e della sorveglianza di Assange non erano un “fattore rivelante” nella vicenda, così che il procedimento doveva proseguire perché il suo “non andava trattato come tutti gli altri casi di estradizione”.

 

I documenti pubblicati dal Guardian e da altri giornali britannici sono solo alcuni di quelli rimasti, visto che una parte di essi sono stati distrutti illegalmente e in maniera deliberata dalla procura di Londra per evitare di consegnarli al tribunale che stava valutando una richiesta di pubblicazione in base alla legge sulla libertà di informazione.

 

Il giudice Arbuthnot che ha presieduto l’appello questa settimana rappresenta essa stessa gli interessi dell’apparato militare e dello stato britannico contro cui di fatto Assange deve combattere. Suo marito è il politico conservatore Lord James Arbuthnot, fino al 2014 presidente della commissione Difesa della Camera dei Comuni, con compiti di controllo sulle forze armate britanniche direttamente o indirettamente coinvolte in alcuni dei crimini rivelati da WikiLeaks. L’ex parlamentare è stato anche ex direttore della società di consulenza SC Strategy, legata ai servizi segreti britannici e per la quale lavorano o lavoravano due ex numeri uno dell’MI6.

 

Nella sua sentenza, il giudice Arbuthnot ha così espresso apertamente l’arroganza delle élite britanniche e il disprezzo nei confronti di Assange, esortato in sostanza ad accettare, come giusta punizione per le sue azioni, la vendetta dello Stato.

 

Allo stesso modo, le condizioni di vita di Assange in questi anni, condannate anche dalle Nazioni Unite, sono state oggetto di scherno, mentre i timori per una possibile estradizione negli Stati Uniti definiti “ingiustificati”. Ciò malgrado proprio il giorno prima dell’udienza il dipartimento di Giustizia americano avesse confermato alla stampa come un procedimento contro Assange sia tuttora in corso.

 

Dagli USA le minacce contro quest’ultimo continuano d’altra parte a essere formulate pubblicamente. I membri dell’amministrazione Trump continuano infatti sulla linea persecutoria tenuta in precedenza da quelli del governo Obama. Il direttore della CIA, Mike Pompeo, nell’aprile del 2017 aveva ad esempio definito WikiLeaks un “servizio di intelligence ostile” e affermato che Assange non gode dei diritti riconosciuti dal Primo Emendamento alla Costituzione americana. Il ministro della Giustizia, Jeff Sessions, ha invece confermato come l’arresto e l’incriminazione di Assange restino una priorità per il suo dipartimento.

 

A disposizione dei suoi legali resta ora un altro appello di fronte alla giustizia britannica, da presentare entro i prossimi tre mesi. Visti i precedenti e le motivazioni che stanno dietro alla persecuzione promossa da Londra e Washington, in assenza di una mobilitazione popolare a suo favore, la libertà di Assange continuerà però a rimanere poco più di un miraggio.