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Al terzo tentativo ce l’ha fatta, Andrès Manuel Lopez Obrador è il nuovo Presidente del Messico. Con la maggioranza assoluta dei voti ha conquistato la presidenza, le principali città e, quando ancora lo spoglio per deputati e senatori non è concluso, pare che potrà godere di ampia maggioranza nei due rami delle Camere.

 

Avevano provato anche in questa occasione, con brogli e violenza, ad invertire la volontà popolare, ma stavolta la partecipazione massiccia ha reso percentualmente inutili i brogli in alcuni luoghi del Paese. Alla notizia del suo trionfo centinaia di migliaia di persone si sono spontaneamente riversate nel Zocalo di Città del Messico, riempendo fino all’inverosimile una delle più grandi piazze del mondo. Tutti volevano esserci a respirare l’aria fresca di un nuovo Messico, nessuno voleva perdere l’appuntamento con la fine della paura.

 

 

Quella di Andrés Manuel Lopez Obrador, infatti, non è stata solo una vittoria elettorale, bensì un trionfo. Per numeri, certo, ma soprattutto perché la sua candidatura ha riattivato le energie sopite della società messicana, schiacciate sull’emergenza dei diritti umani violati come in nessun altro luogo e dal senso d’impotenza nei confronti di una continuata cessione della sua sovranità economica e politica verso gli Stati Uniti.

 

Amlo dovrà ora costruire compromessi con le forze sane ( e anche con quelle meno sane ma interessate a un cambiamento) della società messicana, perché un sistema di potere non può essere spazzato via solo con un voto. Ma intanto ha letteralmente asfaltato una casta corrotta e violenta che da decenni succhiava il sangue al Messico, concedendo solo l’alternanza al governo tra il PRI e il PAN, ovvero le due facce di una stessa medaglia di sistema. Alcune delle famiglie imprenditoriali, fiutato il vento, avevano fatto schierare alcuni dei loro membri al fianco di Amlo ma questo non ridurrà l’impegno di quest’uomo dal carattere forte a provare a rivoltare il Messico come un guanto.

 

Si è impegnato affinché l’emergenza sociale che tiene la maggioranza della sua popolazione nella povertà (e buona parte di questa in quella assoluta) sia affrontata con ricette diverse, abbandonando le ignobili stagioni del rigore di bilancio, rivelatesi inefficaci per gli indici di povertà ma decisamente efficaci per il trasferimento di ricchezza in poche mani, inadatte all’ampliamento della sfera dei diritti proprio perché adatte a quello della corruzione.

 

Ieri è andato al tappeto uno dei peggiori sistemi di potere centrato sul controllo violento delle contraddizioni sociali che esprime. L’esclusione sociale e la corruzione sistemica sono stati il lievito madre della violenza e la perdita di ogni credibilità nei confronti del complesso delle istituzioni che si occupano della sicurezza pubblica - dai militari alla polizia ai giudici - hanno determinato l’insicurezza assoluta e la precarietà dei diritti, rendendo il Messico il prototipo di uno Stato fallito.

 

Un mercato del lavoro concepito su una cultura medievale, abbinato ad una capacità tecnologica elevatissima, la paura elevata a sentimento naturale e quotidiano, l’insicurezza e l’assenza di diritti, l’abuso di potere e la corruzione sono gli ingredienti di un sistema che è, prima di qualunque altra cosa, un laboratorio del controllo politico e sociale. Un modello autoritario travestito da democrazia applicato su vasta scala, dove le contraddizioni più violente sono state il manifestarsi inevitabile dell’ingiustizia più sfacciata, della discriminazione più evidente, dell’assenza del diritto di cittadinanza.

 

Si sono aggregati modelli futuribili in concomitanza con aspetti retrogradi ed anacronistici allo scopo di esercitare il dominio ad ogni livello; dal saccheggio latifondista delle terre e dalla repressione verso le comunità indigene passando alle grandi città, dove la forza amministrativa e industriale ha ricevuto i colpi più duri della riorganizzazione in senso schiavista del mercato del lavoro, fino alla cessione di sovranità dell’industria nazionale petrolifera, ricchezza autentica del paese Azteca divenuta simbolo della sua invasione da parte degli USA.

 

Questo voto non cancella del tutto il timore del passato ma crea le condizioni per immaginare un futuro per il Messico. Amlo riporterà il Messico al posto di prestigio che gli compete in seno alla comunità internazionale e i teorici del sovranismo bianco con sede alla Casa Bianca avranno ora di che riflettere.

 

A forza di urlare America first succede che vince Primero Mexico. A furia di rivendicare la sovranità, finisce che i popoli imparano a declinare il termine nel modo corretto e che lo sistemano sulla punta di una matita che diventa un’arma scagliata in un’urna. Le vere bombe intelligenti sono queste: quelle che fanno vincere le guerre giuste. Che portano, almeno per una volta, gli ultimi ad eleggere i primi.