Fino a che punto è possibile parlare di democrazia e stato di diritto in un paese nel quale un sospettato di un crimine viene ucciso sommariamente per strada da agenti di polizia e membri di milizie paramilitari con la piena approvazione dei massimi vertici del governo? Questa domanda andrebbe posta seriamente per gli Stati Uniti, dove recenti indagini giornalistiche hanno ricostruito le circostanze dell’esecuzione in piena regola in una località dello stato di Washington dell’attivista di sinistra, Michael Reinoehl, nel pieno delle proteste esplose in molte città americane contro la brutalità delle forze di polizia.

Il 48enne Reinoehl si era unito quasi subito alle dimostrazioni seguite all’assassinio di George Floyd da parte della polizia nel mese di maggio, aderendo “al 100%” al movimento anti-fascista “ANTIFA”. A Portland, nello stato dell’Oregon, Reinoehl si era auto-assegnato l’impegno di proteggere con le armi i manifestanti pacifici, minacciati da provocatori appartenenti a gruppi di estrema destra, spesso istigati direttamente dal presidente Trump.

Una “carovana” di questi militanti armati era intervenuta durante una manifestazione anche il 29 agosto scorso e nelle strade di Portland erano quasi subito iniziati gli scontri. Reinoehl aveva finito per sparare e uccidere Aaron Danielson, membro di una delle formazioni dell’ultra-destra USA, i cosiddetti Patriot Prayer, e ritratto poco prima da una telecamera di sorveglianza mentre si aggirava tra i dimostranti con un bastone e una bomboletta di spray repellente. In un’intervista rilasciata dopo avere abbandonato Portland per cercare di nascondersi e sfuggire a una probabile vendetta, Reinoehl avrebbe spiegato di avere agito per salvare la vita a un amico che stava per essere aggredito da Danielson.

Questo episodio aveva scatenato l’ira della galassia dell’estrema destra americana e segnato la condanna a morte di Michael Reinoehl, eseguita in collaborazione tra organi di polizia e milizie armate. Dopo alcuni giorni, il sospetto era stato così localizzato a circa 200 chilometri a nord di Portland, grazie a intercettazioni telefoniche, condotte prima dell’ottenimento di un regolare mandato, e alla segnalazione di un informatore della polizia.

La ricostruzione dettagliata dell’assassinio deliberato di Reinoehl che è seguito, già ipotizzata dalle notizie che erano circolate sulla stampa americana dopo i fatti, è stata resa possibile dalle indagini del New York Times, del network radiotelevisivo Oregon Public Broadcasting e della testata on-line ProPublica, basate su interviste con numerosi testimoni oculari e sull’esame dei documenti dell’indagine in corso, affidata all’ufficio dello sceriffo della contea di Thurston, nello stato di Washington.

La mattina del 3 settembre, Reinoehl era appena salito sulla sua auto, ferma nel parcheggio di un complesso di appartamenti dove aveva trovato rifugio in un sobborgo della città di Olympia, quando due SUV privi di segni distintivi delle forze di polizia sono arrivati sul posto a tutta velocità. Dai mezzi sono scesi uomini armati che hanno subito aperto il fuoco contro l’auto di Reinoehl. Dopo i primi spari, quest’ultimo è riuscito a scendere dalla vettura e, nonostante le ferite, ha provato a fuggire in strada, ma è stato alla fine raggiunto da un’ultima scarica che lo ha ucciso sul posto.

Il New York Times ha scritto mercoledì che dei 22 testimoni intervistati e presenti sulla scena solo uno ha sostenuto che i membri del commando si sono identificati o hanno intimato a Reinoehl di arrendersi. Tutti gli altri hanno testimoniato in sostanza di avere visto una vera e propria esecuzione, come era nelle intenzioni degli uomini armati che l’hanno portata a compimento. Nonostante la presenza di testimoni, la polizia federale coinvolta nell’operazione, il cosiddetto “US Marshals Service”, ha invece sostenuto di avere provato ad arrestare in maniera inoffensiva il sospettato, il quale però avrebbe reagito mettendo a rischio le vite degli agenti.

