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Sembra uscito dalle cronache internazionali, messo in ombra dalla drammaticità di quanto avviene negli altri paesi latinoamericani, ma il Venezuela, nella morsa del brigantaggio statunitense che oltre ad assediarla con un blocco inumano gli ha già sottratto 7 miliardi di Euro dai suoi conti bancari e sequestrato una società (residente negli USA) per la distribuzione del carburante del valore di 42 miliardi di dollari, continua a svolgere un ruolo di grande interesse internazionale ed è per molti versi un paradigma dello scontro in corso tra modelli alternativi. Il Viceministro della Comunicazione William Castillo, in visita in Italia per incontri e colloqui con forze politiche e sociali, nel corso di una densa conferenza stampa ha illustrato l’attualità del quadro socio-politico venezuelano ed il contesto internazionale che lo riguarda.

 

La fine del 2019 porta diverse novità nello scacchiere venezuelano. Il Paese guidato da Nicolàs Maduro vive un costante recupero economico, nonostante non passi mese senza nuove disposizioni statunitensi per inasprire ulteriormente il blocco contro il Venezuela. La strategia che Washington ha scelto si è però rilevata efficace solo in ferocia, non certo in soluzioni. Il Venezuela, infatti, ha attiva l’intera sua pianta industriale e resiste economicamente anche grazie alla capacità di produrre ed esportare greggio ed altre materie prime.

Il mercato statunitense, che pure è storicamente stato lo sbocco principale per le esportazioni di Caracas, risulta ora non così fondamentale, grazie alla diversificazione del portafoglio clienti cui il governo bolivariano è stato costretto. Il risultato è comunque che, nonostante le difficoltà operative determinate dal blocco e dall’impossibilità di accedere ai suoi conti sequestrati dal sistema bancario scodinzolante a Washington, il Paese esporta. Riesce quindi, grazie ai proventi, a rimettere in moto la catena di distribuzione interna di alimenti come di altri prodotti, generando un aumento dei consumi interni che contribuisce in forma determinante alla sua riattivazione economica. Insomma, se Washington pensava di prendere per fame il Venezuela, si è sbagliata di grosso. La ricaduta positiva della stabilizzazione economica, pure con tutte le difficoltà che un paese bloccato incontra, favorisce la stabilità sociale, che vede il decremento degli indici delittivi ed un aumento del controllo sociale che si ripercuote sulla sicurezza dei cittadini.
Ma, ovviamente, la richiesta del Viceministro William Castillo alla stampa, di una maggiore obiettività nell’informare, nell'inserire il testo nel contesto e nel non aderire pedissequamente alla trasmissione internazionale dell’informazione statunitense, non troverà udienza sufficiente. La codificazione stereotipata sul Venezuela proseguirà in disprezzo alla verità ed anche a onta della logica, evitando persino domande semplici da farsi, congruenze oggettive e deduzioni logiche, prima di scrivere, che dovrebbero formare il corredo genetico del giornalismo.

L’aspetto politico più importante è rappresentato dal proseguimento del confronto tra governo ed opposizione che dovrà condurre alle elezioni parlamentari del prossimo anno. Certo, l’opposizione sconta la difficoltà ad esprimersi senza il previo consenso di Washington, ma il governo bolivariano è del tutto indifferente a ciò e prosegue nella pianificazione dell’istituzionalizzazione del Paese come Costituzione comanda.

La novità è semmai nel campo statunitense e consiste nella celebrazione virtuale del funerale politico di Juan Guaidò, passato da presidente autonominato ad avanzo inutile nel giro di pochi mesi e molte sconfitte. Guaidò rappresenta davvero l’emblema del fallimento politico statunitense in Venezuela. Un fallimento reso evidente sia dal fiasco internazionale ottenuto che dall’insipienza all’interno al Venezuela del personaggio, alla quale si è aggiunta poi la squalifica etica oltre che politica per il furto di oltre mezzo milione di dollari. Insomma un fallimento totale aver puntato su un simile disastro certificato persino negli equilibri interni alla Casa Bianca con il licenziamento di John Bolton, che di Guaidò è stato inventore e puparo.

Proprio sul Venezuela, infatti, Trump ha collezionato figuracce epiche e ai paesi che frettolosamente e in un clima da basso impero lo avevano riconosciuto,e sarà ora non semplice spiegare la verità: che Gaudiò è uno stupido e un ladro e che nessuno in Venezuela lo segue lo si sapeva anche prima, ma che potesse essere Presidente è stata decisione degli USA. Contrordine friends, adesso si cambia.

Fine dunque dei finti "aiuti umanitari" che altro non erano che aiuti militari ai golpisti. Fine dell'inganno che raccontava di preoccupazione per il Venezuela senza confessare come la preoccupazione fosse solo per il suo petrolio, tornato in mano venezuelane e sottratto alle fauci statunitensi. La stabilizzazione del Venezuela, la sua impermeabilità alle minacce militari e la capacità di resistere sotto il profilo economico hanno reso il paese di Bolivar e Chavez un boccone troppo grosso per la guerra ideologica dell’amministrazione Trump contro ogni forma di democrazia; l’operazione di riconquista del subcontinente non riesce senza la disponibilità alla frode e al tradimento di militari, parlamentari e magistrati, che compongono i tre livelli del golpismo latinoamericano in alleanza con le gerarchie ecclesiali.

Il Venezuela ha invece mostrato una forte tenuta sul piano ideologico e politico, una eccellente saldatura tra popolazione e forze armate, entrambe leali al governo regolarmente eletto; una capacità di muoversi sullo scenario globale, di ottenere riconoscimenti nei fori internazionali e di costruire ormai da anni interlocuzioni positive ed alleanze politiche e commerciali anche nel campo occidentale più fedele a Washington.

Sarà proprio sul Venezuela, come già sulla Corea del Nord e sulla Siria, che la Casa Bianca dovrà provare ad innescare una marcia indietro, seppur lenta e magari silenziosa ma inevitabile. Per quanto questo sia inconcepibile a Miami, risulta indispensabile a Washington se non vuole finire di consumare il suo residuo di credibilità politica sullo scenario internazionale.