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Lo scontro tra gli alleati della CDU e della CSU in Germania sulla questione degli immigrati, che rischiava di far crollare il governo di coalizione della Cancelliera Merkel, è almeno momentaneamente rientrato grazie a un accordo di compromesso raggiunto nella serata di lunedì tra i leader dei due partiti. L’accordo dovrebbe in teoria servire alle strategie elettorali dei cristiano-sociali bavaresi, ma, se questa ipotesi è fortemente in dubbio, quel che è certo è che esso darà nuovi argomenti alla destra xenofoba, aggravando nel contempo la situazione di migranti e rifugiati.

 

 

Il numero uno della CSU, il ministro dell’Interno Horst Seehofer, domenica scorsa aveva minacciato di dimettersi dal suo incarico se il governo della “grosse Koalition” non avesse accolto la richiesta di imprimere un nuovo anti-democratico giro di vite ai diritti dei richiedenti asilo che arrivano in Germania dopo essersi registrati in altri paesi europei.

 

Seehofer aveva ritenuto insufficienti anche i risultati raggiunti nel vertice UE di settimana scorsa, nonostante una serie di vergognose iniziative anti-migratorie concordate dai paesi membri in quella sede. L’intenzione della CSU era di rimandare indietro in maniera sommaria tutti i migranti registrati altrove al momento del loro arrivo ai confini tedeschi.

 

La Merkel non aveva alcuno scrupolo di principio per una misura simile. La sua preoccupazione era legata piuttosto al pericolo che la chiusura di fatto delle frontiere tedesche avrebbe fatto scattare provvedimenti ritorsivi da parte di altri paesi, a cominciare dall’Austria, mettendo a rischio la libera circolazione di persone e, soprattutto, merci sancita da Schengen.

 

L’irrigidimento di Seehofer e di una parte del suo partito era dettato da considerazioni elettorali in previsione del voto in Baviera nel mese di ottobre. La CSU è d’altra parte impegnata da tempo in una rincorsa verso l’estrema destra del partito xenofobo Alternativa per la Germania (AfD). Nel tentativo di non perdere consensi a destra, la CSU, come quasi tutti gli altri partiti del panorama politico tedesco, ha adottato il linguaggio e le politiche della destra estrema in materia di immigrazione, finendo per alimentare un clima di isteria e intolleranza in larghissima misura ingiustificato e, a ben vedere, nemmeno condiviso dalla maggior parte degli elettori.

 

La Merkel, ad ogni modo, si era ritrovata nella scomoda situazione di dover accontentare un alleato di governo, per salvare il suo gabinetto, con il rischio di incrinare i rapporti all’interno dell’Unione. Alla fine, dopo una nuova lunga sessione di negoziati, CDU e CSU lunedì hanno raggiunto un punto d’incontro che ha fatto rientrare la minaccia di dimissioni di Seehofer.

 

Il compromesso rappresenta in sostanza l’accettazione in linea teorica della richiesta dei cristiano-sociali, anche se, allo stato attuale delle cose, manca delle condizioni che ne permettano l’effettiva implementazione. Berlino intende cioè creare “zone di transito”, ovvero campi di detenzione provvisoria, lungo il confine meridionale, dove coloro che non avrebbero diritto a richiedere asilo in Germania potranno essere respinti dopo una procedura burocratica accelerata.

 

Nel concreto, l’obiettivo sarebbe quello di rimandare nei paesi europei di provenienza i migranti che in essi hanno già chiesto asilo, dietro il paravento di un procedimento legale che sarà poco più di una farsa. La semplificazione delle procedure di respingimento dovrebbe derivare dal carattere di “extraterritorialità” che verrà assegnato alle “zone di transito”, simile cioè agli aeroporti.

 

La vera incognita del piano anti-democratico Merkel-Seehofer è che l’allontanamento dei migranti dalla Germania potrà avvenire solo se i paesi di destinazione hanno sottoscritto accordi bilaterali con Berlino. La cancelliera ha sostenuto nei giorni scorsi che un’intesa era già stata trovata con alcuni paesi, ma ha dovuto in seguito fare parziale marcia indietro precisando che sono in corso discussioni per convincere i vari governi a riprendere i migranti respinti dalla Germania. Paesi come Italia, Austria o Repubblica Ceca sembrano comunque poco propensi ad accettare le condizioni di Berlino, così che il compromesso CDU-CSU risulta al momento estremamente precario.

