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Secondo i politici e i media ufficiali americani, quella degli Stati Uniti sarebbe una società armonica e priva di conflitti significativi, dove le norme democratiche hanno raggiunto il livello più elevato possibile di sviluppo.

 

A creare tensioni e disordine sono le “interferenze” di paesi nemici, a cominciare dalla Russia, che, principalmente sui social media come Facebook, si insinuano in maniera insidiosa nel dibattito politico, seminando discordia e divisioni o, durante le campagne elettorali, favorendo determinati candidati rispetto a quelli meno graditi.

 

Questa è in sostanza una delle tesi che spiegano lo scandalo del “Russiagate” e, nonostante le prove delle responsabilità del governo di Mosca continuino a essere praticamente inesistenti, in vista delle elezioni di “metà mandato” del prossimo novembre è già stata lanciata una nuova caccia alle streghe.

 

Per la gioia del Congresso di Washington, martedì i vertici di Facebook hanno fatto sapere di aver scovato una manciata di finti account sulla propria piattaforma, pronti e, anzi, già intenti a “influenzare”elettori ingenui con la promozione di argomenti di discussione “controversi” e potenzialmente in grado di creare divisioni sociali.

 

Facebook ha spiegato di non avere nemmeno un indizio sulla colpevolezza della Russia, ma gli account incriminati avrebbero utilizzato tecniche d’azione molto simili a quelle attribuite alla Internet Research Agency, l’organizzazione russa che avrebbe appunto agito sui social media a favore di Donald Trump e contro Hillary Clinton prima delle presidenziali del 2016. Questo accostamento è bastato a tutto il panorama politico e mediatico “mainstream” americano per gridare a un nuovo complotto russo contro la democrazia a stelle e strisce.

 

Le operazioni attribuite due anni fa ai servizi di sicurezza russi, se anche fossero realmente avvenute, erano in realtà estremamente limitate e condotte con budget quasi nemmeno rilevabili rispetto alla quantità di denaro raccolta e spesa dai due principali partiti americani e dai loro sostenitori durante le rispettive campagne elettorali.

 

Anche in questo caso, prendendo per buone accuse senza fondamento, le reazioni all’annuncio della compagnia di Mark Zuckerberg sono spiegabili solo se si considerano le motivazioni tutte politiche di coloro che puntano il dito contro Mosca. Della pericolosissima nuova campagna diretta contro la democrazia americana se ne erano fatti carico la miseria di 8 pagine Facebook e 17 profili tra Instagram e lo stesso Facebook.

 

Gli account, ora tutti cancellati, erano stati creati tra il marzo 2017 e lo stesso mese di quest’anno. Almeno uno di essi era seguito da poco meno di 300 mila utenti e aveva creato una trentina di “eventi” a cui si erano interessati 4.700 iscritti. Tra aprile 2017 e giugno 2018, tutti gli account avevano acquistato inserzioni spendendo complessivamente 11 mila dollari, vale a dire nemmeno 350 dollari ciascuno.

 

Le somme in ballo risultano ancora una volta molto modeste, soprattutto se l’intenzione è quella di influenzare il voto di milioni di elettori. Un aspetto a cui non ha fatto ovviamente riferimento il comunicato di Facebook, ma che svariati commentatori indipendenti avevano rilevato nel recente passato per i casi precedenti, è che simili account presumibilmente finti presentavano caratteristiche tali da far pensare a operazioni commerciali, cercando di veicolare traffico internet su determinati siti grazie alla popolarità di alcune questioni politiche o sociali discusse sui media americani.

 

Nell’ultima circostanza denunciata da Facebook, i “troll” russi avrebbero sfruttato argomenti riferibili a campagne sia di destra sia di sinistra. Nel primo caso, il New York Times ha portato l’esempio di un appello per una nuova manifestazione neo-fascista, dopo quella che in Virginia aveva provocato la morte di un’attivista progressista nell’agosto del 2017. Nel secondo, invece, la campagna per l’abolizione dell’agenzia federale addetta al controllo delle frontiere (ICE), responsabile di abusi nei confronti dei migranti.

 

Le accuse rivolte ai finti account sui social network prima delle elezioni del 2016 avevano riguardato, tra l’altro, violenze e omicidi commessi da agenti di polizia in tutti gli Stati Uniti contro persone disarmate o inoffensive. Come si può facilmente comprendere, insomma, le questioni su cui si concentravano e sembrano tuttora concentrarsi i responsabili delle “interferenze”, così da “dividere” gli elettori americani e inasprire il dibattito politico, non sono argomenti astratti proposti da hacker al servizio dell’intelligence russa, bensì problemi reali che provocano essi stessi divisioni e malessere sociale.

 

La notizia data martedì da Facebook è comunque da collegare a due dinamiche. La prima riguarda le polemiche a cui il social network è stato sottoposto nell’ambito del “Russiagate”, in quanto non sufficientemente incisivo nell’impedire le attività comandate dal Cremlino.

 

I membri del Congresso americano erano stati a questo proposito tra i più duri con Zuckerberg e, in parallelo, si erano scatenate fortissime pressioni sulla sua compagnia, saldatesi alle critiche per la pessima gestione dei dati personali degli utenti di Facebook. Per quest’ultima ragione, poco prima della denuncia della nuova operazione diretta a sabotare le elezioni di novembre, Facebook aveva patito un crollo sensibile in borsa, perdendo qualcosa come 120 miliardi di capitalizzazione.

 

L’altro aspetto da considerare è il ricorso sempre più spedito da parte di Facebook a strumenti di censura contro i propri utenti. Sull’onda delle critiche subite, Zuckerberg ha già rafforzato l’esercito di censori alle proprie dipendenze, ufficialmente per sradicare le “fake news”, ma in realtà per marginalizzare notizie e opinioni in contrasto con i media “mainstream” e, in definitiva, con le posizioni degli stessi governi.

 

In questo senso, è ormai evidente, per Facebook come per gli altri giganti internet e delle comunicazioni elettroniche, il processo di integrazione con l’apparato dell’intelligence e della sicurezza nazionale americana. Sempre martedì, infatti, i vertici di Facebook hanno rivelato la collaborazione in atto con l’FBI e altre agenzie governative per combattere le “interferenze” nella campagna elettorale che porterà al voto per il Congresso del prossimo 6 novembre.