Con una sentenza decisamente inaspettata, la giudice distrettuale britannica Vanessa Baraitser nella tarda mattinata di lunedì ha respinto la richiesta americana di estradizione nei confronti di Julian Assange. Il verdetto è però solo una parziale e, nella peggiore delle ipotesi, momentanea vittoria per il fondatore di WikiLeaks. I legali del governo di Washington presenteranno infatti ricorso davanti all’Alta Corte di Londra, mentre Assange dovrà ancora attendere una decisione circa il suo possibile rilascio su cauzione. Inoltre, le tesi dell’accusa che minacciano il principio stesso della libertà di stampa sono state accettate integralmente dalla giudice Baraitser, la quale ha deliberato solo in base allo stato di salute del giornalista australiano.

 

Le settimane seguite alla chiusura del dibattimento in aula nel mese di ottobre erano state caratterizzate da un’accesa campagna sui social media a favore di Assange e dal susseguirsi di voci di un provvedimento di grazia nei suoi confronti da parte del presidente americano uscente, Donald Trump. Anche svariati media e giornalisti “mainstream” si erano uniti al coro di richieste per il respingimento della domanda di estradizione, soprattutto dopo che al centro del dibattito sulla sorte di Assange è stato messo sempre più il diritto fondamentale di pubblicare documenti segreti relativi ai crimini di un determinato governo.

Le implicazioni del caso Assange erano e continuano a essere serissime e, come ha ricordato domenica la giornalista australiana indipendente Caitlin Johnstone, hanno in definitiva a che fare con la facoltà del governo degli Stati Uniti di “incarcerare i giornalisti che rivelano i crimini di guerra” da esso commessi. Se gli USA fossero riusciti o dovessero riuscire a “normalizzare l’estradizione di qualsiasi giornalista che, ovunque nel mondo, smascheri le loro malefatte”, ciò avrebbe conseguenze rovinose sulla libertà di stampa a livello planetario, ostacolando drasticamente la possibilità del pubblico di “comprendere ciò che accade nel pianeta”.

Questi timori, assieme al trattamento oggettivamente scandaloso di Assange nell’ultimo decennio, hanno alimentato l’opposizione popolare alla sua estradizione, tanto da influire molto probabilmente sulla sentenza di lunedì. Una decisione favorevole al governo di Washington avrebbe messo perciò Downing Street in una situazione imbarazzante, oltretutto in un momento estremamente delicato dal punto di vista politico, economico e sanitario. La partner di Assange, Stella Moris, ha fatto riferimento proprio a questo fattore in un articolo pubblicato domenica dal Daily Mail, sostenendo che il via libera alla sua estradizione sarebbe stato “politicamente e legalmente disastroso per il Regno Unito”.

Come aveva già fatto durante il processo-farsa, la giudice Baraitser ha dunque ribadito il suo sostanziale appoggio a tutte le accuse mosse dai legali del governo americano nei confronti di Assange. Al di là della sentenza, le sue posizioni appaiono sconcertanti, anche se tutt’altro che sorprendenti, visto che il dibattito sulla richiesta di estradizione si era di fatto concretizzato nella confutazione pubblica di tutti gli argomenti dell’accusa da parte degli avvocati di Assange e dei testimoni chiamati a deporre.

Vanessa Baraitser ha così affermato che il principio della libertà di stampa non garantisce ad Assange “la totale discrezione nel decidere cosa pubblicare”. La stessa giudice ha dato come verità assodate anche altre due accuse smentite in aula e non solo. La prima riguarda la pubblicazione da parte di WikiLeaks di centinaia di migliaia di documenti riservati del dipartimento di Stato USA senza oscurare nomi di funzionari e informatori che avrebbero potuto essere messi in pericolo.

Questa versione dei fatti è stata demolita da tempo e proprio qualche settimana fa era stata pubblicata la registrazione audio di una telefonata del 2011 tra Assange e un diplomatico americano, nella quale il primo informava il secondo dell’imminente pubblicazione di tutti i documenti senza censura per opera di un ex dipendente di WikiLeaks e senza la sua autorizzazione. Assange e il suo staff avevano in realtà vagliato per mesi i “cablo” del dipartimento di Stato con l’intento di escludere dalla pubblicazione tutte le informazioni ritenute sensibili. Alla fine sarebbero stati due giornalisti del Guardian a rivelare la password di accesso al database contenente i documenti senza censura, mentre WikiLeaks decise di pubblicarli integralmente solo quando stavano già circolando in rete.

