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Fino a poche settimane fa, le elezioni federali in Germania previste a fine settembre sembravano dover essere una sfida a due tra i Cristiano Democratici (CDU), alleati come sempre dei Cristiano Sociali bavaresi (CSU), e i Verdi, con il partito Social Democratico (SPD) nettamente staccato e invischiato in una crisi politica di lunga data. Gli ultimi sondaggi hanno invece iniziato a registrare un’inversione di tendenza inaspettata. Lo storico partito di centro-sinistra avrebbe infatti virtualmente agganciato quello della cancelliera uscente, Angela Merkel, mettendo in discussione le previsioni che apparivano ormai consolidate circa la natura del prossimo governo di Berlino.

 

Il voto del 26 settembre prossimo è oggetto di particolare interesse perché dovrà appunto esprimere il primo esecutivo del dopo-Merkel. Che sarebbe stato nuovamente a guida cristiano-democratica appariva scontato fino a poco tempo fa, anche se le vicissitudini che avevano segnato l’avvicendamento al vertice del partito erano suonate come un serio campanello d’allarme.

La prima scelta, quella dell’attuale ministro della Difesa Annegret Kramp-Karrenbauer, si era risolta in un fallimento. Dopo le dimissione di quest’ultima era toccato all’attuale numero uno del partito, il presidente del “Land” occidentale Renania Settentrionale-Vestfalia, Armin Laschet, uscito vincitore da un confronto piuttosto acceso con il candidato della destra del partito. Laschet avrebbe poi intascato anche la nomination a candidato alla cancelleria al termine di un’altra sfida ricca di polemiche, questa volta con il numero uno della CSU, il capo del governo regionale della Baviera Markus Söder, ritenuto di gran lunga più popolare rispetto al successore della Merkel alla segreteria della CDU.

Le più recenti rilevazioni di opinione in Germania avevano dunque iniziato a registrare il recupero della SPD, fino a che domenica scorsa l’istituto INSA ha dato i socialdemocratici e la CDU allo stesso livello di consensi (22%) per la prima volta dalla primavera del 2017. La flessione del centro-destra tedesco non ha invece avuto effetto sui Verdi, i quali, dopo l’impennata momentanea di qualche mese fa in concomitanza con la nomina della candidata del partito alla guida del governo, rimarrebbero stabili tra il 17% e il 18%.

A spiegare in parte il rimescolamento degli equilibri è l’identità dei candidati alla guida del governo. Se quello socialdemocratico, Olaf Scholz, non offre un’immagine particolarmente innovativa né si distingue per vivacità o brillantezza, i suoi due principali rivali hanno finora mostrato una preoccupante passività e una altrettanto allarmante predisposizione alla gaffe durante le apparizioni pubbliche.

Se si considerano infatti le preferenze degli elettori per i candidati alla cancelleria, peraltro non votati direttamente, Scholz fa segnare consensi superiori al 40%, contro livelli ben al di sotto del 20% di Laschet (CDU) e della leader dei Verdi, Annalena Baerbock. In linea generale, non sembra esserci comunque particolare entusiasmo nei confronti di tutti i candidati e degli stessi partiti, come conferma la stessa volatilità delle opinioni rilevate dai sondaggi nelle ultime settimane.

Scholz potrebbe beneficiare anche del semplice fatto di essere il candidato con il curriculum di maggiore peso a livello federale. Oltre ad avere ricoperto la carica di sindaco di Amburgo, Scholz è stato ministro del Lavoro e, come già ricordato, dal marzo 2018 guida il dicastero delle Finanze nel governo di “Grande Coalizione” di Angela Merkel.

Proprio questo incarico lo ha senza dubbio reso gradito al business tedesco, nonché agli ambienti finanziari internazionali. A proposito di Scholz, il britannico Guardian in una recente analisi del voto ha scritto che il ministro delle Finanze socialdemocratico, “negli ultimi quattro anni, non ha praticamente mai messo in discussione l’ortodossia fiscale della Germania”. Anche per questo, Scholz sarebbe il candidato cancelliere preferito dalla maggioranza degli elettori del partito  Liberale Democratico (FDP), tradizionalmente favorevole al rigore fiscale. Ancora il Guardian ha citato una considerazione del docente di Scienze Politiche dell’Università Libera di Berlino, Gero Neugebauer, secondo il quale Scholz ha “definitivamente smentito la reputazione di dissolutezza” in ambito fiscale che presumibilmente caratterizzerebbe la SPD.

La discussione attorno all’inclinazione ad aumentare la spesa pubblica del Partito Social Democratico, va sottolineato, ha un qualche senso solo per la stampa “mainstream” e in relazione al dibattito in larga misura artificioso all’interno della classe politica tedesca. La SPD è da molto tempo un partito “moderato” e allineato all’ortodossia neo-liberista, come conferma la collaborazione con il centro-destra negli ultimi governi di “Grande Coalizione” e, in precedenza, la responsabilità nella “ristrutturazione” del welfare tedesco.

Questi precedenti sono infatti la ragione principale del discredito della SPD tra il proprio elettorato di riferimento e che, almeno fin ad ora, è costato un’emorragia di consensi in un un’elezione dopo l’altra. I livelli di gradimento che vengono attribuiti ai socialdemocratici in questi giorni invitano peraltro all’entusiasmo solo in relazione al pessimo stato di tutto l’arco politico tradizionale tedesco. Basti pensare ad esempio che, a fronte del 22% circa che potrebbe ottenere il prossimo mese, la SPD nelle elezioni del 1998 sfiorò il 41%.

In questo contesto va inserito un altro fattore che sta favorendo la SPD e il suo candidato alla cancelleria. Mentre da un lato Scholz rappresenta una garanzia per i grandi interessi economico-finanziari, dall’altra ha raccolto consensi grazie a una campagna elettorale infarcita di qualche proposta moderatamente progressista, come l’improbabile aumento del salario minimo a 12 euro l’ora o un generico rafforzamento dello stato sociale. In momenti di crisi e di tensioni, d’altra parte, i socialdemocratici sono stati spesso chiamati a governare per contenere lo scontro sociale e consolidare il capitalismo tedesco dietro a un’apparenza progressista.

Il relativo rilancio della SPD, sempre che venga confermato dalle urne, potrebbe infine aprire nuovi scenari politici a Berlino. Gli equilibri ipotizzati fino a poco tempo fa davano come probabile un governo di coalizione tra CDU-CSU, Verdi e FDP, evidentemente orientato verso il rigore e con qualche concessione di “sinistra” in relazione alle politiche ambientali.

Se però i socialdemocratici dovessero avvicinarsi o addirittura superare il centro-destra ci sarebbe sul tavolo anche la possibilità del cosiddetto governo “semaforo”, in riferimento ai colori della SPD, dei Verdi e del FDP. Meno probabile appare invece un gabinetto formato da SPD, Verdi e dal partito della Sinistra (Die Linke), se non altro perché rischierebbe di alimentare aspettative progressiste molto difficili da soddisfare.

Non è da escludere però anche una sorta di riedizione della “Grosse Koalition”, magari con l’aggiunta del FDP. Alla vigilia delle precedenti elezioni, la SPD aveva escluso questa ipotesi per poi sposarla dopo il voto. Olaf Scholz, oltretutto, è uno degli esponenti più autorevoli dell’attuale esecutivo con CDU-CSU e potrebbe perciò finire per appoggiare una sostanziale prosecuzione dell’esperimento, soprattutto se gli equilibri tra i due principali partiti dovessero cambiare al punto da spingerlo fino alla cancelleria.