L’approccio dell’Unione Europea alla questione iraniana continua a essere caratterizzata da un’apparente schizofrenia, con iniziative volte a salvaguardare il sistema di relazioni creato dall’accordo sul nucleare del 2015 e, in parallelo, intimidazioni e misure punitive in linea con la ritrovata ostilità di Washington verso la Repubblica Islamica.

 

Questa settimana, la Commissione Europea ha adottato una serie di risoluzioni per riconfermare il proprio impegno nel rispettare l’accordo di Vienna (JCPOA) e per esprimere disappunto nei confronti della decisione dello scorso anno dell’amministrazione Trump di abbandonare il trattato negoziato dalla diplomazia USA durante la presidenza Obama. Il comunicato ufficiale della Commissione ha definito il JCPOA “un elemento chiave del sistema globale di non proliferazione nucleare”, nonché, con una chiara condanna dell’unilateralismo americano, “un successo della diplomazia multilaterale, appoggiato unanimemente dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite”.

 

 

La presa di posizione mette ancora una volta Bruxelles in rotta di collisione con Washington per quanto riguarda l’accordo sul nucleare iraniano. Una rotta divergente che era stata ratificata settimana scorsa dalla presentazione ufficiale di uno strumento studiato per eludere le sanzioni reintrodotte dagli Stati Uniti e consentire alle aziende europee di continuare a fare affari in Iran. Questo sistema è stato a lungo studiato dai governi dei tre paesi che avevano partecipato ai negoziati del JCPOA – Francia, Germania, Gran Bretagna – e ha visto faticosamente la luce nei giorni scorsi tra le riserve degli osservatori e dello stesso governo di Teheran. L’intenzione è quella di aggirare l’apparato bancario e finanziario internazionale dominato dagli USA, in modo da creare un meccanismo per mandare a buon fine i pagamenti relativi agli scambi commerciali con la Repubblica Islamica.

 

A giudicare dall’annuncio dell’Europa, lo strumento appena creato sarà tuttavia in grado solo in minima parte di superare gli ostacoli posti dalle sanzioni americane, almeno per il momento. Infatti, nella fase iniziale dovrebbe riguardare solo beni non soggetti alle sanzioni, come cibo e medicinali, e basarsi sul principio del baratto, così da evitare transazioni in denaro. Anche se l’efficacia è tutta da dimostrare, l’importanza del sistema ideato dall’Europa è potenzialmente quella di creare una rete di scambi al di fuori degli organi finanziari tradizionali e, quindi, sottratti al controllo americano e al predominio del dollaro, con l’auspicio di allargare in futuro la partecipazione anche ad altri soggetti extra-europei.

 

Sull’utilità di questo strumento ci sono comunque opinioni contrastanti anche in Iran. Se qualche reazione positiva, soprattutto per la valenza simbolica dell’iniziativa europea, non è mancata a Teheran, altri esponenti degli ambienti di potere del paese si sono espressi al contrario con parole molto dure, come ad esempio un importante membro della magistratura iraniana che ha definito “inaccettabili” le condizioni di partecipazione al sistema di pagamenti partorito a Bruxelles.

 

Quanto meno a livello formale, l’Europa sta dimostrando dunque di volere la sopravvivenza dell’impalcatura creata dall’accordo di Vienna e, di riflesso, intende preservare le occasioni di business e le prospettive di partnership nel settore energetico con l’Iran. D’altro canto, però, l’attitudine europea nei confronti di Teheran è tutt’altro che univoca e l’insistenza su una serie di questioni delicate per le autorità iraniane rischia di annullare i progressi diplomatici registrati a partire dal 2015.

 

Le critiche in vari ambiti che la Commissione Europea ha rivolto alla Repubblica Islamica ancora questa settimana ricalcano gli attacchi che fanno parte della solita retorica americana “neo-con” rispolverata dall’amministrazione Trump. Il fatto che Bruxelles abbia scelto di condannare le autorità dell’Iran per una serie di attività che appaiono legittime o per le quali non ci sono prove della loro responsabilità dipende in larga misura dal tentativo di evitare una rottura completa con Washington su questo fronte. Tanto più che il governo USA continua a esercitare pressioni formidabili sugli alleati europei per spingerli ad allinearsi alla linea dura nei confronti di Teheran promossa da Trump e il suo entourage.

