Dopo quasi due giorni dalla chiusura delle urne, gli Stati Uniti non conoscono ancora il nome del prossimo presidente, anche se l’evoluzione dei conteggi negli stati in bilico sembra avvicinare un esito favorevole al candidato democratico Joe Biden. Con l’attribuzione dei successi in Michigan, Wisconsin e, molto probabilmente, Arizona, all’ex vice-presidente mancano ora solo pochissimi “voti elettorali” per raggiungere quota 270 e assicurarsi la Casa Bianca. A far persistere un certo senso di incertezza è tuttavia la strategia del presidente Trump per cercare di restare al suo posto, affidata per il momento a una serie di cause legali che, nella peggiore delle ipotesi, minacciano di precipitare l’America in una gravissima crisi istituzionale.

 

Il conteggio dei voti è ancora in corso anche negli stati di North Carolina, Georgia, Pennsylvania e Nevada. Nei primi tre, Trump è lievemente in vantaggio, ma le schede che restano da processare, inviate per posta, riguardano in larga misura distretti urbani a maggioranza democratica e potrebbero in alcuni casi ribaltare gli equilibri e consegnare alla fine uno o più stati a Biden. Soprattutto in North Carolina la quota di voti rimanenti che quest’ultimo dovrebbe aggiudicarsi per superare Trump sembra fuori dalla sua portata, ma il solo successo in Nevada, dove il margine sembra doversi allargare a favore di Biden, assieme alla conferma dell’Arizona sarebbero sufficienti a chiudere la partita per i democratici.

In tutti questi stati, ad eccezione del Nevada, Trump aveva accumulato un vantaggio più o meno consistente dopo il conteggio dei voti espressi dagli elettori recatisi di persona ai seggi nella giornata di martedì. A mano a mano che i voti “a distanza” sono arrivati nei centri di conteggio, la situazione si è spostata invece a favore di Biden. Questa tendenza era ampiamente prevista, ma Trump, con una mossa altrettanto preannunciata, dopo essersi dichiarato prematuramente vincitore, ha denunciato brogli e irregolarità, nel tentativo di fermare il conteggio dei voti mancanti.

Dove invece il conteggio è stato completato, come in Wisconsin, Trump e i suoi legali hanno chiesto un riconteggio. In questo stato è possibile farlo se il margine definitivo tra due candidati è inferiore all’1% e Biden ha prevalso per appena lo 0,6%. Visti i precedenti, tra i quali il riconteggio del 2016 che rettificò il risultato finale di poco più di 100 voti, è comunque molto improbabile che il vantaggio di oltre 20 mila voti di Biden possa essere annullato.

Gli scenari potrebbero essere invece più complicati altrove. In Pennsylvania, ad esempio, è già aperto un procedimento davanti alla Corte Suprema degli Stati Uniti relativa alla validità dei voti arrivati per posta dopo il 3 novembre. La Corte Suprema statale aveva stabilito nel mese di settembre che le schede arrivate a destinazione fino a tre giorni dopo l’election day dovevano essere processate regolarmente se con timbro postale datato fino al 3 novembre. Il Partito Repubblicano aveva fatto ricorso alla Corte Suprema degli Stati Uniti, che però si era rifiutata di intervenire perché le elezioni erano ormai prossime e non c’era tempo per valutare il caso.

Tre giudici ultra-conservatori avevano tuttavia prospettato un possibile intervento della Corte dopo il voto, sollevando la dubbia costituzionalità della decisione delle autorità elettorali della Pennsylvania di prolungare i tempi di attesa delle schede. I legali di Trump si sono ora uniti ai repubblicani dello stato per chiedere appunto un’ingiunzione della Corte Suprema che fermi il conteggio dei voti postali. Ad ogni modo, se Biden dovesse vincere Arizona, Nevada, Michigan e Wisconsin, la battaglia per i “voti elettorali” della Pennsylvania diventerebbe inutile.

Il tentativo della Casa Bianca in questo stato è comunque a dir poco disonesto, dal momento che era stato il parlamento statale della Pennsylvania a maggioranza repubblicana a respingere le richieste avanzate da svariate contee per iniziare il conteggio dei voti per posta prima del 3 novembre. A ciò bisogna aggiungere poi i ritardi che il servizio postale americano (USPS) ha accumulato in maniera deliberata nelle consegne delle schede, su iniziativa del suo presidente, Louis DeJoy, che è anche uno dei principali finanziatori di Trump.

In Michigan e in Georgia sono state presentate altre cause legali per fermare i conteggi ancora in corso, sull’esempio dell’elezione rubata ai democratici nel 2000 nello stato della Florida. Giovedì un giudice della Georgia ha però respinto una di esse. I legali di Trump sostenevano che le autorità della contea di Chatham non avevano seguito le procedure di legge nel processare alcune decine di schede di votanti a distanza. Segnali preoccupanti sono giunti soprattutto dal Michigan, dove in un seggio di Detroit alcuni sostenitori di Trump sono stati protagonisti mercoledì di scontri con le forze dell’ordine quando è stato negato loro l’accesso ai locali dove sono in corso i conteggi.