 

Per quanto riguarda i riflessi politici della disputa tra gli alleati di governo, è per lo meno discutibile che l’accordo raggiunto in extremis possa avere effetti benefici per la CSU in previsione del voto regionale del prossimo autunno in Baviera. I leader dell’AfD hanno già approfittato della marcia indietro sulle dimissioni di Seehofer per intensificare la retorica xenofoba e i sondaggi continuano infatti a indicare difficoltà per i cristiano-sociali.

 

La Merkel, a sua volta, esce ulteriormente indebolita dalla crisi dei giorni scorsi. All’interno della CDU, hanno spiegato in questi giorni i giornali tedeschi, si moltiplicano le voci di coloro che appaiono scontenti della sua leadership. Il crollo del governo sembra essere stato evitato infatti non tanto grazie alla forza della cancelliera, quanto per i timori, condivisi da tutti i partiti che ne fanno parte, di andare incontro a una nuova batosta elettorale in caso di voto anticipato, a tutto beneficio dell’estrema destra.

 

L’accordo tra Merkel e Seehofer dovrà ad ogni modo essere ratificato dalla terza forza che sostiene l’esecutivo, cioè i socialdemocratici (SPD), i cui vertici si ritrovano con una nuova patata bollente tra le mani, divisi tra il terrore del voto anticipato e l’accettazione di un nuovo provvedimento profondamente anti-democratico che rischia di far perdere altri consensi a un partito già ampiamente screditato e sull’orlo del baratro.

 

Quello che hanno realmente mostrato le vicende di questi giorni in Germania è però ancora una volta la deriva autoritaria del quadro politico europeo, con tutti i governi impegnati in un attacco frontale ai diritti di migranti e rifugiati. Un’operazione che ha poche giustificazioni se non quella di dirottare in senso nazionalista e xenofobo le crescenti tensioni sociali e l’insofferenza nei confronti della precarizzazione del lavoro, dello smantellamento del welfare e delle esplosive differenze di reddito.

 

Queste dinamiche e la natura dello scontro nel centro-destra tedesco, così come della presunta emergenza immigrazione in Europa, sono confermate anche dal fatto che il flusso migratorio è oggi crollato rispetto ai numeri del 2015 e, in Germania, ciò è dovuto proprio a quelle politiche della Merkel che la versione ufficiale continua a dipingere come eccessivamente generose nei confronti degli stranieri.

 

Per dare un’idea dello spostamento a destra del dibattito sull’immigrazione in Europa basti pensare che il leader della CSU aveva ritenuto non sufficientemente duri i provvedimenti approvati dal recente vertice UE e che la Merkel sperava comprensibilmente avrebbero soddisfatto il suo partner di governo.

 

Per Seehofer in definitiva, gli sforzi per chiudere di fatto il continente ai migranti provenienti da situazioni disperate, quasi sempre create dagli stessi governi occidentali, dovevano essere moltiplicati in territorio tedesco. Ciò nonostante, come ha scritto martedì la testata on-line Politico.eu, vale a dire una pubblicazione non esattamente di estrema sinistra, il summit abbia segnato la definitiva “de-umanizzazione” dell’Europa e la capitolazione dei suoi leader ai “populisti anti-migranti”, chiudendo la porta a disperati in fuga da “guerre, carestie e povertà”.

 

Nello stesso vertice, ha sostenuto il deputato europeo belga appartenente al gruppo dei Verdi, Philippe Lamberts, i leader UE hanno di fatto “seppellito il diritto di asilo” nel continente, essendo “d’ora in avanti virtualmente impossibile” presentare una richiesta di questo genere in territorio europeo. I capi di stato e di governo, nonostante pretendano di agire in questo modo per ostacolare l’avanzata dei partiti di estrema destra, “ne hanno alla fine adottato i programmi” di matrice xenofoba e anti-democratica.