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Le elezioni generali che si terranno sabato nella Repubblica d’Irlanda potrebbero provocare un vero e proprio terremoto politico, stravolgendo un sistema basato da quasi un secolo sull’alternanza al potere dei due principali partiti di centro-destra: Fine Gael e Fianna Fáil. Malgrado una crescita economica nominalmente sostenuta dopo la fine della rovinosa crisi finanziaria del 2008, molti problemi sociali in Irlanda sono peggiorati in questi ultimi anni, fino a spingere su livelli senza precedenti il gradimento dei nazionalisti del Sinn Féin, a lungo considerato, oltre il confine settentrionale, il braccio politico dell’IRA (“Irish Republican Army”).

Vista dall’esterno o tramite il prisma della stampa ufficiale, la situazione irlandese sembra apparire tutto sommato rosea, con indici di crescita sostenuti e disoccupazione al di sotto del 5%. La gestione quasi decennale dei governi del Fine Gael viene spesso salutata con entusiasmo dagli ambienti finanziari e di potere internazionali, perché in grado di restituire credibilità a un paese finito sull’orlo del baratro dopo il tracollo del 2008 e salvato solo dall’intervento delle istituzioni europee e del Fondo Monetario Internazionale (FMI).

La nomina a primo ministro (“taoiseach”) nel giugno di tre anni fa di Leo Varadkar, primo omosessuale dichiarato a ricoprire questo incarico in Irlanda, aveva poi contribuito a ringiovanire l’immagine del suo partito e a dare una un’apparenza più liberale e moderna al governo di Dublino proprio mentre tensioni e malcontento crescevano nel paese. I recenti referendum su aborto e matrimoni gay, assieme a una gestione dei riflessi della “Brexit” giudicata ferma ed efficace, avrebbero dovuto garantire legittimità e una certa stabilità del sistema consolidato nel periodo post-crisi.

La realtà vissuta dalla maggior parte della popolazione si è fatta invece strada anche in Irlanda, finendo per abbattersi sulla politica del paese alla vigilia delle elezioni. Qui, come altrove, al di là delle apparenze il prezzo della ripresa è stato pagato in modo duro da lavoratori, giovani e pensionati, principalmente in termini di precarietà, erosione dei servizi pubblici e crisi abitativa.

Tutti i sondaggi di opinione continuano infatti a raccontare come le due questioni che gli irlandesi ritengono più urgenti siano di gran lunga l’assenza di abitazioni a costi ragionevoli, soprattutto nelle città, e il grave deterioramento dell’assistenza sanitaria pubblica, sentito in particolare nelle aree rurali. Le crescenti disuguaglianze sono un altro fattore determinante nell’orientare gli elettori. Un grande impatto ha avuto a questo proposito un recente studio della ONG Oxfam, secondo il quale l’Irlanda è il quinto paese del pianeta per numero di miliardari in rapporto alla popolazione, dopo Hong Kong, Cipro, Svizzera e Singapore.

I governi del Fine Gael avvicendatisi dal 2011 hanno implementato ripetute dosi di austerity richieste dai creditori di Dublino, dapprima in alleanza con il Partito Laburista e in questi ultimi anni grazie a un accordo per assicurarsi il sostegno in parlamento (“Dáil Éireann”) dei deputati del Fianna Fáil. La collaborazione dei laburisti con il governo del rigore aveva portato a una pesante sconfitta nelle elezioni del 2015 per quello che era il principale partito di centro-sinistra. Il discredito accumulato con quell’esperienza di governo ha continuato a pesare sul “Labour” irlandese, provocando un vuoto a sinistra che ha aperto spazi insoliti per il Sinn Féin. I sondaggi delle ultime settimane hanno dato così quest’ultimo partito sugli stessi livelli di Fine Gael e Fianna Fáil, mentre secondo quello più recente, pubblicato dal quotidiano Irish Times, sarebbe addirittura il primo partito con il 25% dei consensi, contro rispettivamente il 20% e il 23% dei due di centro-destra.

La posizione del Sinn Féin nella Repubblica d’Irlanda è sempre stata piuttosto delicata, visti i suoi precedenti storici. L’integrazione nel quadro politico nordirlandese dopo gli accordi del “Venerdì Santo” nel 1998 e, più recentemente, l’avvicendamento ai vertici, seguito al decesso di Martin McGuinness e al passo indietro di Gerry Adams, hanno iniziato a cambiare le prospettive di questo partito. L’approdo in età di voto delle generazioni più giovani, che non hanno vissuto direttamente l’epoca dei “Troubles”, e la sostanziale assenza di un progetto progressista nel quadro politico irlandese ne hanno poi ulteriormente favorito l’ascesa.