Anche in Arizona, nella città di Phoenix, si è verificato un fatto simile. Qui, anzi, un gruppo di elettori di Trump, alcuni dei quali armati, si è presentato all’esterno di un seggio dopo che erano circolate voci su un certo numero di schede non conteggiate. Trump e i suoi sostenitori protestano dunque alternativamente per fermare i conteggi dove Biden è in vantaggio e, al contrario, per contestare il mancato conteggio di schede elettorali dove il presidente repubblicano sta inseguendo.

Il Michigan è stato al centro di eventi piuttosto gravi nelle settimane precedenti il voto e potrebbe essere l’elemento cruciale nella strategia di Trump. Svariate milizie di estrema destra sono attive nello stato e i membri che ne fanno parte hanno talvolta legami documentati con personaggi vicini al presidente. Qui, l’FBI ha recentemente sventato anche un complotto per rapire e giustiziare la governatrice democratica, Gretchen Whitmer. Se le manovre di Trump per rallentare i conteggi e imbrigliare il processo elettorale in complicati procedimenti legali dovessero avere un qualche successo, non è da escludere che gli ambienti dell’ultra-destra del Michigan finiranno per svolgere un ruolo-chiave in possibili provocazioni e nell’alimentare il caos.

Nel complesso, l’ondata democratica prevista dai sondaggi non si è materializzata, ma Joe Biden è riuscito, anche se con il minimo indispensabile, a ribaltare alcuni stati che nel 2016 erano andati a sorpresa a Donald Trump. Quest’ultimo ha poi fatto segnare uno svantaggio in termini di voti popolari addirittura superiore rispetto a quattro anni fa, quando Hillary Clinton ne conquistò quasi tre milioni in più.

Lo scarso entusiasmo che la proposta politica democratica ha suscitato è comunque evidentissima. Biden ha beneficiato in pratica soltanto dell’impopolarità di Trump e della disastrosa gestione della pandemia, mentre nelle altre competizioni a livello nazionale il suo partito ha dato segnali preoccupanti che non promettono nulla di buono per le elezioni di metà mandato tra due anni. La riconquista della maggioranza al Senato potrebbe infatti rimanere un miraggio, anche se alcune sfide restano in bilico, e quella già nelle mani dei democratici alla Camera dei Rappresentanti è stata ridimensionata.

Per quanto riguarda ancora le presidenziali, con l’avanzare dei conteggi appare dunque difficile un recupero di Trump. Resta da vedere se la mobilitazione di forze ultra-reazionarie e le strumentali cause legali che si stanno moltiplicando in vari stati riusciranno a creare un ambiente tale da tenere in sospeso la dichiarazione del vincitore del voto. Su queste dinamiche influiranno le posizioni che terranno dietro le quinte gli ambienti di potere USA, a cominciare da quelli militari e dell’intelligence. Inoltre, segnali negativi per Trump sono già arrivati dal mondo del business, mentre gli indici di borsa hanno fatto registrare sensibili aumenti in questi due giorni alla notizia del possibile successo di Biden.

Quel che è certo è che anche un’eventuale uscita di Trump dalla Casa Bianca il 20 gennaio prossimo non farà sparire il movimento fascistoide che il presidente repubblicano ha coltivato in questi quattro anni. Come minimo, un eventuale presidente Biden sarebbe considerato illegittimo dagli ambienti trumpiani, coincidenti ormai in buona parte con lo stesso Partito Repubblicano. Come ha spiegato correttamente un’analisi post-voto del Financial Times, poi, l’obiettivo promosso dal Partito Democratico o comunque dagli oppositori del presidente repubblicano di liquidare tramite le elezioni 2020 il trumpismo come se fosse una “aberrazione di un solo mandato” è una pura illusione. Piuttosto, questi quattro anni e ancora di più la crisi della società e del capitalismo americano hanno assegnato a esso “un ruolo centrale e duraturo”.

È d’altra parte molto probabile che, se non fosse stato per l’epidemia di Coronavirus e la devastazione che essa ha provocato sotto la supervisione sconsiderata e anti-scientifica dell’amministrazione Trump, quest’ultimo avrebbe vinto molto nettamente le elezioni di martedì. La responsabilità della deriva anti-democratica a cui si sta assistendo, segnata dall’emergere e dall’affermarsi del fenomeno Trump, è in ultima analisi responsabilità del Partito Democratico e degli ambienti di potere a esso legati, incapaci organicamente di proporre una strategia alternativa che non sia basata sulle politiche identitarie, sul sostanziale neo-liberismo in ambito economico, sul militarismo e sulla caccia alle streghe anti-russa in funzione del tentativo di riaffermare la sempre più declinante centralità degli Stati Uniti sullo scacchiere internazionale.

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