La sospensione dal Partito Laburista britannico dell’ex numero uno Jeremy Corbyn la scorsa settimana ha scatenato una guerra interna che sta mettendo di fronte le centinaia di migliaia di iscritti, in gran parte di orientamento progressista se non apertamente socialista, alla nuova leadership erede di Tony Blair. L’operazione in atto contro Corbyn non è niente di meno di una resa dei conti contro tutta la sinistra del partito, basata su un’odiosa e cinica caccia alle streghe. Quello che sta accadendo è cioè il tentativo di attribuire alla sinistra del “Labour” un’attitudine irrimediabilmente anti-semita o, quanto meno, un disinteresse da parte dei suoi dirigenti verso un fenomeno che appare, tutt’al più, di proporzioni a dir poco trascurabili.

 

L’attacco frontale contro Corbyn è partito subito dopo la pubblicazione di un rapporto altamente politicizzato sul “problema” dell’anti-semitismo nel Partito Laburista da parte della commissione per l’Uguaglianza e i Diritti Umani (EHRC). Questo organo nominalmente indipendente ha il compito di implementare quanto previsto dal cosiddetto “Equality Act” del 2010, cioè in sostanza vigilare sulla legislazione relativa alle garanzie contro ogni atto di discriminazione in Inghilterra, Galles e Scozia.

La EHRC ha individuato tre violazioni della legge durante la leadership di Jeremy Corbyn, finita dopo il disastroso risultato elettorale del dicembre 2019. La prima ha a che fare con le “interferenze politiche” nella gestione dei reclami contro episodi di antisemitismo all’interno del “Labour”, la seconda riguarda l’assenza di “adeguato addestramento” di coloro che erano incaricati di valutare questi reclami e l’ultima e più grave il verificarsi di “atti illegali di discriminazione e molestie”.

Il rapporto ha citato più volte il nome di Corbyn, leader del partito dal 2015 al 2019, sia pure senza formulare accuse specifiche nei suoi confronti. Corbyn, da parte sua, aveva rilasciato una dichiarazione per difendere il suo operato, fornendo un’interpretazione più che corretta del rapporto. “La gravità del problema” dell’anti-semitismo nel Partito Laburista, ha spiegato l’ex leader, “è stata drasticamente gonfiata per ragioni di ordine politico da parte dei nostri oppositori dentro e fuori il partito, così come dalla gran parte dei media”.

Queste parole sono bastate per fare scattare l’imboscata, con ogni probabilità preparata da tempo dalla leadership di Keir Starmer. Dopo appena un paio d’ore, infatti, il nuovo numero uno ha deciso la sospensione di Corbyn, in risposta a una valanga di richieste di espulsione di quest’ultimo e di altri esponenti a lui vicini provenienti dalla destra del partito. Un’indagine interna stabilirà ora la sorte di Corbyn, che potrebbe subire un’umiliante espulsione dal partito.

Il finto problema dell’anti-semitismo è diventato così il mezzo per operare una purga della sinistra del “Labour”, dopo che già era già stato utilizzato per colpire Corbyn durante il suo mandato. Dietro a questa campagna ci sono ambienti sionisti britannici e quelli del partito vicini all’ex primo ministro, nonché criminale di guerra a piede libero, Tony Blair, terrorizzati dal possibile spostamento a sinistra del Partito Laburista dopo le due vittorie a valanga di Jeremy Corbyn nelle competizioni per la leadership del partito stesso.

Questa offensiva, che aveva contribuito tra l’altro alla pesantissima sconfitta nelle elezioni del dicembre scorso, si basa sulla distorsione deliberata della definizione di “anti-semitismo”. Questa accusa viene cioè mossa contro chiunque si permetta di criticare le politiche di apartheid e genocidio dello stato di Israele. Da un punto di vista formale, cioè è stato possibile dopo l’adozione da parte del Partito Laburista nel 2018 di questa definizione di “anti-semitismo”, proposta dalla Alleanza Internazionale per la Commemorazione dell’Olocausto (IHRA).

Com’è ovvio, Corbyn, il cui curriculum politico lo esonera oggettivamente da qualsiasi accusa di razzismo, è stato investito da simili calunnie solo per aver sostenuto i diritti del popolo palestinese e per avere talvolta criticato i crimini di Israele. Lo stesso dicasi per i moltissimi membri a ogni livello del “Labour” bersaglio di denunce di anti-semitismo e in molti casi espulsi dal partito. Le accuse non puntano poi solo a liquidare la sinistra interna, ma anche ad assicurare che, in caso di ritorno al potere in futuro, il Partito Laburista resti fermamente nel campo filo-israeliano.

L’attribuzione di atteggiamenti anti-semiti alla sinistra e agli ambienti laburisti è oltretutto storicamente assurda, nonché beffarda, visti i trascorsi ben più gravi e documentati di orientamenti simili tra la classe dirigente britannica, inclusa la stessa famiglia reale, e di numerosi episodi riguardanti il Partito Conservatore. Studi indipendenti hanno inoltre mostrato come i casi reali di anti-semitismo, che pure possono essere esistiti, tra esponenti del Partito Laburista siano numericamente irrilevanti. Lo stesso Corbyn ha citato recentemente un’indagine che dimostrava come a essere coinvolti in procedimenti per atti anti-semiti erano appena lo 0,3% dei membri del partito. Di fatto, cioè, una percentuale più bassa rispetto a quella relativa alla popolazione del Regno Unito nel suo complesso.

Nonostante l’ondata di proteste contro la sospensione di Corbyn, il leader laburista Keir Starmer sembra volere andare fino in fondo nella battaglia contro la sinistra del partito. In un’intervista alla BBC nel fine settimana, Starmer ha invitato il suo predecessore a “riflettere” sulla sua risposta al rapporto dell’EHRC, per poi affermare assurdamente che la “grande maggioranza dei membri del Partito Laburista e del movimento che in esso si riconosce ritiene che la reazione di Corbyn sia stata sbagliata”. Per Starmer, poi, “coloro che negano oppure minimizzano il problema dell’antisemitismo”, riconducendolo a una “guerra di fazioni”, quale in effetti è, “sono parte del problema”.

Se la guerra contro Corbyn è del tutto strumentale e fondata sulla creazione di un problema quasi inesistente, l’ex leader laburista non è comunque esente da responsabilità per avere favorito la riconquista del partito della fazione “blairita” e, di conseguenza, la persecuzione nei suoi confronti. Corbyn era arrivato ai vertici del “Labour” grazie a un entusiasmo popolare per la sua proposta progressista che aveva fatto aumentare enormemente il numero di iscritti al partito.

Invece di spostare il partito a sinistra e di mettere fuori gioco la ultra-screditata destra interna, però, Corbyn si è puntualmente piegato alle pressioni di quest’ultima, cedendo terreno e consentendole un attacco dopo l’altro. In definitiva, invece di imporre un’agenda per la quale aveva un massiccio mandato popolare, Corbyn ha optato per conservare l’unità del “Labour”, gettando così le basi per il naufragio della sua leadership e la possibile clamorosa espulsione da un partito di cui è parte da mezzo secolo.

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