Stampa
Categoria principale: Articoli
Categoria: Esteri

Il dibattito sulla riforma dei flussi migratori negli Stati Uniti sembra essere giunto questa settimana a uno stadio decisivo. Più che ad aprire la strada all’approvazione di una qualche misura definitiva, su cui il Congresso e la Casa Bianca restano ancora divisi, le trattative e il voto dell’aula sono però serviti più che altro a portare la discussione su un terreno anti-democratico e xenofobo come mai era stato fatto dal secondo dopoguerra a oggi.

 

 

Sul tavolo ci sono svariate proposte di legge che verranno votate inizialmente dal Senato, ma al momento senza reali prospettive di superare l’esame della Camera e di evitare il veto presidenziale. Il dato politico più rilevante riguarda il comportamento dei leader del Partito Democratico, atteggiatisi nelle ultime settimane a difensori dei diritti degli immigrati “irregolari” negli Stati Uniti e alla fine disponibili invece al compresso su testi di legge che recepiscono in maniera più o meno ampia le richieste del presidente Trump e dei repubblicani.

 

Un certo consenso bipartisan ha raccolto soprattutto il testo promosso dalla senatrice repubblicana “centrista” Susan Collins e che la stampa americana ha definito generalmente come “moderato”. Esso prevede in realtà lo stanziamento di 25 miliardi di dollari da destinare a misure che dovrebbero rafforzare la sicurezza lungo il confine con il Messico, ovvero per contrastare il movimento dei migranti, inclusa la costruzione del famigerato muro voluto da Trump.

 

I democratici hanno giudicato accettabile questa concessione, anche se in cambio riceverebbero soltanto la risoluzione parziale dello stato di incertezza in cui si trovano poco meno di due milioni di giovani stranieri portati “illegalmente” dai genitori negli USA quando erano bambini.

 

Coloro che rientrano in questo gruppo di migranti sono a serio rischio di deportazione da quando Trump ha ordinato la cancellazione entro i primi di marzo di un programma, conosciuto come DACA e approvato dall’amministrazione Obama, che garantisce il permesso temporaneo di risiedere legalmente in territorio americano. La bozza Collins prevede un lungo percorso verso la cittadinanza - tra i 10 e i 12 anni - ma esclude in modo crudele la possibilità di regolarizzare i genitori dei giovani migranti.

 

Malgrado i contenuti per nulla progressisti, questa proposta di legge sembra essere già stata scartata dalla Casa Bianca. Trump ha fatto sapere che non intende firmare alcun provvedimento approvato dal Congresso se esso non conterrà alcuni punti chiave della sua idea di “riforma” dell’immigrazione.

 

Il presidente vuole in primo luogo mettere fine a quella che definisce “migrazione a catena”, cioè l’opportunità dei ricongiungimenti familiari con gli stranieri che vivono regolarmente negli Stati Uniti. Trump auspica anche la fine della cosiddetta “lotteria dei visti”, inalterata nella proposta Collins e che garantisce un certo numero di ingressi annui a quei paesi sottorappresentati dalla popolazione migratoria residente negli USA.

 

Le richieste della Casa Bianca sono invece sostanzialmente comprese nella bozza ultra-reazionaria scritta dal senatore repubblicano dell’Iowa, Charles Grassley, che Trump ha infatti appoggiato esplicitamente. Il punto centrale di questa proposta è il taglio radicale del numero di migranti ammessi in America, i quali scenderebbero di oltre 20 milioni nel prossimo decennio.

 

In un modo o nell’altro, questo è in definitiva l’obiettivo della classe dirigente americana, inclusa quella rappresentata dal Partito Democratico. Alcuni commentatori hanno rilevato correttamente il drastico cambiamento dei temi al centro del dibattito migratorio negli USA in questi anni.

 

Da quanto emerge dalla discussione in corso, cioè, la questione principale non riguarda più, come in passato, se e in che misura garantire la regolarizzazione di un determinato numero di immigrati presenti “illegalmente” sul territorio americano, bensì se tagliare e di quanto gli afflussi considerati legali.

 

Questo presupposto, assieme al controllo del governo e del Congresso da parte di forze politiche ultra-nazionaliste e spesso con tendenze xenofobe, se non apertamente razziste, fa in modo che sul piano legislativo ci sia una vera e propria corsa a destra per riuscire a implementare una “riforma” che punisca e criminalizzi il più possibile la popolazione migratoria.

 

In un quadro simile, anche una terza proposta in circolazione al Senato, contenente provvedimenti oggettivamente reazionari ma per certi versi più moderata, è già stata bocciata dalla Casa Bianca. La bozza è quella, ugualmente bipartisan, promossa dal repubblicano John McCain e dal democratico Chris Coons, secondo l’amministrazione Trump troppo poco generosa sul fronte degli stanziamenti per il rafforzamento del controllo dei confini.

 

L’irrigidimento della classe politica americana e l’accelerazione autoritaria nei confronti di stranieri che vivono da anni negli USA e di disperati che cercano di entrare nel paese che, di fatto, è il primo responsabile della loro situazione, sono da collegare ai tentativi di alimentare impulsi populisti e nazionalisti per contenere tensioni sociali prodotte da ben altri fattori.

 

Significativamente, anche politici teoricamente progressisti ricorrono spesso a una retorica non lontana da quella della destra sul tema dell’immigrazione, rispondendo a una strategia che punta anch’essa a dirottare malcontento e frustrazioni in direzione nazionalistica, in modo da dividere le classi più povere dentro e fuori i confini americani.

 

L’esempio più lampante è quello dell’ex candidato alla presidenza per il Partito Democratico, Bernie Sanders, il quale nei giorni scorsi si è detto disponibile a fare “concessioni” alla Casa Bianca, inclusa la costruzione del muro di confine col Messico, in cambio della (modesta) protezione da offrire ai giovani stranieri a rischio di deportazione.

 

Il dibattito politico sul controllo dell’immigrazione sta comunque avvenendo negli USA in un clima segnato da repressione e intimidazioni, dopo che già l’amministrazione Obama si era distinta per il numero record di deportazioni di migranti “irregolari”. Trump e il suo governo stanno promuovendo iniziative odiose da parte delle autorità migratorie, fatte di arresti e deportazioni di stranieri senza precedenti penali, prelevati, ad esempio, sul posto di lavoro, mentre accompagnano i figli a scuola o si presentano a normali colloqui sul loro status presso gli uffici governativi.

 

Al di là della versione della prossima “riforma” dei flussi migratori che sarà votata dal Senato, il percorso verso l’approvazione definitiva si prospetta accidentato, sempre che non ci siano ulteriori concessioni all’estrema destra da parte dei democratici. Il presidente della Camera, Paul Ryan, ha infatti escluso anche solo l’approdo in aula di qualsiasi testo di legge che non sia appoggiato esplicitamente dal presidente Trump.