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Un’esclusiva del New York Times sulla situazione in Venezuela ha confermato nel fine settimana come gli Stati Uniti continuino a essere i principali responsabili delle interferenze indebite nei processi politici di altri paesi, nonostante le ripetute accuse rivolte in questo senso da Washington alla Russia. L’articolo dimostra anche la fondatezza degli avvertimenti del governo di Caracas e di altri osservatori sulle intenzioni americane di appoggiare un colpo di stato militare contro il presidente democraticamente eletto, Nicolás Maduro.

 

Membri dell’amministrazione Trump avrebbero incontrato alcuni ufficiali delle forze armate venezuelane in almeno tre occasioni tra la fine del 2017 e l’inizio del 2018 per discutere di un possibile colpo di mano contro Maduro. Se l’articolo del Times, basato sulla testimonianza anonima di 11 esponenti del governo USA e di un ex comandante venezuelano, ricostruisce un’operazione scaturita tra una parte dei vertici militari del paese sudamericano, l’amministrazione Trump è stata tutt’altro che spettatrice passiva.

 

Anche dando interamente per buona la ricostruzione del giornale americano, i contatti diretti tra le due parti si erano infatti concretizzati in seguito al messaggio pubblico di Trump nell’agosto del 2017, quando aveva ipotizzato una soluzione militare alla crisi in Venezuela. Oltre al presidente, altri membri del suo gabinetto si erano espressi apertamente su questa linea, tra cui l’ex segretario di Stato, Rex Tillerson, e l’allora consigliere per la sicurezza nazionale, H. R. McMaster.

 

I militari venezuelani sembravano anche aspettarsi dai rappresentanti del governo americano un contributo concreto per deporre Maduro, mentre da parte loro non avevano elaborato alcun piano d’azione. Secondo le fonti del Times, a Washington prevaleva tuttavia la prudenza e lo scetticismo. Ciò per varie ragioni, anche se nessuna da ricondurre a scrupoli per il ribaltamento, con ogni probabilità violento, dell’ordine costituzionale di un paese sovrano.

 

Gli ufficiali venezuelani ribelli non avrebbero comunque chiesto un intervento diretto dei militari americani. L’assistenza che cercavano sembrava essere soprattutto logistica, almeno nelle fasi iniziali. Un’eventuale golpe contro Maduro avrebbe comportato la necessità di arrestare numerosi membri dell’esecutivo, incluso il presidente, e dei vertici militari fedeli al governo, così che risultava fondamentale disporre di strumenti di comunicazione adeguati per portare a termine l’impresa.

 

L’amministrazione Trump aveva però deciso di negare gli aiuti richiesti e i piani sarebbero alla fine saltati. Uno dei motivi della freddezza di Washington è da collegare alla natura della controparte golpista venezuelana. I militari anti-Maduro pronti a intervenire erano al massimo tra i 300 e i 400, prima di una recente purga governativa che ne avrebbe dimezzato il numero.

 

Inoltre, sembrava non essere chiara l’autorità che i militari incontrati dagli americani avevano sulle frange ribelli delle forze armate venezuelane, né se alcuni di essi fossero già tenuti sotto controllo dal governo. In definitiva, il progetto descritto dal New York Times non aveva ricevuto la benedizione dell’amministrazione Trump perché i suoi promotori non davano alcuna garanzia di successo.

 

L’epilogo raccontato dall’articolo non comporta ad ogni modo un abbandono da parte americana delle mire sul governo Maduro. Anzi, le manovre stanno di certo continuando in vari modi. La relativa prudenza degli Stati Uniti è dovuta da un lato alle conseguenze politiche, in America Latina ma anche sul fronte domestico, che avrebbe il sostegno a un altro colpo di stato militare e, dall’altro, alla impopolarità dell’opposizione filo-americana che dovrebbe assumere il potere nel paese.

 

Non solo, per quanto riguarda il Venezuela è ancora vivo a Washington il ricordo del tentativo fallito di dare una spallata al governo di Hugo Chávez nel 2002. In quell’occasione, il presidente venezuelano fu rimesso al suo posto dopo un paio di giorni grazie alla mobilitazione popolare contro i golpisti e l’opposizione di destra sostenuta dagli USA. In merito a questo episodio, va ricordato che il New York Times fu una delle testate americane che appoggiò il mancato colpo di stato.

 

I membri della presunta “resistenza” contro il governo legittimo non erano e non sono in ogni caso una forza democratica o al servizio della democrazia, malgrado i tentativi del Times di definire quello dei militari ribelli come uno sforzo per liberare il Venezuela dalla dittatura di Maduro. Per avere un’idea della coerenza e della predisposizione democratica di Washington è sufficiente ricordare come alcuni degli alti ufficiali impegnati nel golpe abortito erano accusati o incriminati proprio negli Stati Uniti per atti di corruzione o traffico di droga.

 

Da non dimenticare è anche un altro aspetto dell’ipocrisia americana nell’approccio alla situazione in Venezuela, viste le evidenti le responsabilità degli USA nella crisi economica del paese, aggravata da pesanti sanzioni e sfruttata nondimeno per alimentare il dissenso interno al governo Maduro e negli ambienti militari.

 

La recente rivelazione del New York Times ribadisce come da Washington non ci sia alcuna intenzione di abbandonare la pratica dell’intervento nel continente latinoamericano per rovesciare governi o regimi sgraditi. Oltre che dalle operazioni dei decenni precedenti, l’amministrazione Trump ha tratto esempio anche dal suo predecessore. Nel 2009, Obama e l’allora segretario di Stato, Hillary Clinton, appoggiarono infatti un colpo di stato in Honduras contro il presidente legittimo Zelaya, la cui amministrazione stava da qualche tempo studiando iniziative di stampo progressista.

 

Anche nelle ultime settimane, minacce più o meno velate dirette contro il governo Caracas e inviti ai militari a ribellarsi contro Maduro continuano a essere inviati dalla classe politica americana. Tutto ciò mentre a Washington infuria la caccia alle streghe del “Russiagate”, basato su accuse senza fondamento contro Mosca di avere interferito nel processo elettorale degli Stati Uniti a favore di Donald Trump.

 

La Casa Bianca da parte sua ha risposto in maniera significativa all’articolo del Times sul Venezuela. Pur non replicando a domande specifiche su quanto descritto, l’amministrazione Trump ha emesso un comunicato che ha di fatto ammesso le manovre in atto contro Maduro, sostenendo in toni orwelliani l’importanza di intrattenere un “dialogo con tutte le parti che dimostrino il desiderio di democrazia”, così da indurre “un cambiamento positivo” nel paese latinoamericano.