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Categoria: Esteri
di Luca Mazzucato

I risultati ufficiali non lasciano dubbi sul terremoto politico delle elezioni palestinesi del 25 Gennaio: Hamas ha stravinto. Il gruppo islamico, che aveva boicottato le precedenti e uniche elezioni del 1996, ha conquistato la maggioranza assoluta con 76 seggi su 132 totali, lasciando ad Al Fatah, il partito del presidente Abu Mazen, appena 43 seggi. Pochi seggi sono andati alle liste laiche di sinistra. In ossequio alla democrazia dell'alternanza, il governo in carica di Abu Qureia si è dimesso nel pomeriggio di giovedì, prima ancora che i risultati finali fossero resi noti. Spetterà ora ad Hamas formare il nuovo governo dell'ANP, dopo dieci anni di dominio indiscusso di Al Fatah. Le prime dichiarazioni del portavoce di Hamas non lasciano spazio ad equivoci, il vento è cambiato in Palestina: le nuove parole d'ordine sono la resistenza all'occupazione e la profonda riforma dell'ANP. Hamas si impegnerà a rispettare il cessate il fuoco con l'esercito israeliano, in vigore dal febbraio del 2005. Tuttavia, Hamas non intende consegnare le armi e, se Israele dovesse rompere la tregua, non avrà altra scelta che difendere con le armi il popolo palestinese. Riguardo alla ripresa dei negoziati, il portavoce ha affermato che il governo palestinese non mentirà più alla sua gente: negli ultimi anni non si è visto in opera alcun processo di pace, si tratterà quindi di impostare un confronto dall'inizio.
Hamas si è presentato alle elezioni come lista "Cambiamento e Riforma" e infatti annuncia che cambierà profondamente tutti gli aspetti dell'amministrazione palestinese: dall'industria all'agricoltura, dalla sanità alla scuola, all'assistenza sociale. Secondo le prime dichiarazioni, dunque, Hamas si concentrerà innanzitutto sulle condizioni di vita dei palestinesi, che dal 2000 sono peggiorate sensibilmente in seguito all'inasprimento dell'occupazione israeliana ed alla seconda intifada.

Dal suo esilio siriano, il leader di Hamas, Khaled Mashaal, ha subito telefonato al Presidente Abu Mazen per chiedere al suo partito Fatah di prender parte ad un'ampia coalizione per un governo di unità nazionale. Ma Saeb Erekat, capo dei negoziatori e membro di Fatah, ha rifiutato l'offerta, affermando che Fatah rispetta la decisione degli elettori e si schiererà all'opposizione in modo leale e costruttivo. Ma in realtà i giochi sono ancora aperti e voci ufficiose lasciano trapelare che il direttivo di Fatah non ha ancora preso una decisione definitiva. Nel frattempo, gli scontri in corso tra sostenitori di Fatah e Hamas non offrono letture ottimistiche al riguardo.

Le reazioni americane alla temuta vittoria di Hamas sono state minacciose. In una conferenza stampa alla Casa Bianca, George W. Bush ha dato prova di grande sensibilità democratica, chiedendo ufficialmente ad Abu Mazen "di restare al potere, cioè nel suo ufficio, anche se ha perso," e di non badare ai risultati delle elezioni. Performance folkloristiche a parte, l'atteggiamento schizofrenico della Casa Bianca nei confronti della leadership palestinese mostra come i neocon non abbiano una strategia chiara per la Palestina. In Dicembre, Condoleezza Rice aveva fatto pressioni su Sharon perché permettesse ad Hamas di partecipare alle elezioni, dichiarando che l'ingresso del gruppo islamico nelle istituzioni ne avrebbe disinnescato la minaccia militare. Ma negli ultimi giorni, fonti dell'amministrazione hanno ricordato che il Congresso dovrà tagliare i fondi stanziati per la Palestina perché non può fornire aiuti ad organizzazioni terroristiche, quali appunto Hamas. Le reazioni europee sono state al contrario più possibiliste: Solana, il ministro degli esteri della Commissione Europea, ha espresso soddisfazione per lo svolgimento pacifico e democratico delle elezioni, affermando che l'UE manterrà un atteggiamento pragmatico nei confronti del nuovo governo palestinese, senza chiusure pregiudiziali ma aperto a discussioni sul campo. Vedremo.