Tre dei presunti agenti responsabili dell’esecuzione hanno comunque fornito informazioni discordanti sugli ultimi istanti di vita di Reinoehl. Uno di loro ha affermato di averlo visto estrarre e puntare un’arma dall’interno del veicolo, mentre gli altri due hanno smentito questa versione. Ancora, dopo il breve inseguimento, Reinoehl avrebbe di nuovo minacciato con una pistola i suoi esecutori, tanto da giustificare la sparatoria finale. La vittima aveva in effetti con sé una pistola calibro .380, ma l’arma è stata in seguito ritrovata ancora nella tasca dei suoi pantaloni.

Braccato da giorni dai suoi inseguitori e comprensibilmente terrorizzato per quello che sarebbe potuto capitargli, Reinoehl si stava muovendo anche con un fucile, ma anche in questo caso l’arma non ha rappresentato una minaccia per nessuno, visto che è rimasta nel portabagagli della sua auto. La polizia avrebbe poi individuato un solo bossolo di pistola nell’abitacolo dell’auto di Reinoehl. I risultati degli esami balistici non sono ancora disponibili, anche se appare altamente probabile che esso provenga dalle armi degli agenti. Secondo le informazioni fornite al Times dalle autorità che stanno conducendo le indagini, gli autori dell’assassinio hanno sparato in tutto 30 colpi con due fucili e altrettante pistole.

Le testimonianze raccolte dai giornalisti che hanno approfondito il caso, molte delle quali da passanti che, incredibilmente, non sono ancora stati interrogati dalla polizia, confermano dunque l’esecuzione deliberata. Alcuni particolari appaiono particolarmente raccapriccianti. Un testimone racconta di come quella mattina del 3 settembre si fosse trovato a pochi metri dal luogo dove avvennero i fatti in compagnia del figlio di otto anni, trovandosi costretto a trovare riparo dal fuoco improvviso.

La sparatoria ha lasciato almeno otto segni di pallottole nelle strutture o nelle abitazioni adiacenti. Un residente della zona ha raccontato che una di esse ha attraversato la propria cucina, sfiorando un famigliare, prima di finire la corsa contro un muro. Altri ancora hanno riferito di aver visto gli agenti – o presunti tali – scendere dai SUV ancora in corsa e aprire subito il fuoco contro Reinoehl, così che l’impressione immediata era stata per lo più quella di un regolamento di conti tra gang di spacciatori.

I fatti descritti sono indiscutibilmente sconvolgenti, soprattutto perché si inseriscono in un quadro segnato da altri episodi tipici di un regime autoritario. Ad esempio, durante le proteste contro la polizia dei mesi scorsi, in più di un’occasione dei veicoli senza identificazione avevano prelevato manifestanti pacifici dalla strada, tenendoli poi in stato di fermo per parecchie ore o alcuni giorni in luoghi sconosciuti e al di fuori di qualsiasi procedimento legale.

Quel che è peggio è che la deriva anti-democratica registrata in parallelo agli eventi di questi mesi è stata incoraggiata, e non solo attraverso tweet e dichiarazioni varie, dal presidente Trump e dai suoi più stretti collaboratori. Trump ha non solo spinto per l’impiego della Guardia Nazione e, in alcuni casi, dell’esercito e dei corpi speciali della polizia contro i manifestanti, ma ha anche promosso apertamente l’intervento di gruppi e milizie di estrema destra, legati in gran parte al sottobosco “suprematista” e razzista, ampiamente diffuso negli Stati Uniti e già in fermento per le odiate misure restrittive adottate contro la diffusione del Corornavirus.

Proprio sul caso Reinoehl, lo stesso Trump e il suo ministro della Giustizia, o Procuratore Generale, William Barr, hanno avuto un ruolo di rilievo, suscitando più di un sospetto circa la regia del blitz in Oregon. Dopo l’uccisione del militante di estrema destra a Portland per mano di Reinoehl, Trump aveva invitato apertamente alla vendetta contro quest’ultimo e, appena un’ora prima dell’esecuzione, aveva indirizzato un messaggio chiaro su Twitter, chiedendo ai membri del commando di fare il loro lavoro e di “farlo rapidamente”.

Barr, da parte sua, aveva celebrato l’assassinio definendolo un “risultato significativo negli sforzi in corso per ristabilire la legge e l’ordine”. Il ministro della Giustizia si era poi lasciato andare a una ricostruzione dei fatti totalmente falsa. A suo dire, l’esecuzione sarebbe stata cioè giustificata dal fatto che Reinoehl stava cercando di fuggire e aveva minacciato con un’arma gli agenti di polizia che intendevano soltanto eseguire un normalissimo arresto.

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