Falsa e non provata è anche l’affermazione della giudice Baraitser sul fatto che la pubblicazione dei “cablo” abbia messo a rischio la vita di individui in essi citati. Che questo argomento fosse usato in maniera strumentale e senza evidenze dal governo degli Stati Uniti era inoltre già emerso durante il processo a carico della fonte dei documenti stessi, l’ex analista dell’intelligence militare americana Chelsea Manning. Ancora, la giudice britannica ha assicurato che l’estradizione di Assange non violerebbe il divieto di spedire un sospettato negli Stati Uniti per far fronte ad accuse di natura politica. Allo stesso modo, la Baraitser ha detto di “non avere motivo di dubitare” che al 49enne giornalista australiano sarebbero garantite “le consuete protezioni procedurali e costituzionali” in un eventuale processo negli USA.

In sostanza, il verdetto di lunedì ha confermato l’appoggio della giustizia e del governo del Regno Unito alle accuse rivolte dagli Stati Uniti ad Assange. Tuttavia, una decisione a favore dell’estradizione sarebbe stata talmente grave e dalle conseguenze imprevedibili che la giudice a cui è stato assegnato il caso ha finito per respingere la richiesta di Washington sulla base delle condizioni psicologiche di Assange e della spaventosa situazione del sistema penitenziario americano che avrebbe dovuto o dovrebbe accoglierlo.

La giudice ha riconosciuto che il regime di totale isolamento a cui Assange sarebbe costretto in un carcere federale di massima sicurezza, verosimilmente nello stato del Colorado, non permette di eliminare il rischio che il detenuto si suicidi. Il pericolo è da collegare soprattutto allo stato di “salute mentale” di Assange, a cui è stata diagnosticata da qualche tempo la sindrome di Asperger. Ci sono d’altra parte pochi dubbi che un’eventuale estradizione negli Stati Uniti rappresenterebbe una sentenza di morte per il fondatore di WikiLeaks. Ad attenderlo ci sarebbe un processo in cui dovrebbe fronteggiare 18 capi d’accusa per avere complottato la violazione dei sistemi informatici del governo USA e per la pubblicazione di documenti riservati. La pena massima prevista sarebbe di 175 anni di carcere.

La campagna di persecuzione contro Julian Assange non è ad ogni modo finita con la sentenza di lunedì. La battaglia per la sua libertà proseguirà quasi sicuramente per molti altri mesi e la determinazione dei governi di Washington e Londra nel cercare di distruggerlo e di farne un esempio per i giornalisti di tutto il mondo potrà essere sconfitta solo con una costante mobilitazione a suo favore.

Come già anticipato, i legali di Washington ricorreranno in appello contro la decisione della giudice Baraitser e il contenuto del verdetto di quest’ultima lascia intatto l’impianto accusatorio costruito nei confronti di Assange. Il procedimento potrebbe arrivare successivamente anche alla Corte Suprema britannica e, comunque, l’ultima parola sulla questione spetterebbe al ministro degli Interni di Londra. Lunedì pomeriggio, intanto, il presidente messicano, Andrés Manuel López Obrador, ha fatto sapere di avere incaricato il proprio ministro degli Esteri di chiedere al governo britannico di liberare Assange e di garantirgli il trasferimento verso il paese centro-americano, dove gli sarebbe offerto asilo politico.

Determinanti saranno anche le posizioni del governo americano, sia per quanto riguarda l’ipotesi di un provvedimento di grazia da parte di Trump sia per l’attitudine del presidente entrante Joe Biden. A proposito di quest’ultimo, è bene ricordare che nel 2010 definì Assange un “terrorista hi-tech”, mentre ricopriva la carica di vice-presidente quando nel 2010 il ministro della Giustizia di Obama annunciò ufficialmente l’incriminazione del numero uno di WikiLeaks.

Nell’immediato, la richiesta di rilasciare Assange su cauzione in attesa dell’appello sarà valutata nella giornata di mercoledì. Questo provvedimento appare sempre più urgente visto il suo precario stato di salute e il numero altissimo di casi di Coronavirus nel carcere di Belmarsh in cui Assange è detenuto dall’aprile 2019 in condizioni che anche le Nazioni Unite hanno equiparato apertamente a “tortura”.

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