 

Il punto più controverso è quello relativo al programma missilistico iraniano. L’Europa ha condannato lunedì la produzione e i test di missili balistici che causerebbero un clima di “sfiducia” e contribuirebbero “all’instabilità della regione” mediorientale. In particolare, Bruxelles invita l’Iran ad astenersi dalle attività legate a ordigni “in grado di trasportare testate nucleari”. Come risulta evidente dalla presenza militare americana in Medio Oriente, così come dal potenziale bellico di Israele e dei paesi nemici di Teheran nella regione, lo sviluppo di missili balistici da parte iraniana ha scopi puramente difensivi.

 

Particolarmente disonesto è poi il tentativo europeo di richiamare la Repubblica Islamica al rispetto della risoluzione del Consiglio di Sicurezza ONU seguita alla ratifica dell’accordo sul nucleare. In essa vi è un riferimento alle attività missilistiche dell’Iran ma, a differenza di quella precedente e che ha sostituito, il linguaggio è piuttosto vago e non comporta nessun obbligo o imposizione. L’Europa e gli Stati Uniti gradirebbero in effetti lo stop al programma missilistico iraniano, ma essi stessi hanno appoggiato una risoluzione ONU che, di fatto, non impedisce a Teheran di muoversi in questo ambito né rende illegittime le attività in corso.

 

Poche parole meritano invece i richiami al rispetto dei diritti umani, visto che l’Europa e l’Occidente in generale tollerano o coprono senza particolari scrupoli crimini e tendenze repressive ben più gravi, come ad esempio quelle dei regimi di Egitto o Arabia Saudita. Come gli Stati Uniti, anche i paesi europei e l’UE utilizzano d’altra parte la retorica della democrazia e dei diritti umani in maniera selettiva e in relazione ai propri interessi strategici.

 

L’Europa ha anche fatto riferimento in modo altrettanto disonesto al ruolo destabilizzante che avrebbe l’Iran nei conflitti mediorientali. Il riferimento in questo caso va alla presenza di personale militare iraniano in Siria e al supporto militare o logistico offerto da Teheran a organizzazioni riconducibili all’arco della “resistenza” sciita nella regione, come Hezbollah in Libano o i “ribelli” Houthi in Yemen. Anche in questo caso, le azioni della Repubblica Islamica, peraltro non sempre corrispondenti alle accuse occidentali, sono il riflesso delle politiche americane ed europee, per le quali appare più opportuna la definizione di “distruttive” piuttosto che destabilizzanti.

 

I richiami dell’Europa si sono infine concentrati su un’altra questione che i governi e la stampa ufficiale hanno venduto come un dato di fatto negli ultimi mesi pur non essendoci prove delle responsabilità iraniane. Il problema sarebbero le presunte “attività ostili” di Teheran in territorio europeo, concretizzatesi sul finire dello scorso anno in un paio di episodi che hanno riguardato altrettante organizzazioni anti-governative iraniane.

 

L’intelligence della Repubblica Islamica era stata cioè accusata di complottare attentati o assassini mirati di dissidenti o presunti tali a Parigi e in Danimarca. I governi di questi paesi avevano sostenuto di avere smascherato le trame che sarebbero state pianificate a Teheran e si erano affrettati ad accusare le autorità di questo paese di avere organizzato operazioni terroristiche in territorio europeo. Le uniche prove della responsabilità dell’Iran erano però le sole dichiarazioni dei governi e dei servizi segreti dei paesi europei coinvolti nelle vicende. Inoltre, era subito apparso improbabile e senza senso che il governo iraniano avesse deciso di mettere in atto operazioni così provocatorie in Europa contro organizzazioni che, in definitiva, non rappresentano una seria minaccia alla stabilità dello stato e, soprattutto, in un momento in cui era cruciale salvaguardare le relazioni con i paesi europei a fronte dell’irrigidimento degli Stati Uniti.

 

Le accuse e le critiche europee di questi giorni hanno comprensibilmente provocato la dura reazione del governo iraniano, a conferma della fragilità dei rapporti bilaterali e della scarsa decisione con cui Bruxelles intende perseguire i propri obiettivi di politica estera. Il ministero degli Esteri di Teheran ha così definito “senza fondamento” e “non costruttive” le prese di posizione dell’UE, collegandole correttamente agli “obiettivi dei nemici che cercano di compromettere le relazioni tra l’Iran” e il vecchio continente.

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