Il programma del Sinn Féin include un ambizioso progetto di edilizia pubblica, combinato a provvedimenti come il congelamento degli affitti, un tetto agli interessi sui mutui e l’abolizione delle tasse sulle abitazioni di proprietà. Queste e altre proposte dello stesso tenore hanno incontrato la condanna dei due principali partiti irlandesi, i cui leader si sono spesso scagliati contro il Sinn Féin nel corso della campagna elettorale, denunciando un piano di aumento della spesa pubblica “irresponsabile” che, a loro dire, metterebbe a rischio gli sforzi fatti da Dublino per far quadrare i bilanci nell’ultimo decennio.

L’orientamento prevalente dell’elettorato irlandese sembra essere però sempre più a sinistra e sia il Fine Gael sia il Fianna Fáil, così come gli altri partiti minori, non hanno rinunciato a fare anch’essi promesse per alleviare i problemi economici e sociali più gravi, a cominciare proprio da quello del caro-abitazioni. In un clima di sfiducia e discredito dei partiti tradizionali, anche questi ultimi poi hanno cercato, anche se in maniera improbabile, di presentarsi come agenti di cambiamento in caso di vittoria alle urne.

I timori per l’ascesa del Sinn Féin sono apparsi comunque evidenti dagli attacchi portati contro la leader del partito, Mary Lou McDonald, dal premier Varadkar del Fine Gael e dal numero uno del Fianna Fáil, Micheál Martin, durante l’ultimo dibattito televisivo prima del voto. Entrambi i partiti hanno inoltre escluso un accordo di governo o di cooperazione utile a far nascere il prossimo esecutivo con il Sinn Féin. Se i numeri dei sondaggi dovessero essere confermati dal voto di sabato, tuttavia, un qualche accomodamento con questo partito potrebbe risultare inevitabile. Soprattutto perché il coinvolgimento del Sinn Féin tornerebbe utile per contenere le tensioni sociali ed evitare la destabilizzazione del sistema.

L’impatto della performance elettorale del Sinn Féin potrebbe comunque essere notevolmente ridotta, dal momento che i suoi leader hanno deciso di presentare appena 42 candidati per i 160 seggi della camera bassa del parlamento di Dublino. Secondo il britannico Guardian, questa scelta dipenderebbe anche dal fatto che solo qualche mese fa le aspettative del Sinn Féin erano molto più modeste rispetto alle prospettive delle ultime settimane. D’altra parte, nelle elezioni locali ed europee dello scorso anno i risultati erano stati tutt’altro che entusiasmanti e i vertici del partito si attendevano probabilmente una riduzione dei 23 seggi occupati nel “Dáil” uscente.

Un’altra incognita da valutare è l’evoluzione del Sinn Féin da formazione “radicale” a partito di orientamento socialdemocratico, difficile da conciliare con una proposta realmente progressista e di vera rottura rispetto alle politiche di austerity di questi anni. Ciò si inserisce singolarmente in un frangente nel quale il Sinn Féin si sta ricavando uno spazio significativo a sinistra nel panorama politico irlandese, ma, d’altronde, in Irlanda del Nord ha partecipato a lungo al governo di coalizione con gli unionisti ultra-conservatori previsto dagli accordi che misero fine alla guerra civile.

Dopo lo strappo del 2017 e l’abbandono dell’esecutivo di Belfast, proprio in conseguenza dell’impopolarità delle politiche anti-sociali perseguite da quest’ultimo, il Sinn Féin è tornato sui suoi passi e, poco meno di un mese fa, ha sottoscritto un nuovo accordo con gli unionisti, raggiunto con la mediazione di Dublino e di Londra.

L’esito del voto di sabato nella Repubblica d’Irlanda avrà infine conseguenze anche sulle dinamiche legate al perfezionamento della Brexit, in primo luogo per quanto riguarda il regime degli scambi commerciali con le contee settentrionali, e il futuro stesso dell’isola. Il Sinn Féin, infatti, intende organizzare entro i prossimi cinque anni un referendum popolare sull’unificazione delle due Irlande.